Signori Presidenti, un sentito grazie per l'invito rivoltomi. A tutti i Parlamentari il mio grazie per essere intervenuti a questa audizione.
In questa esposizione, ad un mese e mezzo dal mio insediamento, vorrei fare il punto della situazione ed indicare le linee generali lungo le quali si svilupperà l'azione del dicastero lasciando all'iniziativa delle vostre domande lo spunto per trattare temi specifici di più immediata attualità.
Qualora il tempo a nostra disposizione non dovesse essere sufficiente ad approfondire tutti gli argomenti non mancheranno le occasioni di ritornarci sopra e sin d'ora dichiaro la mia disponibilità per approfondimenti successivi.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
Con la caduta del muro di Berlino la tutela della sicurezza è entrata in una nuova dimensione, dove il concetto classico di difesa del territorio non è più attuale né adeguato per affrontare le minacce del XXI secolo.
Se dovessimo con un solo termine caratterizzare il tempo in cui viviamo quel termine sarebbe senza dubbio "cambiamento".
Un cambiamento veloce, continuo, inarrestabile, che a volte procede linearmente, a volte invece "per salti".
Un cambiamento che spazza il passato e costruisce un futuro in cui tutto muta, le regole soprattutto ma ancora prima di esse i soggetti. Lo Stato westfaliano è in piena crisi e gli Stati acquisiscono progressivamente qualifiche che li inquadrano in gruppi diversi fra loro e per ciascuno dei quali valgono norme del tutto particolari.
Abbiamo così gli Stati che si identificano con la loro appartenenza alla cosiddetta "comunità internazionale ", quelli che vengono definiti come falliti. Quelli che sono infine indicati come "rogue states " o "stati canaglia".
Si affianca inoltre agli Stati una pletora di altri soggetti capaci di azioni di rilevanza internazionale.
Sul piano della sicurezza e stabilità internazionale oggi dobbiamo misurarci con il fenomeno degli estremismi di matrice nazionalistica e religiosa, dei traffici illegali di armi e droga, delle organizzazioni criminali e di quelle che danno vita al terrorismo internazionale.
Questi fenomeni non si possono combattere solo con lo strumento militare, ma con un approccio globale e cioè politico nel senso più ampio del termine.
Cambiare significa andare incontro all'ignoto, a qualcosa di nuovo, ad una realtà capace di offrire nuove affascinanti possibilità ma che può anche al tempo stesso rivelarsi carica di gravi pericoli, prevedibili e non prevedibili, quindi previsti od imprevisti.
E' un tragitto che si può compiere in maniera passiva, ed in tal caso si sarà costretti ad accettare qualsiasi realtà gli altri configurino, sia che essa corrisponda alle nostre aspettative ed, al di là di esse, ai nostri interessi, sia che essa risulti per noi fortemente negativa, impedendoci di muovere nella direzione voluta o addirittura costringendoci a dolorosi passi indietro.
Lo si può però compiere anche in maniera attiva, impegnandosi a seguire il processo in atto, cercando di influire sulla sua direzione ed i suoi esiti, costruendo - in sostanza - il nostro stesso destino. In poche parole assumendo quella che è la nostra responsabilità, ovviamente nei limiti di ciò che possiamo, vogliamo e dobbiamo fare.
Tradotto in termini della azione dello Stato ciò significa che l'Italia dovrà muoversi nei prossimi anni sulla scena internazionale assumendosi oneri e fornendo contributi che siano proporzionati al suo status politico ed alla sua capacità economica, risultando nel contempo in linea con le sue aspirazioni per il futuro.
Ci muoviamo, infatti, in un mondo che è un mondo condiviso ed in cui l'imperativo maggiore sembra essere almeno per il momento quello di riuscire a ricostruire una accettabile cornice di sicurezza comune, presupposto indispensabile per ogni ulteriore speranza di sviluppo. In tale quadro proprio la sicurezza è il primo ed il più importante di quei beni fondamentali che risultano condivisibili ma non divisibili e di cui tutti dobbiamo poter fruire.
Perché la sicurezza esista occorre però che qualcuno la produca, con uno sforzo destinato ad impegnare risorse economiche, umane e di intelligenza considerevoli. Giusto quindi essere nel medesimo tempo produttori e fruitori di sicurezza.
Ogni atteggiamento puramente parassitario in questo campo sarebbe forse possibile nel breve periodo, ma è certo impossibile nel medio e lungo termine in quanto finirebbe inevitabilmente col porci a margine della comunità internazionale in cui intendiamo vivere, incidendo in maniera rovinosa proprio su quelle aspettative politico economiche per il futuro di cui si era in precedenza fatto cenno.
In questa corsa verso il futuro, inquadrata e dominata dai parametri della cosiddetta globalizzazione, lo spazio si è allargato a dismisura finendo con l'estendersi a tutto il mondo e proiettandoci dalle tre dimensioni classiche della nostra politica - europea, atlantica e mediterranea - ad una dimensione assolutamente globale. Con lo spazio si è di conseguenza dilatato anche il tempo, un fattore che risente anche della natura particolare delle nuove missioni che si presentano.
Il cambio di scala ha reso infatti la sicurezza un bene "lento da conseguire"; le missioni di sicurezza risultano di conseguenza più lunghe dei tradizionali interventi bellici. L'ampiezza delle alleanze in cui siamo inseriti, la particolare natura degli strumenti ed apparati militari, inevitabilmente strutturati su base multinazionale, le complessità di una tecnologia ogni giorno più performante e complessa ma anche più invasiva, contribuiscono anche esse a rendere estremamente articolato il sistema.
Si è e si va, in sintesi, verso un mondo dove le decisioni devono essere rapidissime e tempestive, mentre l'esecuzione deve rimanere in ogni attimo esecuzione paziente.
Le necessità indotte da un quadro internazionale che appare particolarmente inquieto chiamano quotidianamente il Paese e il Governo a confrontarsi con la realtà del cambiamento.
Proprio l'ampiezza e la varietà di tale quadro sono però fattori tali da indurre alla ricerca di linee guida fondate sulla più ampia condivisione e innanzitutto nella maggioranza che difronte agli elettori si è assunta la responsabilità di sostenere l'azione di governo.
È proprio l'inquietudine del quadro internazionale, la complessità del contesto in cui ci muoviamo e il rilievo delle questioni alle quali siamo chiamati a dare risposta che è all'origine delle divergenze, che, legittimamente segnano il confronto tra le coalizioni e all'interno di esse.
Penso al giudizio e al rapporto con singole decisioni di alcuni fra gli alleati più qualificanti in relazione all'IRAK, e allo svolgimento della relazione fra la politica europea e quella atlantica del Governo che ci ha preceduto.
Valutazioni relative a singole azioni circa opportunità e modo di conduzione nonché a scelte che attengono ai mezzi più adatti per conseguire i fini voluti.
Tuttavia le differenziazioni rilevanti esistenti tra i diversi schieramenti ed anche tra le loro componenti interne non ci consentono però di sottovalutare i riferimenti comuni, anche perché questi sono già l'esito di un processo storico di cui tutti siamo stati partecipi.
