
Difesa: Cefalonia, commemorazione dell’80° anniversario dell'eccidio dei militari italiani
Cefalonia 14 OTT 2023

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In occasione dell’80° anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e dal Segretario Generale del Ministero della Difesa greco, Antonios P. Oikonomou, ha presenziato alla cerimonia dell’evento che vide la Divisione “Acqui” subire enormi perdite dovute sia ai combattimenti con le truppe tedesche sia alle esecuzioni sommarie perpetrate dai tedeschi dopo la resa.
"Non serve onorare se ciò non ci consente di imparare e capire come agire oggi. Il ricordo ci insegna che anche nella guerra si devono rispettare regole di umanità". Così il Ministro della Difesa Guido Crosetto, nel suo intervento presso il Monumento ai Caduti Italiani. "Si rende veramente onore ai Caduti quando si impara dal loro esempio. Oggi da questo luogo di dolore la storia ci insegna che ci sono ferite che possono essere rimarginate, fratture che possono essere ricomposte".
“Oggi ricordiamo l’80° anniversario dell’eccidio della Divisione Acqui, una delle vicende più tristi e dolorose della storia delle nostre Forze Armate, in cui affondano le profonde radici dei valori della Costituzione repubblicana”. Ha detto il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Cavo Dragone, che ha concluso sottolineando: “Onorare la memoria di quei Caduti, testimoni di una forza, di un’umanità e di un sacrificio capaci di travalicare la dimensione temporale, significa onorare l’Italia che oggi rappresentiamo nel mondo, attraverso le operazioni e le missioni militari”.
La cerimonia, svoltasi alla presenza di numerosa autorità italiane e greche, tra cui l’ambasciatrice di Italia in Grecia, Patrizia Falcinelli, il presidente della XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea della Camera, Onorevole Alessandro Giglio Vigna e il Vice Presidente della III Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, Senatore Roberto Menia, è iniziata con la deposizione di una corona al monumento ai Caduti della Resistenza greca situato nel centro di Argostoli, per poi proseguire con la visita alla “Fossa degli Italiani”, dove vennero ammassate le salme degli ufficiali fucilati.
La commemorazione si è conclusa al “Monumento Italiano ai Caduti”, dove il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha deposto una corona d’alloro affiancato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal presidente dell’Associazione Nazionale Divisione “Acqui”, prof Claudio Toninel, dai Reduci e dalle autorità elleniche. Alla cerimonia commemorativa era presente anche il Generale di Divisione Francesco Bruno, attuale Comandante della Divisione “Acqui”, con una rappresentanza di personale.
Approfondimenti:
La Divisione Acqui, già impegnata nel '40 -'41 sul fronte occidentale e poi in Albania ed Epiro, venne destinata alla fine del '41 al presidio le isole ioniche.
Gli effettivi complessivi della Divisione Acqui, più i reparti aggregati, erano di oltre 13.000 uomini, tutti schierati nell’Eptaneso (arcipelago di sette isole del Mar Jonio). In particolare, 11.500 militari erano dislocati a Cefalonia, 800 a Corfù, 400 a Zante, 70 ad Itaca.
Il presidio dell’Eptaneso era di importanza strategica poichè a ridosso della costa Greco-Albanese e a poche miglia dalle coste italiane, permetteva infatti il controllo del canale di Otranto e del porto di Patrasso.
Nella tarda primavera del ’43, l’intelligence tedesca, aveva capito che l’Italia non avrebbe potuto continuare la guerra ancora per molto. In aderenza al piano denominato “Alarico” (in precedenza Acse), le truppe italiane furono affiancate nei presidi di loro competenza allo scopo di recuperare le aliquote disposte a continuare la guerra al loro fianco, neutralizzando, disarmando e inviando nei campi di prigionia il resto.
A Cefalonia i tedeschi si stabilirono nella parte occidentale dell’isola e precisamente nella penisola di Paliki; installarono il loro quartier generale nella cittadina di Lixuri e in quella zona rimasero solo due batterie di artiglieria italiane, precisamente a Chavriata e San Giorgio. Il resto del contingente militare nazionale continuava ad occupare la parte orientale dell’isola con il proprio Quartier Generale nella città di Argostoli che era anche la capitale di Cefalonia. I rapporti tra i nostri soldati e quelli tedeschi erano pacifici anche se non del tutto sereni e amichevoli. Questo stato di cose proseguì fino all’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio.
Nell’isola in quel momento c’erano circa 12.500 soldati italiani e circa 2.000 soldati tedeschi.
