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Le Forze Armate e le alleanze


​Le Forze Armate italiane continuano ad essere intensamente coinvolte in missioni che contribuiscono alla stabilità e alla sicurezza internazionale, in aderenza al dettato costituzionale ed al mandato parlamentare, prevalentemente nell’ambito delle specifiche iniziative delle principali organizzazioni (NATO, UE ed ONU, in primis), generando effetti positivi per il Paese e per la salvaguardia degli interessi nazionali.

L’importante partecipazione alle missioni di supporto alla pace e di gestione delle crisi ha rappresentato negli ultimi 20 anni uno dei maggiori fattori di prestigio del Paese e di credibilità per le Forze Armate. Di fatto, lo strumento militare è divenuto un rilevante elemento di politica estera a supporto di fruttuose relazioni internazionali, utile per la proiezione di stabilità fuori dai confini nazionali e per la gestione di situazioni di crisi locali, regionali o globali. In parallelo, lo strumento militare rimane garante della difesa del territorio e dei suoi cittadini, in un contesto di cooperazione internazionale, e per la salvaguardia delle Istituzioni.

L’Alleanza Atlantica ha e continuerà ad esercitare in futuro il ruolo di organizzazione di riferimento per la protezione degli spazi euro-atlantici e per la deterrenza contro potenziali minacce e la Difesa Collettiva in caso di attacco. Tale scelta politica ha, tuttavia, implicazioni importanti sul piano militare. Infatti, le Forze Armate dei Paesi membri devono poter disporre di forze, capacità e risorse adeguate per contribuire agli impegni assunti in ambito alleato che appaiono via via più onerosi.

L’Alleanza, infatti, risponde all’evoluzione dello scenario strategico con una strategia militare che si prefigge l’obiettivo di prevenire, contenere e contrastare le mire dei competitors attraverso una serie di attività militari, da condurre sin dal tempo di pace. Si tratta di misure finalizzate a rendere la NATO maggiormente capace di esercitare una credibile deterrenza anche al di fuori dei propri confini geografici, secondo rinnovati concetti di flessibilità e dinamicità, e maggiormente pronta a difendere compiutamente il consesso alleato in caso di attacco, in tutti i domini.

Investire in un siffatto approccio cooperativo per la Difesa Collettiva presuppone per le Forze Armate italiane di continuare a tenere il passo con i sempre più elevati requisiti alleati di prontezza e di capacità di operare nell’intero spettro delle operazioni, anche ad alta intensità, con tempi di schieramento sempre più ridotti. Allo stesso modo, risulta essenziale la rapidità di risposta collettiva alle sfide che si prospettano, che passa attraverso una maggiore velocità dei processi decisionali nelle capitali, così come negli appositi consessi dell’Alleanza.

La partecipazione attiva alle dinamiche decisionali della NATO impone il rispetto degli impegni condivisi in termini di contribuzione capacitiva, operativa e finanziaria, per non ledere coesione e credibilità dell’Alleanza.

Si tratta di un investimento essenziale per la sicurezza del Paese che però richiede maggiore attenzione istituzionale, anche e soprattutto dal punto di vista finanziario, per potenziare – quantitativamente e qualitativamente – e mantenere in prontezza6 le Forze Armate italiane che attualmente risultano solo parzialmente in grado di far fronte in maniera adeguata – e, comunque, nei termini ritenuti adeguati dall’Alleanza – al crescente impegno richiesto. Infatti, lo strumento militare nazionale risente, di un ipo-finanziamento protratto nel tempo che lo ha reso progressivamente sempre meno efficiente sotto il profilo delle capacità operative esprimibili. Peraltro, il mantenimento delle forze in prontezza – che implica anche il soddisfacimento dei previsti livelli di scorte, di efficienza di mezzi e di manning qualificato e addestrato – rappresenta una delle criticità più rilevanti in quanto finanziato con i limitati fondi destinati all’esercizio.

Queste necessità non possono essere sottovalutate, pena la credibilità istituzionale complessiva di un Paese del rango dell’Italia che, in termini di PIL, è il quinto contributore dell’Alleanza. Oltretutto, la postura statunitense tesa al progressivo “disingaggio” dalle aree di interesse strategico per il nostro Paese e, contestualmente, a reclamare una più equa ripartizione degli sforzi in ambito NATO, suggerisce un ulteriore sprone a perseguire una autonoma rilevanza e credibilità capacitiva.

In parallelo, l’Unione Europea sta ampliando le proprie capacità militari per poter svolgere un ruolo di Global Security Provider e per poter conseguire una maggiore autonomia strategica. Non si tratta di un percorso di allontanamento dalla NATO, che rimane il riferimento per la Difesa Collettiva, ma di un modo per contribuire maggiormente agli oneri della difesa comune e poter svolgere autonomamente, o in via complementare, attività di gestione delle crisi o di sicurezza cooperativa di specifico interesse. In tale quadro, le Forze Armate potranno sfruttare nuove opportunità di crescita e di miglioramento grazie ai progetti ed alle iniziative europee7, con conseguenti ritorni per l’industria nazionale della Difesa, così come promuovere nel contesto comunitario un più mirato impiego dello strumento militare sulla scena internazionale, a supporto degli interessi strategici dell’Unione.