Esso ha come pietre miliari l'articolo 11 della nostra Costituzione considerato nella sua interezza, l'Unione Europea, le Nazioni Unite, l'Alleanza Atlantica e la sua trasformazione, il rapporto euro americano nonché l'esercizio attivo della responsabilità e la conseguente assunzione del modello professionale per le Forze Armate, che hanno caratterizzato l'Italia di questi ultimi quindici anni.
E' anche grazie a questo denominatore comune, oltre che al senso di continuità istituzionale, che gli elementi di discontinuità e di cambiamento imposti dalla alternanza democratica possono essere governati senza rotture all'interno di una corretta dialettica istituzionale in cui la maggioranza di Governo si assume le sue responsabilità sottoponendole in Parlamento al confronto con la opposizione.
E' in un simile quadro che va correttamente inserita la Difesa del Paese, vista e percepita come l'apparato preposto alla produzione della sicurezza, una sicurezza che non è più estesa come un tempo al solo territorio nazionale, ma comprende altresì la nostra partecipazione alla produzione della sicurezza globale.
Ciò porta la Difesa ad essere necessariamente in crescente coordinamento con il Ministero dell'Interno per quanto concerne il territorio nazionale ed i relativi spazi aeromarittimi, mentre nel resto del mondo essa sarà tenuta ad operare in strettissimo collegamento con il Ministero degli Affari Esteri.
Quanto ai rapporti della Difesa con il Ministero dell'Interno a segnalare questa interconnessione stanno una serie di temi che ci chiamano ad un maggiore approfondimento. Tra questi il tema della collocazione dell'Arma dei Carabinieri è sicuramente uno dei più rilevanti.
Come noto, la collocazione dell'Arma è stata recentemente fissata dalla legge di riforma n. 78 del 2000 che, riconfermatala quale "Forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza", (secondo la definizione della legge n. 121 del 1981 (sull'ordinamento della pubblica sicurezza)), l'ha collocata nell'ambito del Ministero della Difesa con il rango di Forza armata, per l'assolvimento dei compiti militari, ed ha ribadito la sua dipendenza funzionale dal Ministro dell'Interno per quanto attiene ai compiti di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché dall'Autorità giudiziaria, per le funzioni di polizia giudiziaria.
In tale contesto, il Ministero della Difesa, è pienamente convinto della necessità di un efficace e funzionale coordinamento dell'Arma dei Carabinieri con le altre Forze di polizia nell'ambito del Ministero dell'Interno, che terrà conto delle peculiarità dell'Arma, discendenti dalla sua duplice connotazione, (peraltro sotto alcuni profili condivisa dalla Guardia di finanza,) che contribuisce non poco a fare dell'Arma stessa una risorsa pregiata nell'ambito dello Stato, apprezzata e valorizzata non solo in ambito nazionale, ma anche, in particolare in questi anni, nel contesto delle missioni internazionali, in cui ha maturato una straordinaria esperienza con il modello organizzativo delle Multinational Specialized Units (MSU).
La disponibilità ampia ad un approccio condiviso della problematica del coordinamento con il Ministero dell'Interno si è concretizzata proprio in questi giorni, in occasione della nomina del Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri.
Difatti, pur in presenza di una normativa che prevede la proposta esclusiva del Ministro della Difesa, la scelta è stata condivisa anche con il Ministro dell'Interno, proprio in considerazione delle funzioni istituzionali di polizia espletate dall'Arma.
Quello con l'Arma dei Carabinieri non esaurisce, peraltro, il rapporto tra i Ministeri della Difesa e dell'Interno, in ragione dei compiti di sicurezza devoluti alle Forze armate, che trovano una concreta attuazione non solo nelle operazioni svolte all'estero, che spesso pongono i militari a diretto contatto professionale con le Forze di polizia, ma anche in quelle sul territorio nazionale, dove le Forze armate hanno ripetutamente dato contributi non soltanto in occasioni di emergenze per calamità naturali, ma anche in un contesto integrato di sicurezza per la vigilanza di obiettivi sensibili.
L'ultima di tali attività, l'operazione "Domino", che si è conclusa solo quattro giorni fa, il 30 giugno u.s., ha visto fino a 4.000 militari dell'Esercito contemporaneamente impegnati per la vigilanza di obiettivi sensibili in decine di Province e di recente in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino.
In tale azione sinergica tra i due dicasteri, volta al conseguimento di obiettivi comuni, appare ancora più importante l'effettiva conservazione dell'allineamento dello stato giuridico ed economico delle Forze Armate, in un comparto quanto più possibile omogeneo, pur tenendo conto delle conseguenze che derivano dallo status militare delle Forze Armate e di alcune Forze di polizia, e dello status civile di altre Forze di polizia.
Altro punto qualificante del rapporto tra le Forze Armate e le Forze di polizia è costituito dal reclutamento e, in particolare, dalle disposizioni che disciplinano la professionalizzazione delle Forze Armate, con riguardo all'accesso nelle carriere iniziali nelle Forze di polizia riservato da quest'anno fino al 2020 ai Volontari delle Forze Armate, salvo modifiche a partire dal 2010.
Si tratta di una previsione particolarmente importante per la tenuta del sistema professionale, in special modo in questi anni nei quali il sistema si sta avviando. Non va, peraltro, sottaciuto che tale meccanismo consente alle Forze di polizia di incorporare personale che, seppure formato in funzione dell'impiego nelle Forze armate, può vantare un'esperienza più ampia, rispetto a quella di chi proviene direttamente dalla vita civile, maturata proprio negli impegni di sicurezza cui sopra ho fatto cenno.
Come ho già avuto modo di dire è evidente che la sicurezza non è un concetto che riguarda il solo territorio nazionale. Nè è possibile immaginare che le cosiddette minacce asimmetriche possano essere affrontate con i soli strumenti militari: è necessario dare una risposta globale, facendo ricorso anche agli strumenti diplomatici, economici e culturali.
Vi è quindi una rinnovata ed accresciuta esigenza di una visione d'insieme degli aspetti politici e militari, di una collaborazione sinergica fra Esteri e Difesa. Questa esigenza di un più stretto coordinamento è cresciuta in relazione agli impegni che le Forze Armate italiane sono state chiamate a svolgere all'estero.
L'invio di un contingente militare all'estero non è solamente una complessa questione militare, ma è anche e in primis una azione politica, nella complessità dei suoi riflessi internazionali ed interni.
Il Ministero della Difesa nello svolgimento delle proprie specifiche funzioni si muove in sintonia con le direttrici della politica estera, coniugando gli interessi strategici con gli indirizzi e gli obiettivi internazionali in ambito multilaterale e bilaterale.
La stessa diversificazione delle tipologie delle crisi di oggi richiede un monitoraggio costante ed una interrelazione attiva fra Esteri e Difesa allo scopo di mantenere una visione condivisa delle priorità su cui sviluppare l'azione del Dicastero della Difesa e determinare gli ambiti internazionali attraverso i quali operare al fine di massimizzare l'efficacia delle missioni all'estero.
