Le raffinate incisioni all'acquaforte e i brutali uncini dei ronconi, le celate antropomorfe e gli intarsi in avorio delle balestre e delle pistole a ruota da caccia. Le più splendide armi e armature rinascimentali sono state allestite in un'esposizione intitolata "Armi e Potere".
Curata dallo specialista Mario Scalini, è stata la mostra più visitata d'Italia nell'ultimo anno e anche per questo motivo è stata appena prorogata fino al 27 gennaio. Voluta dalla direttrice del Polo Museale del Lazio, Edith Gabrielli è ospitata nella doppia sede di Castel Sant'Angelo e Palazzo Venezia, a Roma.
Le armi, da sempre compagne di vita e di morte dell'Uomo, nel Rinascimento cominciarono a rivestire una dimensione totalizzante, soprattutto in Italia. Dietro queste vi era tuttavia un sistema di valori che andava ben oltre il loro uso concreto, ossia il ferire, l'uccidere il nemico o, all'opposto, il difendersi. Nella società dell'epoca, che avvertiva il combattimento o almeno la minaccia della lotta in modo ricorrente e diffuso, le armi coinvolgevano aspetti sociali e rituali, simbolici e iconografici.
Ecco perché erano così frequenti i tornei e i festeggiamenti, le spettacolari autorappresentazioni rutilanti di colori e lambrecchini dei cavalieri in armatura, tipiche del ceto aristocratico e, appunto, combattente.
Se, nel Medioevo, maggior valore simbolico si attribuiva alla spada, l'armatura (intesa in senso stretto come imitazione delle forme del corpo per proteggerlo) era presente solo nella cultura occidentale. Sperimentate nuove tecniche di realizzazione durante il Rinascimento, essa assume ben presto una sua logica estetico-funzionale, divenendo un alter ego del gentiluomo fino all'età barocca. Si arricchisce, così di decori grazie alle abilità di sbalzatori, incisori, doratori e brunitori.
Il rapido affermarsi della polvere da sparo, poi, diede il via a una sorta di escalation delle armi da fuoco e naturalmente di adeguate contromisure difensive. Non minore peso ebbe l'assetto geo-politico: dal 1494 in avanti gli stati italiani divennero, di fatto, luoghi di scontro e di contese per le grandi potenze internazionali, prime fra tutte la Spagna e la Francia.
La mostra affronta ogni aspetto di questo complesso intreccio fra armi e uomini, mitologia e rappresentazione del potere.
Il pezzo più pregiato e sensazionale della collezione è la spada "a cinquedea" di Cesare Borgia, il duca Valentino, figlio di papa Alessandro VI. Per secoli è rimasta chiusa nei bauli della nobile famiglia Caetani che, essendo stata duramente colpita dai Borgia, non aveva mai voluto esporre il prezioso cimelio. Con la dipartita dell'ultimo membro della stirpe, la fondazione Caetani si è decisa a concedere la spada per l'esposizione, per la prima volta.
Un altro pezzo formidabile è l'armatura di Cosimo I de' Medici del quale, nel 2019, ricorreranno i 500 anni dalla nascita.
Di particolare interesse è la mazza ferrata trecentesca, unico esemplare esistente, della stessa tipologia di quella riprodotta da Giotto come attributo dell'allegoria della Fortezza nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Pregevoli per valore artistico, le rotelle da parata e gli scudi cerimoniali, decorati come veri e propri dipinti. Tra questi, uno scudo del 1540 che, come umbone, reca una strana maschera che pare evocare quasi uno stregone Maya o Inca. Le armi da fuoco esposte non sono troppe, ma compensano il numero limitato con la qualità o rarità spesso altissima dei singoli esemplari.
Attribuito all'armaiolo Matteo Piatti, un pezzo notevole è il "busto a farsetto" risalente al 1570 circa. Si tratta di una corazza pettorale chiusa sulla schiena che riprende in tutto e per tutto un vestito, un farsetto appunto. I raffinati ricami sono incisi all'acquaforte (ovvero con degli acidi) e persino i bottoni sono riprodotti in acciaio creando un effetto generale di affascinante mimesi con il morbido tessuto.
Accanto ai pezzi della collezione armiera di Castel S. Angelo, figurano quelli provenienti dalla collezione Odescalchi che merita qualche informazione in più. Non si tratta di un'armeria gentilizia, formatasi nel corso dei secoli, bensì della raccolta nata per la passione collezionistica del principe romano Don Ladislao Odescalchi (Roma 1846- Principato di Monaco 1922), che nell'arco della sua vita raccolse, da competente e raffinato intenditore, circa 2000 pezzi di grande valore, scelti tra armi difensive, armi bianche, armi in asta, da botta e da petto, armi da parata del '500. E ancora, armi tedesche, austriache e svizzere, balestre, armi da fuoco e armi orientali, (molte di esse fabbricate appositamente per il mercato europeo) e infine armi archeologiche.
Un personaggio affascinante: secondogenito del principe Livio III e della ricchissima gentildonna polacca Sofia Branicka, fu un protagonista indiscusso della vita mondana a Roma, tra i due secoli e fornì un modello a Gabriele d'Annunzio per tratteggiare il personaggio del dandy Andrea Sperelli Fieschi protagonista del suo romanzo "Il Piacere". Anche per questa contingenza, la mostra quindi è piena di sottotesti e rimandi alla storia e alla letteratura.