Anche le Nazioni Unite, in ambito militare, hanno deciso di aumentare la loro autonomia dotandosi di una aliquota di forze da schierare rapidamente (evitando il ricorso alle forze e capacità di altre organizzazioni) e di costituire un contingente su base regionale per garantire un approccio inclusivo aderente alla realtà locale. Al riguardo, l’Italia partecipa attivamente alle iniziative onusiane e continua a svolgere un ruolo di primissimo piano nel peacekeeping, con un importante contributo in termini di risorse umane, finanziarie, di formazione e di logistica, attestandosi primo tra i Paesi Occidentali quale contributore di Caschi Blu e continuando a rappresentare de facto un partner strategico ed essenziale.

L’Italia percorre, in generale, con le organizzazioni internazionali e, in particolare, con l’Unione Europea, la NATO e i rispettivi Stati membri e alleati, una strada fondata su valori, storia e sofferenze, ma anche speranze e ideali, comuni e condivisi. È un percorso da salvaguardare, soprattutto in questo momento in cui la comunità internazionale si sta interrogando sull’evoluzione del contesto globale.

La nostra Nazione ha storicamente improntato le proprie scelte su una strategia coerente con la direzione principale definita da tali organizzazioni. Tuttavia, ciò non esclude la possibilità di perseguire, in forme e con modalità complementari, interessi nazionali esclusivi, nel rispetto del diritto internazionale. Infatti, proseguendo sulla stessa direttrice comune, appare possibile identificare svincoli complanari e paralleli, deviazioni temporanee, che ci consentano di cogliere eventuali opportunità o di coltivare interessi peculiari e vitali per la Nazione. Ma il senso di tali iniziative non potrà che essere unico e il punto di arrivo identico: sicurezza, stabilità e prosperità diffusa.

Con un’immagine figurativa, questa strategia potrebbe essere definita dei “Viali Complanari”, ovvero, una più elevata e qualificante partecipazione a selezionate operazioni internazionali nell’ambito delle alleanze (NATO, UE, ONU) e il parallelo sviluppo di più articolate (co)operazioni multilaterali o bilaterali – in consessi «ristretti» – a carattere interministeriale e interagenzia, tese ad una maggiore salvaguardia dell’interesse nazionale nelle aree di primaria importanza per il Paese.

In tal senso, le Forze Armate italiane possono risultare preziose per proporsi quale fattore abilitante di iniziative multilaterali in talune aree (es. Balcani), divenendo catalizzanti anche per altre nazioni con interessi convergenti, senza trascurare, parimenti, la partecipazione attiva alla Difesa Collettiva, al fianco degli altri alleati.

Da ciò discende che, in un contesto di spiccata competizione strategica che trova nell’ambito militare un’importante arena di confronto tecnologico, occorre tornare ad investire adeguate risorse nel comparto militare per poter esercitare una credibile deterrenza in tutti i domini, nonché per assicurare la capacità di intervenire operativamente a supporto degli obiettivi politici, nelle aree di maggiore interesse nazionale.

Lo strumento militare nazionale può, in tal senso, rappresentare sia un significativo amplificatore di potenza sia una leva, fra le quattro del potere nazionale (Diplomatica, Informativa, Militare e Economica), determinante per aprire spazi di manovra utili al conseguimento di precipui interessi nazionali, nell’ambito del più ampio sistema Paese.

Da questo articolato ed ambizioso quadro d’insieme emerge tuttavia che, partecipare attivamente e credibilmente alla Difesa Collettiva, contribuire alla pace e alla sicurezza nell’ambito delle organizzazioni internazionali, condurre attività di proiezione di stabilità nelle aree dove si concentrano interessi esclusivi del Paese, non è un esercizio facile per le Forze Armate italiane che devono onorare tali impegni basandosi su un unico serbatoio di capacità militari (c.d. single set of forces). Da ciò deriva la necessità ancora più stringente di scelte lungimiranti sia nel settore dell’impiego che della pianificazione e dello sviluppo dello strumento militare, con adeguate risorse a sostegno.

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  • Il Concetto Strategico del Capo di SMD
  • Indice
  • Introduzione
  • Scopo
  • Evoluzione del contesto di sicurezza
  • Le Forze Armate e le alleanze
  • I pilastri dell'evoluzione delle Forze Armate
  • Lo strumento militare nazionale
  • Obiettivi di breve termine
  • Conclusioni
  • Annesso
  • Note
  • Note Legali
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