Queste ultime per raggiungere l'obiettivo di promuovere una dinamica di progresso e di pace, vanno inserite in una prospettiva di ricostruzione e sviluppo economico e sociale, che richiede la massima sinergia dell'intero sistema Italia e, quindi, in primo luogo tra Esteri e Difesa.
Sul quadro internazionale poi quella idea di responsabilità condivisa di cui si è in precedenza fatto cenno conduce sempre la Difesa ad agire non isolatamente ma nel quadro di coalizioni molto ampie e che coinvolgono parecchie organizzazioni, come ONU, OSCE, UE, NATO spesso operanti congiuntamente sulla base di una chiara definizione delle specifiche responsabilità e quindi dei rispettivi limiti. Un'occhiata al quadro complessivo degli impegni assunti negli anni dal Paese permette di rendersi conto di quale sia la loro consistenza e quanto grande la loro varietà.
Quanto alla consistenza basti pensare che negli ultimi 6 anni sono stati impegnati in missioni all'estero in media tra gli 8mila e i 10mila militari.
Quanto alla varietà quello che immediatamente colpisce è quanto siano cambiati i concetti di spazio e di tempo. Da un lato il fatto che l'area mediterranea estesa giunge oggi a comprendere paesi dell'Asia Centrale che per noi erano un tempo soltanto nomi esotici sulla carta geografica, dall'altro il modo in cui alcune delle operazioni in atto si sono prolungate per decenni, nella costruzione di una sicurezza affidata alla durata.
Il record in questo campo spetta ad United Nations Military Observer Group in India and Pakistan (UNMOGIP) che sui ghiacciai e le montagne dell'Himalaia vigila dal 1948 al rispetto di una tregua fra India e Pakistan per garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Anche molte altre fra le missioni hanno però una durata che è già di parecchi decenni. Persino la presenza nei Balcani, che sembra storia di ieri, copre ormai 10 anni nel caso della Bosnia, 7 in quello del Kosovo.
In questo caso però basta ricordare pochissimi dati per rendersi conto di quale sia il progresso compiuto. In Bosnia, infatti, la presenza di una forza di circa settemila militari si confronta oggi con un totale di circa sessanta mila uomini che la NATO dovette mettere in campo nel 1996.
Anche il Kosovo poi, con l’inizio dei colloqui per la scelta del suo definitivo “status” politico, appare avviato ad una prospettiva di stabilità.
Nel suo insieme l’attuale situazione dei Balcani rappresenta un innegabile successo per la comunità internazionale. Si è infatti passati dalle stragi e pulizie etniche, che sono seguite al fallimento della Repubblica Iugoslava, alla costituzione di Paesi democratici che già fanno parte dell’Unione Europea ed altri che aspirano ad entrarvi, prospettiva che costituisce lo stimolo più forte anche alla soluzione dei problemi ancora aperti.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
come già accennato la nostra volontà di pace, la nostra ricerca attiva e compartecipe di una sicurezza comune sono guidate da motivi ispiratori ed inquadrate nell'ambito di quelle decisioni storicamente condivise da tutte le forze politiche e della nostra opinione pubblica che sono divenute parte del patrimonio storico ed ideale del Paese.
Questa volontà di pace, questa ricerca di sicurezza condivisa che l'articolo 11 ha definitivamente scolpito nella nostra Costituzione debbono tuttavia ogni giorno fare i conti con la realtà di un mondo che pacifico non è.
Sappiamo come sotto la cenere della globalizzazione covino, esaltate proprio dalla dimensione, fattasi anche essa globale, le tensioni di sempre, quelle nazionalistiche, quelle etniche, quelle religiose e quelle economiche.
Tra le minacce del nuovo mondo la lotta al terrorismo internazionale è certamente la prima sfida che siamo tenuti ad affrontare con gli altri Paesi europei all'interno delle Nazioni Unite e dell'Alleanza Atlantica.
Il terrorismo, infatti, nelle sue azioni più eclatanti si è palesato con un'imprevedibilità tale da rendere spesso impossibile l'adozione di misure preventive.
L'indeterminatezza e la globalità della minaccia, e la complessità delle sue cause, impongono una risposta corale con tutti gli strumenti disponibili nei campi della politica, della diplomazia, della cooperazione economica e culturale, dell'intelligence e se necessario anche con gli strumenti militari.
Fatte queste considerazioni, è importante ricordare che l'Italia ha sempre attribuito alle Nazioni Unite un ruolo centrale per la ricomposizione delle crisi internazionali privilegiando una politica preventiva di pace volta a perseguire attivamente l'obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale.
E' dovere dell'Italia assumere in ambito mondiale tutte le responsabilità derivanti dalla sua condizione politica ed economica. Il contributo dato all'ONU è testimoniato dal costante sforzo di partecipare alle sue scelte collocandosi nell'alveo delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
Nel 2007 l'Italia, tornando a sedere come membro a rotazione nel Consiglio di Sicurezza, perseguirà il rafforzamento delle aggregazioni regionali in una logica multipolare e, di conseguenza, la loro rappresentatività nel Consiglio stesso. In primo luogo ciò avverrà per l'Europa, i cui membri negli ultimi anni, con rare eccezioni, hanno mostrato una crescente tendenza a convergere nei diversi organismi dell'ONU, tendenza che dovrà essere rafforzata con l'affermazione, nell'ambito del Consiglio Europeo, di una più orientata politica estera e di sicurezza comune.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
affrontare il tema delle linee di sviluppo della Politica Europea di Sicurezza e Difesa e della capacità dell'Unione Europea di prevenire o di gestire situazioni di crisi o di conflittualità al di fuori dei suoi confini, significa guardare al rafforzamento dell'Unione come entità politica. Noi riteniamo di dover proseguire nella direzione del rafforzamento della politica europea di sicurezza e difesa, in maniera complementare all'Alleanza Atlantica, che è e resta il fondamento della difesa collettiva del continente.
Il Governo ritiene che i progressi nella difesa comune rappresentino un importante percorso politico da consolidare e rafforzare.
Nella nostra visione non esiste e non può esistere alcuna frattura fra le due dimensioni, quella atlantica e quella europea, di una politica di sicurezza che è unica. Penso comunque di essermi già espresso su questo punto con sufficiente chiarezza anche nelle poche, ma significative occasioni da me avute in questo breve periodo di Governo.
Aggiungo che lo sviluppo armonioso della cooperazione tra Unione Europea e NATO, legate tra loro da uno stretto rapporto di complementarietà, costituisce l'obiettivo cui l'azione italiana dovrà sempre tendere. Sulla politica di sicurezza dovrà essere sempre più forte la convinzione che il progressivo consolidamento della Politica Europea di Sicurezza e Difesa deve contribuire anche a rafforzare il pilastro europeo della NATO, secondo una logica volta a valorizzare le sinergie e ad evitare le duplicazioni.
A questo proposito gli accordi "Berlin plus", che consentono l'accesso alle capacità ed agli assetti NATO per la gestione delle crisi a guida europea, dimostrano come sia possibile puntare ad un vero e proprio partenariato strategico.
Lo sviluppo di una capacità militare di Reazione Rapida a disposizione dell’Unione Europea, è un obiettivo consolidato ed ha già consentito all’Europa di condurre missioni di supporto alla pace. Per tale obiettivo il Governo continuerà a fornire il suo contributo nel solco del programma sottoposto agli elettori.
