Lo sviluppo dello strumento militare è un processo lungo e complesso che richiede impegni finanziari coerenti e stabili. Parimenti, l’impiego dello strumento militare, in patria e negli scenari internazionali, è un esercizio politico altamente sensibile che può avere importanti ritorni istituzionali per il sistema Paese così come risultare rischioso ove non controproducente, se non concepito come risultato di una chiara visione strategica di insieme. In tal senso, comprendere l’ambiente operativo futuro, prefigurandone le possibili evoluzioni, è il primo passo da intraprendere.
L’attivismo di attori statuali – che vede oggi una energica competizione strategica tra potenze – e non statuali sta facendo sorgere nuove sfide di natura politica, economica e militare.
Il Mediterraneo si presenta oggi come vero e proprio punto di incontro “tri-continentale” (Europa, Asia e Africa), ovvero come un’area in cui convergono e confliggono allo stesso tempo variegati interessi di più attori ed organizzazioni, ed in cui è necessario analizzare, comprendere e applicare articolate logiche di cooperazione, competizione, contenimento e dialogo2.
Lo stesso concetto di Mediterraneo si è gradualmente “allargato” comprendendo gli spazi adiacenti e integrando fortemente tutti i domini, siano essi fisici o virtuali. Il livello di complessità e il perimetro delle sue sfide – ad es. il terrorismo, gli effetti del cambiamento climatico, i flussi migratori irregolari, l’espansione dell’area di influenza di attori statuali e non statuali – impone un approccio
joint e di sistema Paese.
Il Mediterraneo non è solo Sud e, per definizione, è un connubio di terra, mare e cielo. Il suo spazio fisico si è spinto oltre le sponde Nord e si estende anche ad oriente e occidente, coinvolgendo l’ambiente che dall’Artico arriva al Golfo di Guinea e dall’Africa occidentale attraversa il Sahel congiungendosi al Golfo di Aden. Nell’ampliarsi, il nuovo “spazio mediterraneo” si è frammentato orizzontalmente lungo nuove aree di influenza politica e nuovi scenari di conflitti civili, confessionali e sociali. Tutto questo richiede strumenti interpretativi moderni per essere analizzato.
In aggiunta, focolai di tensione e conflitto si sviluppano in modo simultaneo e senza limiti fisici, emergendo in differenti parti del mondo e modificando lo stesso concetto di protezione dei confini. In questo contesto, l’Italia, in virtù della sua peculiare posizione geografica e del suo peso politico nell’arena internazionale, intercetta i principali flussi di carattere globale, potenzialmente in grado di veicolare opportunità di prosperità e crescita, oltre a minacce alla sicurezza3.
La schematizzazione di tali opportunità e minacce può essere geometricamente ricondotta alla figura di un triangolo. Gli Stati in competizione strategica caratterizzano prevalentemente il “lato” orientale, i principali fenomeni destabilizzanti per la sicurezza nazionale sono associati alla “base” meridionale, mentre ad occidente si colloca il “lato” strategico delle alleanze, da preservare in senso economico, militare e culturale.
Sul versante orientale, la dinamica della competizione fra grandi potenze ha progressivamente riacquistato peso a causa della crisi del tessuto multilaterale e della spregiudicatezza di potenze nuove o rinnovate. In tale ambito, uno dei più importanti
dossier di discussione sui tavoli dell’Alleanza Atlantica rimane il rapporto con la Federazione Russa, le cui azioni determinano un ulteriore aumento del livello di tensione in ambito nucleare, convenzionale e cibernetico. Sempre lungo la direttrice orientale, la Repubblica Popolare Cinese sta ampliando la propria sfera di influenza, con linee di azione prevalentemente orientate al settore finanziario e alla penetrazione commerciale e tecnologica, con sempre più palesi rafforzamenti e posizionamenti di potenza militare. Inoltre, prosegue il confronto tra vecchie e nuove potenze nel Golfo Persico, teso al controllo politico ed economico e culturale dell’area. È un rapporto che si estende dalla regione mediorientale, con effetti sulla competizione per le risorse energetiche su scala globale e su caposaldi nevralgici quali il Libano, la Il lato orientale rappresenta gli Stati in competizione strategica Siria e l’Iraq.