Gli accordi presi fra il comando tedesco e quello italiano prevedevano il mantenimento dello “status quo”, significando che gli italiani non avrebbero intrapreso azioni di guerra e i tedeschi non dovevano far arrivare rinforzi dal vicino continente. Diversi furono però gli episodi di rinforzo tedeschi e furono agevolati dalla decisione del generale Gandin di abbandonare il presidio del villaggio di Kardakata che, occupato da reparti del III° battaglione del 317° fanteria e II° battaglione del 17° fanteria, controllavano le strade provenienti dal nord dell’isola e dalla penisola di Paliki. Questa decisione fu presa durante le trattative del nostro comando con quello tedesco allo scopo di dimostrare, in buona fede, la volontà di evitare uno scontro armato. Fu un errore tattico importante, che concesse ai tedeschi il vantaggio di agire indisturbati in quella zona dell’isola, facendo sbarcare uomini e mezzi nelle baie di Aghios, Kiriaki e Mirtos.
Arrivò poi un dispaccio da Marina Brindisi che diceva di considerare le truppe tedesche come nemiche e, all’ultima richiesta di resa da parte tedesca, il generale rispose che la Divisione Acqui non avrebbe ceduto le armi e che, al contrario, se loro non si fossero arresi, sarebbero stati cacciati con la forza dall’isola. Alle ore 14 del 15 settembre ’43 cominciarono ad arrivare dalla vicina Grecia stormi di Stukas che bombardarono tutte le postazioni costiere italiane. Gli attacchi aerei proseguirono indisturbati per alcuni giorni.
Ben presto la forza aerea germanica distrusse tutte le riserve di munizioni, viveri e materiale bellico.
La migliore preparazione e il migliore armamento dell’esercito nemico, supplirono alla loro inferiorità numerica; i rinforzi tedeschi avevano intanto aggirato le nostre postazioni ed ebbero la meglio sui valorosi soldati italiani.
Il 22 settembre il generale Gandin, dopo aver convocato per l’ultima volta il consiglio di guerra, dispose la resa senza condizioni. Al termine di questi sette giorni di battaglia le perdite ammontavano a circa 1300 unità fra ufficiali, sottufficiali e soldati. Vista la schiacciante vittoria ottenuta, il comandante delle forze tedesche concesse ai propri uomini la libertà di agire a piacimento sui militari italiani arresi.
I tedeschi rinchiusero i militari italiani nel cortile della Caserma Mussolini e nelle prigioni di Argostoli; li lasciarono sotto il caldo sole di settembre dando loro poca acqua e pochissimo cibo. Il 24 settembre gli ufficiali italiani (circa 180) furono portati nel cortile di una casetta (casetta rossa) poco fuori dalla città di Argostoli e, a quattro-otto alla volta condotti presso una fossa naturale e fucilati. Le esecuzioni durarono tutta la mattinata finché, stanchi di uccidere, i soldati nemici concessero la grazia agli ultimi 36 ufficiali rimasti, a condizione che fossero in possesso di tessere fasciste o che fossero del Sud Tirolo.
La notte stessa gli aguzzini obbligarono 17 marinai a raccogliere e caricare sui camion i corpi che erano nella fossa, portarli al porto di Argostoli e caricarli su zatteroni. Arrivati al largo dell’isolotto di Vardiani i nostri marinai furono costretti ad appesantire i corpi dei loro ufficiali con del filo spinato e a buttarli a mare. Questi 17 ragazzi furono poi uccisi in quanto testimoni della barbarie.
All’inizio di ottobre i tedeschi organizzarono degli imbarchi che dovevano portare i prigionieri nei campi di internamento di mezza Europa. Ci furono diversi imbarchi: navi stracariche di prigionieri chiusi nelle stive (circa 800/1200 ogni imbarco). Molti di questi non arrivarono mai a destinazione perché affondati dai bombardamenti alleati o dalle mine marine italiane. In queste circostanze morirono circa 2500 militari, soprattutto quelli che erano nelle stive.
I drammatici eventi erano arrivati a termine nell’isola di Cefalonia.
La Divisione Acqui aveva perso migliaia di uomini nel lasso di tempo di quindici giorni. Dei fortunati soldati italiani che si erano salvati, prima dal massacro, poi dall’affondamento delle navi, due terzi furono mandati nei campi di prigionia europei, e un terzo fu tenuto prigioniero sull’ isola obbligato al lavoro coatto. Non mancarono atti di sabotaggio e collaborazione con i partigiani della resistenza greca. I superstiti rimasti sull’isola rientrarono in Italia nel novembre dello stesso anno su navi inglesi e con l’onore delle armi.