Quanto all'Alleanza atlantica le linee evolutive intraprese con l'Accordo di Washington il 24 aprile 99, sanciscono il passaggio da un sistema di difesa comune ad un concetto di sicurezza collettiva per la difesa contro il terrorismo, caratterizzato dalla determinazione ad agire con fermezza ed a garantire il supporto alle iniziative dell'Unione Europea, delle Nazioni Unite e di eventuali coalizioni internazionali.
Tali linee rappresentano il necessario adattamento dell'Alleanza alle nuove sfide, completato anche con l'adesione di nuovi Paesi.
Al processo di ristrutturazione delle Forze della NATO, volto a dotare l'Alleanza di Forze altamente proiettabili, (NATO Response Force - NRF) l'Italia, ottenuta la piena operatività del Corpo d'armata di reazione rapida di Solbiate Olona e del Comando navale di proiezione di Taranto, continuerà a mettere a disposizione i propri assetti specialistici.
Oltre ad assecondare la vocazione globale dell'Alleanza, lo sviluppo di nuove capacità militari consentirà di valorizzare i molti punti di coesione ed i vantaggi reciproci che la NATO è in grado di offrire quale pilastro della difesa e della sicurezza collettiva e foro permanente di dialogo tra Stati Uniti ed Europa.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
Europa ed America devono marciare insieme. Non vi sono alternative. Né vi possono essere esiti diversi per questa e per quella crisi anche se è doveroso riconoscere come in alcuni casi - quale ad esempio quello della guerra a Saddam Hussein - le divergenze possano essere state anche marcate.
Il fatto che il Paese fosse sotto il controllo di una feroce dittatura non consente infatti, tuttora, di dimenticare come l'attacco venne portato in un contesto politico del tutto particolare e privo di una preventiva approvazione da parte delle Nazioni Unite.
Non è comunque mia intenzione riepilogare le tappe della vicenda irakena. La nostra posizione è nota. Ricordo solo che la NATO è assente dall'Iraq salvo per i limitatissimi compiti, centrati sull'assistenza al Governo iracheno sull'addestramento dei quadri delle forze di sicurezza irachene, che essa ha assunto a Bagdad.
Sottolineo poi come le deliberazioni dell'ONU abbiano solo seguito gli eventi, senza precederli né governarli. E' allo stesso tempo evidente come la cornice internazionale che oggi legittima la missione strida con le modalità operative che, anche a seguito dell'intensificarsi delle azioni terroristiche, i Paesi presenti in Teatro con i contingenti più rilevanti sono stati costretti ad assumere.
Azioni terroristiche, lo voglio ripetere ad alta voce, che l'Italia condanna senza condizioni, rinnovando lo sdegno per il criminale ed immotivato sacrificio di tanti innocenti cittadini iracheni. Ed altresì di tanti giovani soldati, tra i quali i nostri, ai quali ancora una volta va un commosso omaggio.
Il processo che l'Iraq deve compiere per superare questa tragica fase della sua storia è lungo e difficile. Credo però che gli iracheni stiano veramente iniziando a "fare da soli" rendendo possibile il progressivo disimpegno delle forze straniere. La partenza di tutte le truppe straniere operanti nel Paese è del resto uno dei principali obiettivi che lo stesso nuovo Governo di Bagdad si è proposto sin dall'inizio del suo mandato.
Guardiamo così con compiacimento al progressivo rafforzarsi della autorità statuale in quel martoriato paese, nonché allo sforzo espresso da tutte le sue componenti religiose ed etniche per trovare un punto di accordo su cui investire l'azione del Governo. Le Forze Armate irachene stanno tra l'altro esprimendo livelli crescenti di capacità ed efficienza come dimostrato proprio in questi giorni da una serie di operazioni volte a riacquisire il controllo del territorio.
E' un cammino difficile, ed è un cammino lento, ma è un cammino che procede.
Il Governo ha di conseguenza deciso di portare a conclusione l'impegno militare in corso in Iraq e, in particolare, nella Provincia di DHI QAR, nel quadro della missione denominata Antica Babilonia. Lo ha fatto nel rispetto del mandato ricevuto dagli elettori e sta ora valutando con le altre parti interessate e con il legittimo Governo iracheno quale possa essere il miglior calendario per il rientro dell'intero contingente entro l'autunno.
Un rientro che dovrà avvenire con una attenzione costante alla vita ed alla incolumità di tutti, nonché con modalità che consentano un trasferimento di competenze ordinato e che non determini quindi vuoti pericolosi di responsabilità e di potere.
La conclusione della missione e il conseguente rientro non equivale tuttavia ad un disinteresse verso la situazione e la sorte di quel paese. Continueremo ad essere presenti in Iraq con un ventaglio di attività che saranno prevalentemente civili, ma comprenderanno anche la partecipazione alla azione di formazione e addestramento dei Quadri militari e della Polizia.
Anche per quanto riguarda l'Afghanistan, mi sono già espresso chiaramente in più occasioni. Voglio comunque sottolineare come, pur essendo pienamente consapevole delle difficoltà che una simile decisione comporta, il Governo ritenga opportuna ed importante questa nostra presenza militare che sostanzia la continuità di un impegno pienamente condiviso con tutti i nostri alleati.
Come nei Balcani, in Afganistan l'Italia è e si sente parte di uno sforzo che coinvolge l'intera comunità internazionale, impegnando sul piano della sicurezza e su mandato delle Nazioni Unite contingenti dell'Alleanza Atlantica in cui tra l'altro il peso della presenza europea è fortemente rilevante.
Nel Teatro afgano la NATO sta oltretutto mettendo alla prova la sua stessa identità e la sua capacità di operare su uno Scacchiere remoto e con una visione globale, ponendo a disposizione strutture e forze per la costruzione di un disegno di ordine e di pace gestito dall'ONU. In Afghanistan, infine, si è trattato fin dal principio di sconfiggere il terrorismo globalizzato di Al Qaeda e dei suoi alleati talebani, operando in un quadro di piena legalità e legittimità internazionale.
Nel provvedimento appena varato dal Consiglio dei Ministri, il Governo perciò propone al Parlamento di continuare nel nostro impegno, assicurando una presenza di Forze analoga per entità a quella dispiegata in passato e definita in modo da corrispondere agli impegni operativi che sono stati assunti dal nostro contingente nel quadro dell'ISAF. Sappiamo infatti bene come per l'Afghanistan non esistano a tutt'oggi alternative reali e responsabili alla presenza internazionale.
Sappiamo inoltre altrettanto bene, e lo teniamo ben presente, come anche in Afghanistan vi siano elementi di preoccupazione che ci chiamano ad una vigilanza sul piano politico e su quello operativo. Una vigilanza che ci chiama ad un monitoraggio permanente che ci consenta di verificare con continuità il perseguimento e la perseguibilità degli obiettivi che giustificano la missione.
Restiamo in ogni caso ben decisi a confrontarci con questi elementi di preoccupazione in un clima di confronto di idee e di totale condivisione; condivisione - ripeto - con i nostri alleati sia per quel che riguarda il piano della valutazione che delle determinazioni operative.