Nella base meridionale – continente africano, Mediterraneo e spazi limitrofi – la compresenza di dinamiche correlate al terrorismo internazionale, ai traffici illeciti di natura transnazionale e alla diffusa fragilità statuale costituisce fonte di preoccupazione per le immediate ripercussioni sulla sicurezza nazionale ed europea. Tali dinamiche sono ulteriormente acuite da fenomeni destabilizzanti di lungo periodo (30-50 anni) quali il cambiamento climatico4, l’esplosione demografica e la scarsità di risorse accessibili per la popolazione, ma soprattutto dalla competizione ed influenza di attori esterni alla regione.
L’importanza del continente africano, che ha già superato il miliardo di abitanti, è destinata a crescere per l’Italia e nel calcolo geopolitico globale in ragione del suo potenziale di sviluppo, delle sue risorse energetiche e materiali. Tali potenzialità rappresentano oggetto di attenzione da parte di numerosi Paesi esterni al continente che perseguono propri vantaggi, con diverse forme di influenza. Inoltre, i Paesi africani continuano ad essere caratterizzati da profonde criticità sul piano politico, economico, sociale e della sicurezza, in grado di generare
spillover di crisi che potrebbero interessare anche il nostro territorio nazionale.
In questo quadro di riferimento, altamente complesso ed interconnesso, si registrano sensibilità politiche e slanci non omogenei da parte di Paesi europei che, pur con obiettivi e modalità diversi, ricercano forme di aggregazione idonee a fronteggiare le sfide che si prospettano, ognuno secondo la propria percezione delle stesse. Parimenti, continua, con sempre maggiore evidenza, la strategia di progressivo disimpegno degli Stati Uniti non tanto sul continente europeo – dove invece si registra un rinnovato impegno a consolidare presenza, efficacia e credibilità militare – ma piuttosto in quelle aree dove gli interessi statunitensi sono meno emergenti. Ne consegue che, ad un rinnovato impegno statunitense verso la
Deterrence and Defence, non corrisponde altrettanta determinazione nel dare seguito concreto alle iniziative di
Projecting Stability, soprattutto nei confronti di quelle minacce e in quelle aree geografiche che, seppur instabili, non sono percepite come situazioni di crisi che possano raggiungere, in potenza, la soglia della
Collective Defence. Da tali premesse deriva che i Paesi europei, e fra loro l’Italia, non possono rimanere fermi rispetto all’instabilità diffusa nell’ampio vicinato a Sud e comunque in tutte quelle aree dove si concentrano interessi prioritari, ovvero dove si palesano minacce che producono effetti e riverberi negativi sul livello di percezione di sicurezza della collettività.
Il quadro finora delineato comporta per lo strumento militare nazionale la necessaria ricerca di interoperabilità e cooperazione a salvaguardia del legame transatlantico e a supporto dell’autonomia strategica dell’Unione.
È prevedibile la necessità di mantenere delle credibili capacità di contenimento, deterrenza e difesa, così come la ricerca mirata di ambiti di cooperazione – anche in modalità “ristrette” rispetto alle principali organizzazioni internazionali (UE e NATO) – per sviluppare una capacità di intervento a lungo raggio, anche per possibili azioni ad alta intensità. Ciò allo scopo di avere uno strumento militare flessibile anche in grado di proiettare stabilità nell’ampio vicinato, contribuire alla risoluzione delle crisi, e concorrere in particolare allo sviluppo socio-economico nelle aree di intervento, che rappresenta anche la via per combattere le cause profonde delle crisi e degli effetti negativi che da esse promanano.
