Udienza in C.C. in data 18.9.1997 - Sent. n. 5033 Reg. Gen. n. 33063/97
Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
La Corte Suprema di Cassazione Sezione Prima Penale
composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Bruno SACCUCCI - Presidente
Dott. Torquato GEMELLI - Consigliere
Dott. Severo CHIEFFI - Consigliere
Dott. Giovanni SILVESTRI - Consigliere
Dott. Vincenzo Luigi TARDINO - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da PRIEBKE Erich, nato a Berlino il 29 luglio 1913.
avverso l'ordinanza in data 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma.
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Torquato GEMELLI.
Lette/udite le conclusioni del P.M. con le quali questi chiede con sentenza in data 22.7.1997 il Tribunale militare di Roma ha ritenuto Erich PRIEBKE colpevole di omicidio aggravato (dalla crudeltà e dalla premeditazione) e continuato, commesso il 24 marzo 1944 in Roma, località "Cave Ardeatine", durante lo stato di guerra fra l'Italia e la Germania, in danno di 335 persone per lo più cittadini italiani, militari e civili, che non prendevano parte alle operazioni belliche e lo ha condannato, in concorso alle attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.) e dell'attenuante di cui all'art. 59 n.1 c.p.m.p. (essendo stato determinato dal superiore Herbert KAPPLER - concorrente unitamente ad altri militari tedeschi - a commettere il reato), alla pena di 15 anni di reclusione, dichiarando condonati 10 anni in virtù di D.P.R. di clemenza succedutisi nel tempo. I giudici hanno indicato "entro il 15 settembre 1997" il termine per il deposito della sentenza. Lo stesso Tribunale, con ordinanza in data 4.8.1997, ha rigettato l'istanza di revoca della misura cautelare, imposta all'imputato, presentata dai difensori, i quali hanno proposto appello deducendo che erroneamente con la pronuncia della sentenza non era stato dichiarato estinto il reato per intervenuta prescrizione e che, comunque, l'esiguità della residua pena da espiare, tenuto anche conto della prevedibile applicazione di benefici penitenziari, costituiva un fatto nuovo idoneo a far ritenere irragionevole l'esistenza del pericolo di fuga, col superamento del "giudicato cautelare" sul punto.
L'ordinanza suddetta è stata confermata dal Tribunale militare di Roma costituito ex art. 310 c.p.p., il quale ha ritenuto inconferente la questione attinente alla prescrizione, potendo questa essere oggetto soltanto d'impugnazione da proporre avverso la sentenza di condanna suindicata, e persistente il concreto pericolo di fuga delPRIEBKE. I difensori dell'imputato hanno proposto ricorso avverso quest'ultimo provvedimento, emesso in data 22.8.1997, deducendo la violazione degli artt. 299 e 273, nonché dell'art. 274 lett. b) c.p.p. ed altresì vizi di motivazione. Lamentano che, con argomentare apodittico, il Tribunale ha sorvolato sulla questione dell'estinzione del reato quale fatto sopravvenuto che imponeva la revoca immediata della misura coercitiva, sulla base del solo giudizio prognostico della relativa causa estintiva da applicarsi, la cui omissione balzava evidente dal dispositivo della sentenza, che non aveva tratto corretta conseguenza al riguardo dal contenuto del "decisum", che avrebbe dovuto comportare l'estinzione della misura cautelare personale ex art. 300 c.p.p.. Quanto al permanere dell'esigenza cautelare di cui alla lettera b) dell'art. 274 c.p.p., è illogico ritenere irrilevante l'esiguità della pena residua da scontare nell'ipotesi del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, situazione questa che ragionevolmente induce ad una prognosi negativa in ordine al concreto pericolo di fuga; tanto più che è prevedibile un'espiazione ancor più ridotta in virtù dell'applicazione di benefici penitenziari, conseguenti all'irreprensibile comportamento del PRIEBKE, "in vinculis" e agli arresti domiciliari; e che è del tutto illogico il richiamo a precedenti decisioni, attinenti alla sussistenza del pericolo di fuga, pronunciate anteriormente alla celebrazione del giudizio di primo grado quando era ipotizzabile anche una condanna all'ergastolo. Dunque, insussistenza allo stato di concreti elementi da cui possa desumersi una reale, probabile o possibile, preparazione della fuga, non ancorabile certo a richiami all'allarme sociale o al mancato pentimento dell'imputato, fatti inspiegabilmente dal giudice del merito. Chiedono, pertanto, che