Credo di avere il dovere di ripetere in Parlamento quanto ebbi a sostenere qualche settimana fa al Centro Alti Studi Difesa. Lo ripeto. Come per l'Iraq, muovendo dalla considerazione che l'alternativa a noi di fronte fosse un'alternativa secca tra permanenza e rientro, il Governo ha ritenuto di non poter prendere in considerazione l'ipotesi di un rientro a metà, che era stato ipotizzato in precedenza.
Allo stesso modo in Afghanistan, dove a nostro parere il quadro dei riferimenti internazionali è profondamente diverso, il Governo ha deciso di rimanere continuando ad assumersi la pienezza della responsabilità, poiché non ritiene di poter prendere in considerazione una permanenza a metà quale sarebbe quella che deriverebbe da un depotenziamento degli impegni già assunti. II nostro parere è: o si rientra o si rimane.
Non rientreremo a metà dall'Iraq.
Non rimarremo a metà in Afghanistan.
Rientreremo da Nassiriyah in modo responsabile, sicuro e concordato, ma rientreremo.
Resteremo con la NATO nell'ISAF guidati da un atteggiamento vigilante e consapevole, ma resteremo.
Ovunque gli alleati debbono sapere che potranno comunque far conto sulla nostra franchezza, sulla nostra lealtà e sulla nostra affidabilità.
L'azione internazionale della nostra Repubblica si è sempre dedicata al rafforzamento degli strumenti di controllo dell'uso della forza. Ciò significa che alcuni interventi, quelli che mirano a ripristinare condizioni di pace sono e possono essere considerati giusti, mentre altri sono e possono essere considerati sbagliati perchè mancavano di questo o quel presupposto.
Anche questo Governonintende esercitare il suo giudizio politico in questo senso. Traendo ispirazione dalle sensibilità e dalle tradizioni che hanno alimentato la nostra democrazia repubblicana penso che sia utile e doveroso esplicitare i criteri che dovremo adottare in futuro per valutare l'eventualità di partecipare a nuove missioni inviando nostri soldati.
Dovrà esserci una giusta causa per l'intervento, dovrà esserci la legittimazione della comunità internazionale, dovrà esserci una ragionevole probabilità di successo e dovrà esserci proporzionalità sia nei fini dell'intervento che nei mezzi prescelti per riportare l'ordine.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
come ho già detto in attuazione della politica di sicurezza, le Forze Armate italiane sono impegnate in attività di presidio della sicurezza nazionale, con un sistema di intelligence ed allerta, ed in missioni di supporto alla pace in varie zone del mondo.
Ciò ha comportato e comporta un significativo accrescimento dei tassi d'impiego dei contingenti militari. Se, come abbiamo visto i militari impiegati variano ormai stabilmente attorno ad una media tra le 8mila e le 10mila unità, questo significa, che, ogni anno ne sono impegnati all'estero oltre 30.000 su base rotazionale.
Oltre alle forze dispiegate all'estero, manteniamo in elevato grado di prontezza ulteriori 3.000 uomini, unità navali e aerei per fronteggiare possibili emergenze della NATO e dell'Unione Europea.
Parimenti, per particolari missioni, manteniamo in approntamento dispositivi di forze speciali e di intervento su lunga distanza.
A tali contingenti vanno poi aggiunti i dispositivi destinati alla sicurezza interna per la sorveglianza di obiettivi sensibili, delle aree marittime e dello spazio aereo nazionale.
Ciò richiede diverse migliaia di uomini e mezzi che, molto spesso, forniscono un determinante concorso nelle più disparate situazioni di emergenza.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
la portata delle operazioni in atto ed i programmi futuri rappresentano per la Difesa un grande impegno.
Bisogna prendere atto di una realtà che vede l'Italia svolgere un ruolo importante nella proiezione di stabilità e nella gestione delle crisi.
Un impegno che deve essere sostenuto con un apparato militare moderno, integrato ed interoperabile con quello dei principali alleati e che rende necessarie scelte coerenti ed efficaci.
In questo quadro, da più di dieci anni la Difesa ha avviato un processo di verifica e di razionalizzazione dello strumento militare nazionale.
Conseguentemente, essa ha predisposto, in sintonia con i nostri alleati, un progetto che incide in maniera radicale ed innovativa in tutti i settori: dottrina, concetti operativi ed impiego delle forze, mezzi e materiali, processi formativi ed addestramento.
Questo processo avrebbe dovuto consentire un sostanziale incremento di impiegabilità, efficacia e resa operativa di uno strumento militare al passo con i tempi.
In definitiva, gli obiettivi della Difesa nel presente momento storico discendono dagli scenari internazionali e trovano fondamento nella legislazione nazionale. In particolare cito la legge 331 del 14 novembre 2000 che nel passaggio al Professionale ha fissato precisi obiettivi anche in relazione al contributo dell'Italia alla realizzazione della "pace e della sicurezza, in conformità alle regole di diritto internazionale ed alle determinazione delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte (art. 1)".
Tali obbiettivi, come già indicato in precedenza, derivano da:
- ONU: per quanto concerne la disponibilità di contingenti nelle operazioni di pace con i cosidetti "stand by arrangements", cioè le forze pronte a disposizione per l'impiego;
- NATO: per l'implementazione della "NATO Responce Force" (Forza di Risposta della NATO);
- Unione Europea: per 'implementazione degli "EU Battle Groups". Al fine di conferire alla UE la capacità di condurre operazioni militari per la gestione delle crisi.
Da ultimo il conseguimento degli Helsinki Headline Goals 2010 (HHG 2010) e lo sviluppo di un nuovo elenco di capacità necessarie per soddisfare gli obiettivi politici e garantire una pronta ed efficace risposta alle situazioni di crisi.
Di conseguenza i compiti fissati per le Forze Armate sono i seguenti:
1) La difesa degli interessi vitali del Paese contro ogni possibile aggressione; (salvaguardare: l'integrità del territorio nazionale, comprese le acque territoriali e lo spazio aereo; la sicurezza e l'integrità delle vie di comunicazione; la sicurezza delle aree di sovranità nazionale e dei connazionali all'estero);
2) Il contributo alla gestione delle crisi internazionali; (partecipazione ad operazioni di prevenzione e gestione delle crisi, al fine di garantire la pace, la sicurezza, la stabilità e la legalità internazionale, nell'ambito di organizzazioni internazionali: ONU, Unione Europea e NATO);
3) Il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgimento di compiti specifici, in circostanze di pubbliche calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza.
I compiti tracciati (dalla già citata legge 331 del 2000) hanno dato l'avvio a una trasformazione delle Forze Armate verso un modello più ridotto in termini quantitativi, ma orientato a rispondere prontamente e flessibilmente ai diversi possibili scenari ipotizzati.