A questi fattori, connessi alla posizione geografica e agli interessi economici del Paese, si aggiungono ulteriori minacce e sfide5 per la sicurezza, in grado di agire – trasversalmente – al di fuori di una dimensione geografica specifica, come ad esempio la minaccia
cyber, lo sviluppo delle cosiddette
disruptive technology o le sfide nel dominio spaziale.
In un siffatto contesto, le azioni dei principali
competitor attraversano in modo spregiudicato gli ambiti tradizionalmente separati di confronto, crisi e conflitto, i cui confini appaiono sempre meno chiari e definiti. Assistiamo sempre più spesso a forme di ibridazioni conflittuali: guerra politica, guerra economica, guerra legale, guerra informativa, che rendono ancor più necessaria la ricerca di un approccio autenticamente interdisciplinare e integrato, di sistema Paese, con stretta interrelazione tra apparato di sicurezza e difesa,
intelligence, diplomazia ed economia.
A ciò, si aggiungono ulteriori elementi di preoccupazione che investono le società moderne e che devono far riflettere sulle interazioni tra Difesa, altre Istituzioni e i cittadini, fra cui:
- le conseguenze della globalizzazione che crea una interdipendenza tra Paesi geograficamente lontani, riverberando su scala mondiale gli effetti delle crisi, anche di quelle locali;
- l’interconnessione telematica sempre più spinta che, oltre a generare su scala globale una risonanza immediata di ogni fenomeno, espone alla possibilità di manipolazione o strumentalizzazione;
- il contesto culturale in cui il diluvio informativo e la compressione del tempo disponibile determinano, in media, un approccio cognitivo superficiale verso i singoli problemi;
- la natura “reattiva” delle opinioni pubbliche che si concentrano su ciò che è immediatamente necessario e tangibile piuttosto che su argomenti di interesse strategico e di lungo periodo. In tal senso, si è portati ad analizzare ed agire concretamente solo di fronte a “ shock ” dove l’impatto dei fenomeni influenza la propria sfera di interesse.
In estrema sintesi, quello delineato risulta un contesto di riferimento altamente complesso, esteso a molteplici settori e aspetti dell’interesse nazionale – e con risvolti che eccedono gli ambiti di responsabilità del comparto militare – ma che nessun Paese è, oggi, in grado di affrontare efficacemente da solo. D’altra parte l’Italia, per la propria storia, rilevanza e peso economico sulla scena internazionale, non potrà restare defilata rispetto alla citata competizione strategica né tantomeno sentirsi garantita nel perimetro dei propri interessi nazionali, atteso che questi insistono, massicciamente, in aree di forte instabilità e dove convergono – spesso confliggendo – gli interessi di altri Paesi.
Per far fronte a questo scenario ed anche coglierne le opportunità, il nostro Paese dovrebbe dotarsi di una Strategia Nazionale di Sicurezza che, nell’ambito di una ampia visione geostrategica, sappia evidenziare minacce, interessi e opportunità, sia collettive sia esclusivamente nazionali, per dare vita ad attività rilevanti e coordinate con tutte le leve del potere dello Stato (attraverso le componenti diplomatica, informativa, militare ed economica – cd. DIME). In tale ambito, la Difesa deve essere capace di esercitare l’iniziativa, anche allo scopo di supportare positivamente i flussi decisionali interni al Paese, abilitata da capacità di
awareness, analisi, sintesi ben integrate e da una struttura organizzativa snella e in grado di rispondere in tempi ristretti alle esigenze, con un approccio proattivo piuttosto che reattivo.
Si tratta di un approccio da svilupparsi anche sul piano delle relazioni internazionali, sfruttando non solo i consessi più estesi (ONU, NATO e UE,
in primis) ma esplorando altresì formati più flessibili di collaborazione (anche eventualmente come
Coalition of the Willing) a livello bi-multilaterale, che talvolta risultano più tempestivi e indicati per prevenire o risolvere crisi locali nelle aree dove appaiono minacciati o lesi i preminenti interessi nazionali.
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