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Giacomo Balla. Dalla mostra sul periodo romano all'interventismo

Libri e Eventi - Ada Fichera

Roma,  15 gennaio 2019

​Chissà se il futurista torinese Giacomo Balla (1871-1958), quando dipingeva la "meravigliosa piccola conflagrazione umana", aveva la lontana idea di quanto il suo tratto e la sua creatività potessero rappresentare nell'ambito della storia italiana ed europea.
Egli è stato uno dei maggiori esponenti del movimento futurista, del quale firmò, infatti, insieme a Marinetti ed altri intellettuali italiani, i manifesti che ne definivano gli aspetti teorici e ideali.
Dopo aver frequentato l'Accademia Albertina, dove studiò prospettiva e composizione geometrica, Balla proseguì la sua formazione presso uno studio fotografico molto noto del capoluogo piemontese, che divenne presto anche un salotto per noti personaggi dell'alta borghesia cittadina, come ad esempio Edmondo De Amicis e Pellizza da Volpedo.
Il primo periodo, fervidamente prolifico in ambito artistico, fu poi quello romano.
Nella capitale dal 1904, l'artista si rivelò un divisionista di spicco, riunendo intorno a sé moltissimi giovani allievi.
Egli abitava nella capitale in via Parioli in un antico monastero. Dalla sua stanza poteva ammirare la natura e la città, da uno scorcio che, a differenza di oggi, era di periferia e dai grandi paesaggi bucolici.
Questa fase, relativa alle vedute romane e naturali, durò fino al 1910, anno in cui realizzò il grande polittico Villa Borghese, nel quale il tema della natura ai confini della città diventò, rimembrando in parte il post-impressionismo di Paul Cézanne, materia da indagare, da provare e riprovare, da scarnire fino all'astrazione.
Del periodo romano di Balla, è possibile ammirare, fino al 17 febbraio, una trentina di opere per la prima volta riunite nell'ambito di una interessante mostra allestita presso il Museo Carlo Bilotti di Roma.
Dal 1911, iniziò per lui il periodo "eroico" del Futurismo: dal tema della rondine vista dal balcone romano, si passò all'idea di progresso e di Velocità astratta dell'Automobile in corsa, delle "Linee-forza" di paesaggio, delle "Trasformazioni", delle "Forme-spirito", fino ad arrivare al noto Mercurio che passa davanti al sole (1914).
Balla era fermamente convinto che la luce e il movimento fossero l'essenza della realtà, tutto il resto era illusione e pura apparenza.
Giunti quasi al termine delle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra, ci sembra dunque interessante ricordare questo grande artista in particolare per la sua fase "interventista".
Egli volle realizzare, nel corso del primo conflitto mondiale, una "fusione totale - come egli stesso scrisse - per ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente".
La Grande Guerra suscitò in Balla un forte coinvolgimento emotivo, ideologico e artistico, che lo portò a schierarsi per l'interventismo.
L'artista si definì "anti-neutrale" già nei mesi antecedenti alla pubblicazione del Manifesto Ricostruzione Futurista dell'Universo (1915), sul quale poi il dinamismo pittorico e plastico si collegarono alle "parole in libertà e all'arte dei rumori".
La portata rivoluzionaria dell'ideale interventista condusse Balla a spingersi oltre il dinamismo puro, realizzando numerose tele dove giunse ad una simultaneità ambientale, temporale, psicologica e sensoriale.
L'artista si dedicò ad una vera e propria esaltazione estetica del conflitto, che trovò la sua raffigurazione nelle Dimostrazioni Patriottiche, che superarono i suoi precedenti cicli di compenetrazioni iridescenti dedicati alla velocità.
L'enfasi del conflitto e la forza dello spirito interventista oltrepassarono la concezione plastica e dinamistica a favore del ritmo e dell'astrazione, al di là del mondo naturale.
Egli stesso definì il suo ciclo "interventista": un'unità plastica e per sé stante, veicolo di sentimento universale e simultaneo.
Le manifestazioni che si svolgevano frequentemente in Italia ispirarono Balla in modo ulteriore. Si pensi alla sua tela Forme Grido Viva l'Italia, che realizzò su spunto della manifestazione di piazza del Quirinale del 21 maggio 1915, durante la quale il re urlò appunto "Viva l'Italia".
Altra opera dello stesso ciclo è Dimostrazione interventista (1915), ricca di elementi simbolici di patriottismo, come ad esempio il centrale nodo sabaudo, e di netto disaccordo con il neutralismo.
Tutti i dipinti di questa fase "patriottica" vennero realizzati con una presenza dominante dei colori della bandiera italiana e di sintesi cromatiche astratte attinenti ai temi della guerra.
La realizzazione del ciclo proseguì anche dopo il 1915, come dimostra il bozzetto Cannonate + stato d'animo (1916) per la copertina della rivista Gli avvenimenti.
Giacomo Balla, sul finire del conflitto, nel 1918, pubblicò anche il Manifesto del colore, dove analizzò il ruolo di quest'ultimo nella pittura d'avanguardia.

Egli è stato uno dei principali artisti del periodo della Grande Guerra, fondamentale oggi non solo per ricostruire l'ideologia e i fatti relativi a quella fase storica, ma anche per comprendere i trent'anni successivi di arte e cultura del nostro Paese.