I pilastri della trasformazione sono stati:
- la professionalizzazione con un modello ridotto a 190.000 militari (112.000 dell'Esercito, 34.000 della Marina e 44.000 dell'Aeronautica);
- l'integrazione interforze delle componenti militari in grado di operare in modo unitario;
- l'interoperabilità multinazionale, cioè la capacità di operare con efficacia insieme ai nostri principali Alleati europei e transatlantici;
- la capacità di operare fuori dai confini nazionali per far fronte alle nuove missioni;
- la modernizzazione qualitativa e tecnologica in settori strategici: dal comando e controllo alle comunicazioni, alle capacità satellitari, al trasporto strategico, alla mobilità, alla efficacia operativa, alla protezione e alla capacità di difesa Nucleare, Biologica. Chimica e Radiologica dei nostri reparti.
I risultati di questa attività possono essere considerati in linea con gli obiettivi tracciati negli anni 2000.
Tuttavia è da rilevare che questa opera di trasformazione, dovendo confrontarsi con le risorse disponibili, si è programmaticamente basata sulla situazione finanziaria stabilizzata nell'ultimo decennio.
Ma nel corso dell'anno 2004 è intervenuto un elemento di discontinuità che ha causato una brusca interruzione del processo. Le azioni di contenimento della spesa pubblica hanno causato un impatto significativo sulle attività di investimento e mantenimento della Difesa ed hanno focalizzato l'attenzione degli operatori militari sul superamento della contingenza, più che sul compimento della citata trasformazione.
In realtà nell'anno successivo e soprattutto con la finanziaria 2006, gli automatismi delle ulteriori operazioni di contenimento della spesa, applicati anche alla Difesa, si sono combinati con la particolare struttura del Bilancio e del momento storico. Questo ha fatto sì che nel 2006 il Dicastero ricevesse oltre il 17% in meno delle risorse ritenute necessarie al perseguimento degli obiettivi. Questo 17% in meno si è poi tradotto in un 40% in meno sia nel settore dell'investimento che in quello dell'esercizio.
Il fenomeno si è manifestato perché le spese del personale, influenzate dal passaggio al professionale e dalla loro natura di spese obbligatorie determinate per legge, hanno compresso le altre voci del bilancio, non protette da garanzie legislative.
Nel triennio 2004-2006 pertanto l'evoluzione dello Strumento, funzione Difesa, ha visto un netto sbilanciamento verso un 72% di spese per il personale e un residuo 28% per le altre spese, rapporto assolutamente inadeguato a uno strumento militare moderno. Esso vede nell'aggiornamento tecnologico dei mezzi e nella capacità di loro mantenimento, una componente essenziale.
E' da rilevare altresì che nelle spese di esercizio, orientate al buon funzionamento dello Strumento, sono comprese anche le spese di addestramento del personale, così che si giunge al paradosso di provvedere con ingenti costi al mantenimento in servizio di personale che vede decadere progressivamente le sue capacità di impiego per questioni addestrative.
Nonostante si proceda attivamente verso il modello a 190 mila, la trasformazione è ben lungi dall’essere compiuta. Esistono soprattutto difficoltà di ordine qualitativo, considerato come il tipo di preparazione richiesta al personale del nuovo modello differisca notevolmente da quella prevista in precedenza. Si renderà quindi necessario, in futuro, considerata anche la difficoltà e in alcuni casi l’impossibilità di riqualificare personale giunto nella fase terminale della carriera, procedere a misure che consentano lo scivolo verso il collocamento a riposo.
Esse interesseranno tanto il personale militare quanto quello civile del Comparto e dovranno ovviamente essere realizzate nel massimo rispetto dei diritti acquisiti dai singoli. In tale contesto, al fine di compensare il sempre maggiore impegno dei militari in attività operative anche in ambito internazionale, occorrerà riavviare il processo di valorizzazione in termini qualitativi del personale civile per lo svolgimento di compiti di natura logistico-amministrativa ora svolti dal personale militare.
Riguardo le spese di investimento ed esercizio poi, due sono le questioni che preoccupano:
-per l'investimento: gran parte delle risorse ricadono nel settore della nostra industria ad alta tecnologia, che è un elemento di forza del Paese e che ha recentemente dimostrato di possedere caratteristiche di qualità e competitività significative;
-per l'esercizio: il passaggio al professionale ha dato origine a un insieme di operatori civili esterni specializzati a supportare le Forze Armate, sia nei settori sofisticati di mantenimento dei mezzi, sia in tutta una gamma di servizi esterni, prima assolti "autarchicamente" dalle Forze Armate.
La carenza di risorse pertanto avrà conseguenze nel breve-medio termine sulle capacità operative delle Forze Armate, ma ha già immediate conseguenze su chi supporta dall'esterno le Forze Armate; parlo delle imprese e delle società di servizi che vedono improvvisamente interrotto un rapporto di lavoro che stava integrando la realtà militare con tante altre realtà produttive e lavorative del Paese.
Si stanno profilando, inoltre, nel settore dell'investimento oggettive situazioni di impossibilità a far fronte ad impegni contrattuali già sottoscritti e, nel settore dell'esercizio, situazioni di discontinuità rispetto a servizi esterni già stabilizzati da anni.
Per continuare il cammino tracciato, completare la trasformazione e garantire la sopravvivenza dello strumento sono indispensabili azioni correttive che ripristinino il corretto rapporto tra le spese che caratterizzano il bilancio della Difesa, individuando strumenti legislativi ed accorgimenti gestionali che garantiscano un flusso di risorse costante e coerente con gli obiettivi.
La forbice che si è creata tra obiettivi e risorse e lo sbilanciamento tra spese di personale e investimenti/esercizio sono problemi molto gravi che vanno affrontati in modo articolato, senza escludere anche una verifica puntuale degli obiettivi. Ma certamente un decadimento traumatico di capacità operative e industriali non è accettabile, anche per chi volesse agire in un'ottica di ridimensionamento.
L'obiettivo a cui tendere deve essere quello di migliorare il rapporto personale/spese Difesa dall'attuale 72%, per riportarlo nel più breve tempo possibile a 50% e, in prospettiva all'ottimale 40%, anche con dispositivi di legge che in parte consentano di superare l'attuale contingenza, in parte costituiscano un cammino di legislatura per assicurare stabilità futura alle attività.
Ciò con livelli di risorse che siano in linea con le effettive capacità del Paese, ma che allo stesso tempo non portino a perdere in modo irreversibile l'operatività degli assetti in servizio, per mancanza di manutenzione, e a inaccettabili situazioni debitorie nei programmi internazionali.
I rimedi, nella oggettiva difficoltà di reperire le risorse necessarie, devono orientarsi anche su aspetti metodologici e gestionali. In particolare è indispensabile che il Bilancio della Difesa riceva attenzioni in linea con le sue peculiarità.
Uno dei maggiori problemi che la Difesa affronta nel momento della razionalizzazione di Bilancio, è la classificazione delle sue spese di Esercizio come fossero pure spese correnti, discrezionali, facilmente assoggettabili a contenimenti senza gravi conseguenze.
Le classificazioni derivano da standard consolidati europei, ma ciò non vuol dire che poi non si debba andare più a fondo ad analizzare la sostanza delle spese.
Così, per la Difesa, la maggior parte di quegli oneri sono destinati al mantenimento del suo ingente patrimonio di mezzi che, per loro natura di strumenti ad alta tecnologia, possono ricevere danni gravi e irreversibili, come sopra citato, da una mancata manutenzione.