sia annullata l'ordinanza impugnata. In data 13.9.1997 il difensore dell'imputato ha prodotto documento proveniente dalla Procura federale di Dortmund e attestante il periodo di detenzione trascorso dal PRIEBKE nei campi di prigionia alleati, deducendo che detto periodo sommato a quello trascorso in custodia cautelare dal 9.5.1994 supera la pena di 5 anni che residua dalla complessiva di 15 anni di reclusione inflitta in I grado ed alla quale sono stati applicati vari indulti per un totale di 10 anni: scatta, dunque, il disposto del quarto comma dell'art. 300 c.p.p., con conseguente perdita di efficacia della custodia cautelare. La difesa ha introdotto in sede di legittimità questione non attinente al "thema decidendum" (revoca della misura cautelare), ma all'estinzione di detta misura, con l'irrituale allegazione documentale: questione inammissibile e comunque "ictu oculi" manifestamente infondata non coprendo interamente la custodia cautelare sofferta e la pretesa sommatoria della stessa con un dato disomogeneo, costituito dall'internamento del PRIEBKE nei campi di prigionia di guerra, la pena che residua a seguito degli indulti applicati; sicché, in ogni caso, non potrebbe conseguire l'estinzione della misura cautelare a norma del quarto comma dell'art. 300 c.p.p., non risultando la residua pena irrogata pari alla durata della custodia già subita. Tanto premesso, il primo comma dell'art. 299 c.p.p. stabilisce, tra l'altro, che le misure coercitive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 c.p.p., norma quest'ultima che impone al giudice anche la prognosi relativa alla sussistenza di una causa di estinzione del reato o della pena, con conseguentedivieto in caso affermativo dell'applicazione o, nell'ipotesi dell'art. 299 citato, del mantenimento della misura stessa. Nel caso in esame, da una parte il fatto sopravvenuto è la sentenza di condanna, la cui ingiustizia o erroneità è deducibile non in questa sede cautelare ma in sede di giudizio di cognizione conseguente all'(eventuale) impugnazione, dall'altra - in aderenza a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.71/96 - non può farsi valere una concezione rigorosa e astratta dall'autonomia del provvedimento incidentale "de libertate" rispetto a quello di merito, altrimenti si giungerebbe alla conclusione, inaccettabile secondo il principio di gerarchia scaturente dall'ordinamento processuale che prevede la preminenza del giudizio di cognizione su ogni altro di tipo prognostico, che incidentalmente vi si innesti, e non tollera il concorso di due diverse pronunce giurisdizionali sulla responsabilità, con la conseguenza di ritenere possibile la rivalutazione del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza in qualsiasi momento del processo e così anche dopo l'intervento di una sentenza di condanna fondata sul pieno merito e suscettibile di passaggio in giudicato. Sicché, intervenuta sentenza di condanna, il "decisum" è talmente incisivo da assorbire ogni altro giudizio prognostico in materia di misura cautelare personale. Per quanto attiene alla censura relativa alla sussistenza del pericolo di fuga, a parte l'inconferenza dell'eventuale applicazione di benefici penitenziari, inattuale fino alla definitività della sentenza, il costrutto argomentativo dei giudici del merito non si palesa affatto manifestamente illogico: il Tribunale militare, partendo dal presupposto che non necessariamente una pena di non lunga durata è situazione idonea ad escludere la volontà di sottrarsi all'espiazione, ha ancorato l'esigenza in questione alla lunga latitanza del PRIEBKE, sintomatica di probabile intenzione di evitare le conseguenze dell'accertata responsabilità per i gravi fatti commessi, con l'ausilio di "occulte organizzazioni internazionali di matrice nazista che, secondo dati di comune esperienza, hanno agevolato la sottrazione alle ricerche di numerosi criminali di guerra". Tanto più che "la mancanza di elementi indicativi di un pentimento" dell'imputato autorizza ragionevolmente a ritenere l'inflitta "sanzione percepita come ingiusta". E' stata, quindi, data ragione della prognosi negativa inducente a far ritenere che permanga l'esigenza cautelare in questione. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Segue l'obbligo del PRIEBKE di pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 18 settembre 1997
IL GIUDICE ESTENSORE
Torquato GEMELLI
IL PRESIDENTE
Bruno SACCUCCI