1921-2021: 100 anni del Milite Ignoto: la cerimonia di Aquileia e la scelta di Maria Bergamas

9 settembre 2021

 

Le undici casse di legno contenenti le spoglie dei soldati ignoti Colonna con vaso cinerario e nastro con iscrizione
 
Al termine della Grande Guerra, il generale Giulio Douhet, dalle colonne del giornale “Il Dovere”, testata di riferimento dell’Unione nazionale ufficiali e soldati, associazione da lui fondata, propose di onorare i sacrifici e gli eroismi della collettività nazionale nella salma di un soldato sconosciuto; l’idea fu accolta con entusiasmo, e come luogo della tumulazione fu scelto il Monumento a Vittorio Emanuele II, noto anche come Vittoriano 1.
 
Fu stabilito che le ricerche della salma di un Caduto, certamente non identificabile, dovessero essere condotte nelle zone più avanzate dei principali campi di battaglia. Le undici salme così ritrovate furono sistemate in altrettante identiche casse di legno ed ebbero ricovero, in un primo tempo, a Gorizia; il 28 ottobre 1921 furono trasportate nella basilica di Aquileia, dove si sarebbe tenuta una cerimonia per la benedizione dei feretri e la scelta, da parte di una mamma di un disperso in guerra, della salma destinata al riposo sull’Altare della Patria, per essere onorata in eterno come “Ignoto Militi” 2.
 
Inizialmente fu scelta Anna Visentini Feruglio, udinese, madre del capitano Medaglia d’Oro al Valor Militare Manlio Feruglio 3, disperso in guerra; prevalse, però, l’idea che la donna dovesse essere una popolana. Furono prese in considerazione alcuni casi: una mamma livornese che aveva percorso a piedi il viaggio da Livorno a Udine alla ricerca del figlio disperso; si pensò anche a una mamma di Lavarone che, saputo dov’era tumulato il figlio, si recò in quel cimitero, scavando da sola con le mani la terra che ne ricopriva i resti e trovatene le ossa, dopo averle legate con un nastro tricolore, se le pose in grembo e le riportò nel suo paese, seppellendole vicino a quelle del marito; infine, venne considerato il caso di una mamma che ebbe la forza di assistere ad oltre 150 esumazioni pur di trovare i resti del figlio.
 
Tutto questo non parve sufficiente. Si decise, quindi, che la scelta avrebbe assunto un significato più profondamente patriottico se la donna fosse stata la madre di un disperso irredento 4. La scelta cadde su Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, madre dell’irredento sottotenente Medaglia d’Argento al Valor Militare 5 Antonio, caduto sul Monte Cimone il 18 giugno 1916, durante l’offensiva nemica passata alla storia con il nome di Strafexpedition 6. Il giovane Bergamas era stato arruolato dall’Esercito italiano nel 137° Reggimento di fanteria della Brigata “Barletta” con il nome di guerra di Antonio Bontempelli 7. Il giorno prima di morire, si offrì volontario per guidare con il suo plotone l’attacco del reggimento, convinto che, in quanto irredento, spettasse a lui l’onore di giungere per primo sui reticolati nemici. Durante l’assalto fu colpito a morte da una raffica di mitragliatrice. Al termine del combattimento in tasca al giovane venne rinvenuto un pezzo di carta sul quale era scritto: “In caso di mia morte avvertire il sindaco di San Giovanni di Manzano, cav. Desiderio Molinari”; infatti, solo al Molinari era noto che il sottotenente Bontempelli non era altro che l’irredento Antonio Bergamas. La salma del giovane venne dunque rinvenuta e fu sepolta, assieme a quelle dei caduti di quel giorno, nel vicino cimitero di guerra di Marcesina, sull’Altipiano dei Sette Comuni; successivamente, quel territorio fu sconvolto da un violento bombardamento che non permise più il riconoscimento delle sepolture. Da quel momento Antonio Bergamas risultò ufficialmente “disperso”.
 