La discontinuità imposta nel 2004, senza che si tenesse pienamente conto delle conseguenze, ha certamente determinato un potenziale decadimento di molti mezzi terrestri, navali ed aerei che potrebbe compiersi a breve in assenza di interventi correttivi.
Sicuramente uno dei rimedi da inserire in futuro nelle attività di gestione è una particolare attenzione agli aspetti di mantenimento e alla protezione delle parti più delicate del budget ad esso dedicato, che una volta fissato a livelli compatibili, non dovrebbe essere più variato.
Pari stabilità richiedono le attività di investimento.
La stabilità in questo settore significa tranquillità per le Forze Armate, ma anche tranquillità e ordinato procedere nelle attività delle nostre industrie ad alta tecnologia che, destinate ad operare in programmi molto spesso ultradecennali, soffrono molto per scompensi e discontinuità nelle risorse.
Le nostre industrie, grazie alle loro indubbie capacità, sono interessate ad attività di cooperazione dove la produzione integrata di sistemi costringe a lavorazioni sincronizzate che poi si riflettono nei flussi finanziari che le sostengono. Sono questi i flussi di investimento che devono avere delle certezze per dare ai nostri rappresentanti industriali il peso adeguato nei confronti dei corrispondenti europei e transatlantici.
In questo settore la tecnica delle leggi mirate, che fissino con precisione obiettivi e allochino le risorse con pianificazioni a lungo termine, se pur con un certo grado di necessaria flessibilità, sembra essere un cammino da approfondire, anche per recuperare la difficile situazione odierna.
Un altro accorgimento, destinato principalmente al superamento della contingenza può essere l'adeguata gestione del patrimonio infrastrutturale della Difesa, ai fini di avviare un ciclo virtuoso che permetta di cedere e rinnovare con operazioni congiunte le infrastrutture, secondo obiettivi in linea con la struttura finale.
Un altro cammino, a cui desidero altresì fare solo un accenno, perché richiede un serio approfondimento, è la possibilità di individuare forme di auto mantenimento di entità della Difesa che si prestino a ciò per le loro caratteristiche.
Ad esempio, nel contesto delle attività riveste un significativo rilievo quella riguardante l'area tecnico-industriale della Difesa, parte della quale è affidata alla gestione dell'Agenzia Industrie della Difesa, appositamente costituita nel 1999 per consentire la revisione, la modificazione e l'ampliamento dei cicli produttivi di nove Enti. In tale quadro, per tutte le strutture appartenenti alla suddetta area, anche quelle non gestite dalla citata agenzia, potrebbe essere agevolata ogni forma di collaborazione pubblica-privata per l'avvio di progetti di rivitalizzazione del settore, garantendo il livello occupazionale.
In conclusione l'armonizzazione delle spese per la Difesa, correggendo gli sbilanciamenti esistenti, ha non solo lo scopo di garantire il presente e il futuro alle Forze Armate, ma anche quello di integrarle perfettamente nel tessuto vitale e produttivo del Paese, facendo sì che le risorse assegnate al Dicastero costituiscano anche motore e incentivo economico a molte potenziali capacità di lavoro nel settore produttivo e in quello dei servizi.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
consentitemi ora, quasi in chiusura del mio intervento , di richiamare ancorchè brevemente nel quadro delle linee finora svolte i punti relativi alle politiche di Difesa che la coalizione ora investita della responsabilità di governo ha sottoposto al voto degli elettori in adempimento della nuova legge elettorale.
Oltre all'impegno assunto in riferimento alla missione irakena di proporre al Parlamento italiano " il rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari, definendone, anche in consultazione con le autorità irakene, le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite" il documento programmatico proseguiva poi indicando tutta un'altra serie di punti che pur non connotati dalla stessa urgenza della vicenda irakena investono comunque problemi di grave momento, richiedendo decisioni spesso a lungo procrastinate e che non possono quindi sopportare ulteriori ritardi. Il primo è quello di riequilibrare la distribuzione delle Forze Armate sul territorio in funzione di nuovi parametri come le mutate esigenze operative o gli imperativi connessi al reclutamento di personale volontario.
Il documento recita testualmente "due sono le questioni fondamentali di cui dovremo tener conto: la nuova rilevanza geostrategica del sud del Mediterraneo e la necessità di una significativa ridislocazione di enti e reparti nel meridione italiano, nelle regioni in cui si registra la quasi totalità del reclutamento dei volontari ".
Da ciò la necessità di avviare al più presto un approfondimento al riguardo, interrogandoci sulla misura, i tempi e i modi di questa ridislocazione in modo da tener conto di tutti i fattori che entrano in gioco ivi compresa la disponibilità di risorse al fine di definire gli adattamenti da apportare al dispositivo . A titolo di esempio si segnala il caso della Aeronautica , che ha già provveduto ad orientare più verso sud il proprio dispositivo operativo ma ha ritenuto opportuno bilanciare questo cambiamento con una gravitazione più a nord del settore Scuole.
Questo perchè, al di là e prima di tutte le considerazioni di carattere occupazionale che possono essere fatte, vi è da considerare come una simile gravitazione del reclutamento sia qualcosa che deve essere attentamente approfondito se vogliamo che le Forze Armate rimangano nel futuro, come lo sono state per il passato, lo specchio e l'espressione di tutto il Paese. La progressiva identificazione del "soldato cittadino" con una sola parte del nostro Paese non potrebbe non porre nel lungo termine delicati problemi con i quali è bene confrontarsi in tempo.
Poste queste premesse resta però comunque chiaro come le esigenze di una difesa di massa impostata sulla frontiera nord orientale non siano certamente quelle di una difesa di elite, condotta da professionisti e che ha come scenario il mondo intero.
Un piano di adeguamenti dovrà quindi necessariamente essere studiato ed adottato. Come già detto, la misura e le modalità di questa azione devono, però, essere ancora approfondite.
Il programma si focalizza poi sul problema delle servitù militari sottolineando come sia necessario pervenire ad una ridefinizione di tali servitù "che gravano sui nostri territori, con particolare riferimento alle basi nucleari".
Libero subito da ogni possibilità di equivoco la seconda parte di questa affermazione: le cosiddette basi nucleari sono infatti basi concesse ad un altro paese - nella fattispecie gli Stati Uniti - con un trattato internazionale.
La Difesa non ha quindi la competenza per riporre in discussione argomenti che rientrano nella sfera di azione dell'intero Governo o, in particolare, in quella del Ministero degli Affari Esteri. Ciò non toglie però che, come già avvenuto nel caso de La Maddalena, il Dicastero possa farsi parte diligente nel sollecitare tutte le altre parti in causa affinché vengano avviate con prontezza le procedure necessarie a riduzioni e rilasci.
Per quello che poi concerne le altre servitù vi è da dire che molto del lavoro è già stato fatto in parecchie parti di Italia grazie all'opera meritoria dei Comitati Paritetici Regionali. Sopravvivono tuttavia casi abnormi di Regioni su cui, per motivi storico geografici, si sono cumulati negli anni oneri spropositati determinando carichi sotto ogni aspetto eccessivi rispetto a quelli di altri soggetti maggiormente privilegiati.
Il caso limite sempre citato è quello della Sardegna ove però da qualche tempo è stata avviata una revisione sulla base di criteri fissati congiuntamente. In ogni caso la possibilità di rivedere l'intera materia in una nuova Conferenza Nazionale è in fase di esame e nulla osta, nel caso in cui ciò si riveli indispensabile, alla adozione di una simile soluzione.
"Il terzo tema - recita il programma - è quello delle risorse umane elemento centrale di ogni strumento militare" e continua indicando come la riforma della leva comporti "l'obbligo di investire anche nella formazione , nell'addestramento , nella tutela della salute , nella previdenza , nella casa di abitazione e negli alloggi di servizio". Il punto che qui viene toccato è un punto fondamentale in quanto più e prima che sulla tecnologia è proprio sul personale che si basa la qualità dello strumento. Come indicato i problemi connessi a questo punto sono molteplici ed io ho in effetti già toccato parecchi di essi nel corso della mia esposizione.
Qui vorrei però sottolineare almeno due concetti .
Il primo consiste nella totale disponibilità a farmi carico di questi problemi delineando nel minimo tempo possibile il ventaglio delle soluzioni realizzabili.
Il secondo si riconnette al fatto che ogni ipotesi di lavoro può tradursi in realtà soltanto allorché si dispone delle risorse indispensabili per realizzarla. Tutti questi problemi - e qui bisogna dirlo - hanno quindi in comune il fatto di essere destinati a rimanere problemi sino a quando le Forze Armate non potranno disporre di un adeguato bilancio, un problema che deriva certamente da quello della situazione economica attuale dello Stato.
Ma non soltanto!
Gli ultimi due punti del documento sono infine quelli riferiti alla Rappresentanza nonché alla riforma della Giustizia Militare.
Per quanto attiene alla riforma della Rappresentanza militare, avviata nel corso della passata legislatura con l'estensione da tre a quattro anni del mandato dei rappresentanti e la previsione della possibilità di concorrere per un secondo mandato senza soluzione di continuità, essa dovrà essere ripresa in esame per le ulteriori modifiche necessarie in funzione del mutato quadro organizzativo, ordinativo e funzionale delle Forze armate rispetto alla fine degli anni '70, periodo cui risale l'attuale normativa.
Si tratta di modificazioni che, pur tenendo conto del ruolo consultivo e propositivo attribuito alla Rappresentanza militare all'interno dell'ordinamento militare, che, conformemente anche agli orientamenti della Corte Costituzionale, esclude ogni forma di sindacalizzazione, pongono il problema del riconoscimento alla Rappresentanza e della regolazione di una forma di soggettività che chiama il Ministro ad avviare, dopo l'insediamento del Cocer nel più breve tempo possibile un confronto al riguardo dei diversi modelli di rappresentanza.
Altro argomento di rilevante interesse è sicuramente quello della riforma delle leggi penali militari e dell'ordinamento giudiziario militare, in funzione, in particolare, della ristrutturazione, della professionalizzazione e dell'ormai sistematico impiego delle Forze armate in operazioni internazionali. Al riguardo, nel riprendere le fila del discorso iniziato nella precedente legislatura, occorrerà tener debito conto delle problematiche emerse allora nel corso del dibattito parlamentare.
Vorrei, in chiusura, richiamare la vostra attenzione su un punto che ritengo fondamentale e che consiste in quella che mi azzarderei a definire come "CULTURA DELLA DIFESA". Ciò che noi facciamo, l'impegno quotidiano, la proiezione delle forze nel mondo, il rischio che è sempre dietro l'angolo, l'idea di operare nell'ambito di un sistema paese e per il bene ed il consolidamento di tale sistema hanno valore soltanto se ed in quanto conosciuti e soprattutto condivisi da e con tutta la popolazione.
Soltanto così il "soldato cittadino" che indossa l'uniforme, porta le armi ed esprime per conto di tutti "la forza legittima contro la violenza ingiusta" (la citazione è di Giovanni Paolo II) può sentirsi espressione della Repubblica e sostenuto dai suoi concittadini. Parte di un tutto e non fuscello abbandonato o espressione di esigenze particolari o di valori non globalmente condivisi.
In un certo senso sino a tempi recenti la leva assolveva almeno in parte la funzione di legame fra il Paese e le sue Forze Armate consentendo al primo di comprendere le seconde e ad esse di capire come stesse mutando la sensibilità del mondo che le esprimeva. Con la fine della leva questo legame si è interrotto e si assiste ad un fenomeno di deriva in cui sempre di più i soldati rischiano di essere assimilati ad una categoria professionale come tante altre, e forse addirittura più isolata.
E questo in un momento in cui la nostra società sembra avere la perniciosa tentazione di chiudersi in se stessa, e di segmentarsi secondo logiche corporative che impediscono di confrontarsi con problemi che richiedano grande respiro e ragionando sulla base di un "giorno dopo giorno" quanto mai egoistico. Ad aggravare il quadro appaiono altresì destinate a sparire proprio a seguito della sospensione della leva anche quelle associazioni fiancheggiatrici - l'esempio migliore è l'Associazione Nazionale Alpini - che svolgevano una meritoria opera di collegamento fra i due mondi.
La funzione militare rischia così di ritrovarsi a scadenza relativamente breve priva di quegli ancoraggi che le sono indispensabili. Per comprenderlo basta recarsi ad una qualsiasi riunione su temi di interesse militare e verificare come esse siano diventate fori riservati a poche centinaia di esperti e di appassionati che certo vanno crescendo di numero e di qualità ma che rischiano di essere partecipi dello stesso isolamento del mondo che studiano e rappresentano.
Soltanto in rare occasioni, come ad esempio il rifinanziamento delle missioni, il dibattito si anima accogliendo voci diverse. Vi è da rilevare però che anche in questi casi molto spesso alla passione di fondo ed al sincero interessamento per il problema trattato non corrisponde una visione chiara, completa ed articolata di quello che è la Difesa del nostro Paese e degli oneri che essa comporta.
Più spesso ancora, poi, occorre prendere atto di come non esista ancora una strategia di lungo termine che fissi con competenza e piena conoscenza dei pro e dei contro il ruolo preciso da attribuire alla Difesa ed alla sua politica nel futuro. E' una lacuna che occorre colmare quanto prima possibile, tanto a livello delle forze politiche quanto a livello della opinione pubblica.
Di sicuro si tratterà comunque di un processo lungo, di progressiva presa di coscienza e connesso a quella idea di ruolo e di corresponsabilità del nostro Paese cui avevo fatto cenno in apertura.
Un processo che non potrà non prendere le mosse dal luogo nel quale società e istituzioni sono chiamate per eccellenza a confrontarsi attorno alle decisioni collettive: il Parlamento. Un processo quindi che dovrà necessariamente coinvolgere da oggi tanto voi quanto me.
Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati,
spero che questo confronto sia qua oggi già iniziato.
Nel rigraziarvi per la vostra pazienza e la vostra attenzione, rimango a vostra disposizione e vi assicuro il mio rispettoso ascolto.