Giunte le undici bare nella Basilica Patriarcale di Aquileia vennero sistemate, cinque a destra e sei a sinistra dell’altare maggiore. Al termine del rito dell’assoluzione, la chiesa fu fatta sgomberare e all’interno rimase solamente il tenente Tognasso con alcuni soldati. Tognasso adottò ogni precauzione per rendere non identificabile la zona del ritrovamento: ordinò ai soldati di cambiare la disposizione delle casse e, al termine, rimessi in libertà gli uomini, ne fece entrare altri ai quali fece ancora cambiare la disposizione delle bare; così per buona parte della notte, per evitare che perfino le particolari venature dei legni delle casse o la posizione dei chiodi sui coperchi potesse suggerire a qualche addetto ai lavori in quale tratto di fronte fosse stata recuperata la salma del “Milite Ignoto”. Già alle prime ore del 28 ottobre una folla immensa aveva invaso il piazzale antistante la Basilica. L’inizio della cerimonia, che sarebbe stata officiata da monsignor Angelo Bartolomasi, vescovo di Trieste e Capodistria e primo vescovo castrense 8, era fissato per le ore 11.00. Al centro della navata era stato approntato un cenotafio sul quale sarebbe stata posta la bara prescelta. Su un rudere di colonna romana era posta un’anfora, contenente l’acqua del fiume Timavo, e su di essa un nastro bianco con la scritta: “imo ex corde Timavi”(dal profondo del cuore del Timavo), la stessa frase dettata da Gabriele D’Annunzio per la sepoltura del maggiore Giovanni Randaccio 9. All’ora fissata vennero aperti i portoni del tempio per fare entrare cittadini e autorità. Alle madri e vedove di guerra presenti venne riservato un palco allestito a destra dell’altare. All’improvviso, all’interno del tempio giunse una voce imperiosa che impartiva ordini ad un reparto in armi e di seguito si udirono le note della “Marcia Reale” 10.
 
Al termine del rito funebre di suffragio, dopo che l’officiante ebbe asperso le bare con l’acqua del Timavo, quattro decorati di Medaglia d’Oro - il Gen. Paolini, il Col. Marinetti, l’onorevole. Paolucci e il tenente Baruzzi -, si avvicinarono a Maria Bergamas per accompagnarla verso i feretri. Maria Bergamas s’inginocchiò davanti all’altare; il tenente Tognasso descrisse quel momento così drammatico e intenso con le seguenti parole: “…lasciata sola, parve per un momento smarrita. Teneva una mano stretta al cuore mentre con l’altra stringeva nervosamente le guance. Poi, sollevando in atto d’invocazione gli occhi verso le navate imponenti, parve da Dio attendere ch’ei designasse una bara come se dovesse contenere le spoglie del suo figlio. Quindi, volto lo sguardo alle altre mamme, con gli occhi sbarrati, fissi verso i feretri, in uno sguardo intenso, tremante d’intima fatica, incominciò il suo cammino. Trattenendo il respiro giunse di fronte alla penultima bara davanti alla quale, oscillando sul corpo che più non la reggeva e lanciando un acuto grido che si ripercosse nel tempio, chiamando il figliolo, si piegò, cadde prostrata e ansimante in ginocchio abbracciando quel feretro…”.
 
L’intensa commozione colpì tutto il popolo presente e le campane suonarono a tocchi gravi e profondi, mentre alcune batterie d’artiglieria, posizionate nelle campagne adiacenti, esplodevano salve d’onore. Sul sagrato del tempio, la banda della Brigata “Sassari” intonò per la prima volta in modo ufficiale l’inno che sarebbe divenuto il simbolo di tutte le cerimonie dedicate ai caduti: “La leggenda del Piave”, conosciuta anche come “La canzone del Piave”, scritta nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo di E.A. Mario.
 
Il feretro prescelto venne sollevato da quattro decorati e la cassa posta all’interno di un’altra cassa in legno massiccio rivestita all’interno di zinco; fu collocato in un catafalco al centro del tempio e fu ricoperto di fiori. Sul coperchio fu fissata un teca artistica in argento lavorato a sbalzo, opera dell’artista udinese Calligaris, dentro la quale era stata fissata la medaglia commemorativa fatta coniare dai comuni di Udine, Gorizia e Aquileia. Sempre sul coperchio della cassa venne fissata una alabarda in argento, dono della città di Trieste. Per tutta la giornata del 28 ottobre la salma rimase esposta nella basilica; le altre dieci bare furono tumulate nell’adiacente cimitero di guerra. Il mattino successivo, il feretro, collocato su un affusto di cannone, fu sistemato su un vagone ferroviario apprestato su disegno del famoso architetto Guido Cirilli 11. Alcuni Ufficiali salirono sul treno, sollevarono la cassa ancorandolo su un altro affusto di cannone fissato sul pianale. Il capotreno, il cervignanese Giuseppe Marcuzzi, pluridecorato al Valor Militare, ebbe l’onore di far partire il convoglio, chiudendo così l’intensa e sentita giornata di Aquileia.
 
 

 

Vittorio Emanuele II, il primo re d'Italia, è considerato il Padre della Patria; alla sua morte, nel 1878, fu deciso di costruire un monumento che lo celebrasse e con lui l'intera stagione risorgimentale. Il complesso monumentale fu inaugurato da Vittorio Emanuele III, nipote di Vittorio Emanuele, iI 4 giugno 1911: l’evento rappresentò il culmine dell'Esposizione Internazionale che celebrava i cinquanta anni dell'Italia unita. Per ulteriori informazioni:

https://www.quirinale.it/page/vittoriano

/Il_Ministro/ONORCADUTI/Lazio/Pagine/AltaredellaPatria.aspx

2 È l’espressione latina dell’epigrafe incisa sulla tomba del Milite Ignoto all’Alta della Patria.

3http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/view_doc.php?img=e-1918%20vol_4/e-1918%20vol_4_00000010.jpg. A Manlio Feruglio è intitolata la caserma di Venzone ora sede dell'8° Reggimento Alpini. Di terre o popolazioni non ancora riunite alla madrepatria e soggette al dominio straniero.

4 Di terre o popolazioni non ancora riunite alla madrepatria e soggette al dominio straniero.

5http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/view_doc.php?img=e-1917%20vol_2/e-1917%20vol_2_00000013.JPG

6 Nota anche come la Battaglia degli Altipiani, fu una durissima battaglia combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916, sugli altipiani vicentini, tra l'esercito italiano e quello austro-ungarico; gli italiani la ricordano come Strafexpedition, traduzione in tedesco di "spedizione punitiva"; in tedesco la battaglia è conosciuta come Frühjahrsoffensive (ossia Offensiva di primavera).

7 Il nome di guerra era un nome fittizio con il quale l’Esercito italiano arruolava i volontari irredenti che, sotto il profilo giuridico, erano sudditi dell’impero asburgico.

8 http://www.ordinariatomilitare.it/diocesi/storia/ordinari-militari-emeriti/

9 Nato a Torino nel 1884, intraprese la carriera militare presso la Scuola Militare di Modena; durante la Prima guerra mondiale si distinse sempre per coraggio e ardimento, meritando tre Medaglie d’Argento al Valor Militare; il 28 maggio 1917, mentre portava all’attacco, a quota 28 a sud del fiume Timavo, i suoi uomini, veniva colpito a morte da una raffica di mitraglia. Morì dopo ore di sofferenze, durante le quali "ha superato sé stesso e ogni altra sua interna vittoria, per la sovrana dignità con cui ha accolto il dolore e la morte" (G. D'Annunzio). Alla sua memoria venne decretata la Medaglia d'Oro al Valor Militare.

10 La Fanfara e Marcia Reale d'Ordinanza, nota semplicemente come Marcia Reale, fu l'inno nazionale del Regno d'Italia dal 1861, anno dell'unificazione del Paese, fino all'armistizio dell'8 settembre 1943, e nuovamente dalla liberazione di Roma nel 1944 fino all’avvento della Repubblica nel 1946.

11 Allievo di Giuseppe Sacconi, l’architetto che progettò il Vittoriano.

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