REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Tribunale Militare di Roma
Ufficio del Giudice dell'Udienza preliminare
Il Giudice dell'udienza preliminare all'udienza del 7 dicembre 1995 ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. N. 712/A/94 a carico di Erich PRIEBKE, nato a Berlino (Germania) il 29 luglio 1913, già Capitano delle "SS" germaniche, residente in San Carlos de Bariloche (Argentina), Calle 24 de Septiembre 167, in atto ristretto presso il Carcere militare di Forte Boccea in Roma; imputato di: "CONCORSO IN VIOLENZA CON OMICIDIO CONTINUATO IN DANNO DI CITTADINI ITALIANI" (artt. 13 e 185, co. 1 e 2 C.p.m.g., in relazione agli artt. 81, 110, 575 e 577, nn. 3 e 4 e 61, n. 4 C.p.) per avere, quale appartenente alle forze armate tedesche, nemiche dello Stato italiano in concorso con KAPPLER Herbert ed altri militari tedeschi (già giudicati), con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed agendo con crudeltà verso le persone, cagionato la morte di 335 (trecentotrentacinque) persone, per lo più cittadini italiani, militari e civili, che non prendevano parte alle operazioni belliche, con premeditata esecuzione a mezzo colpi di arma da fuoco, in Roma, località "Cave Ardeatine", in data 24 marzo 1944, durante lo stato di guerra tra l'Italia e la Germania.
FATTO E DIRITTO
Al termine delle indagini preliminari il P.M. chiedeva il rinvio a giudizio di Erich PRIEBKE per il reato di "concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani" di cui in rubrica.
All'odierna udienza, preliminarmente vengono presentate dai difensori dei soggetti ai quali il reato ha recato danno (ovvero dai successori universali), ai sensi degli artt., 74 ss. c.p.p., dichiarazioni di costituzione di parte civile. Viene inoltre chiesta, ai sensi degli artt. 232, comma 1, n. 2 e 233 c.p.m.g., la trasmissione degli atti, per competenza, all'autorità giudiziaria ordinaria. Sulla seconda questione è emessa, sentite le parti, separata ordinanza. Sulla questione relativa alla ammissibilità della costituzione di parte civile il P.M., preso atto dell'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiede che la costituzione delle parti civili non sia ammessa e sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 270 c.p.m.p., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.; i difensori delle persone offese chiedono che le parti civili siano ammesse, ovvero che sia sollevata questione di legittimità costituzionale; i difensori dell'imputato si oppongono, in via principale, alla ammissione della parte civile, in via subordinata non si oppongono alla proposizione della questione di legittimità costituzionale.
2. Secondo l'art. 270 c.p.m.p. "l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non può essere proposta davanti ai tribunali militari". Dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale molto si è discusso sulla perdurante vigenza di questa disposizione, negata da numerosi organi giudiziari militari, nella considerazione che, ai sensi dell'art. 207 disp. coord. C.p.p., anche nei procedimenti relativi a reati militari si osservano le disposizioni del codice di procedura penale. La controversia è stata infine risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che (con sent. 14 dicembre 1994, Trombetta) hanno affermato l'inammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento penale militare, ritenendo che tale deroga alla normativa comune non sia in contrasto con le linee fondamentali tracciate dal legislatore nel nuovo codice di procedura penale.
Poiché, dopo l'intervento delle Sezioni Unite, la questione non appare suscettibile di ulteriore disamina sul piano interpretativo, questo giudice ritiene debba essere proposta la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 270 c.p.m.p.
La rilevanza della questione, anzitutto, non appare dubbia, dato che, in applicazione dell'art. 270 c.p.m.p. dovrebbe essere emesso un provvedimento con cui viene dichiarata l'inammissibilità nel presente procedimento delle domande di costituzione di parte civile.
La questione appare inoltre non manifestamente infondata per violazione degli artt. 2 e 24 Cost.. E' vero che una analoga questione di costituzionalità è stata ritenuta infondata (Corte cost., 22 febbraio 1989, n. 78), per la ragione che non sussisterebbero "vincoli costituzionali che vietino o impongono l'esperibilità dell'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno nel processo penale militare".
E' tuttavia da considerare che il contesto normativo in base al quale la questione va esaminata è mutato con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (avvenuta dopo la pubblicazione della predetta sentenza della Corte): uno degli obiettivi del nuovo codice è costituito infatti proprio dalla salvaguardia della posizione della persona offesa dal reato (la cui coincidenza non di rado ricorrente con la persona del danneggiato determinerà nella fase del processo l'applicazione della disciplina specificamente prevista perle parti private diverse dall'imputato: cfr. Relaz. al prog. prel. del c.p.p., in G.U., 24 ottobre 1988, suppl. ord., p. 41).
E' certo che le principali innovazioni in tema di tutela della persona offesa sono state stabilite dal codice in relazione alla fase delle indagini preliminari (sulla particolare valorizzazione del ruolo della persona offesa, soprattutto nella fase delle indagini preliminari, avutasi con il nuovo c.p.p., cfr. Corte cost. n. 353/1991 e n. 413/1994), ma ciò proprio perché, in relazione al processo, è con la costituzione di parte civile che la persona offesa si inserisce a pieno titolo fra le parti processuali.
La contemporanea vigenza, per il processo penale militare, delle norme riguardanti i diritti di iniziativa e di intervento della persona offesa (o dei prossimi congiunti di essa nel caso di cui all'art. 90 co.3 c.p.p.) e della norma preclusiva di cui all'art. 270 c.p.p., conduce quindi ad una situazione normativa paradossale: alla persona offesa sono infatti riconosciuti specifici poteri nella fase delle indagini preliminari (es. art. 410 e 413 c.p.p.), mentre invece la stessa persona offesa nelle fasi successive può esercitare (in luogo dei più ampi poteri riconosciuti alla parte civile: cfr. ad es. art. 316 co. 2, 421 co. 2, 493 co. 2, 498 co. 2, 503 co. 1, 504, 523, 576 c.p.p.) esclusivamente, o quasi (cfr. es. art. 428 co. 3, c.p.p.), i diritti previsti in generale dall'art. 90 c.p.p. (presentazione di memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicazione di elementi di prova).
A conferma della sopravvenuta incongruità della disposizione contenuta nell'art. 270 c.p.m.p. va inoltre rilevato che nel processo penale militare non appare precluso l'intervento degli enti o associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato. Anche nel caso, infatti, che i rapporti tra processo penale militare e processo penale comune si ritengano ancora disciplinati dall'art. 261 c.p.m.p. - piuttosto che dall'art. 207 disp. coord. c.p.p. - non è rinvenibile nel codice penale militare alcuna disposizione da cui potersi desumere l'inapplicabilità degli artt. 91 ss. c.p.p.. La disposizione di cui al citato art. 270 c.p.m.p., in particolare, non appare assolutamente suscettibile di una interpretazione analogica tale da implicare, oltre al divieto di costituzione di parte civile, anche il divieto di intervento di enti o associazioni rappresentative degli interessi lesi dal reato. Di conseguenza, all'ente o associazione intervenuto nel procedimento penale militare sono riconosciuti, oltre all'esercizio dei diritti e delle facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato (art., 91 c.p.p.), specifici poteri (cfr. art. 505 e art. 511 co. 6 c.p.p.). In sostanza, mentre nel processo penale comune si è voluto differenziare la posizione degli enti e associazioni riconoscendo a questi poteri meno incisivi di quelli attribuiti alla parte civile, nel processo penale militare, data l'inammissibilità della costituzione di parte civile, l'ente o associazione usufruisce di strumenti di intervento più ampi di quelli della stessa persona offesa (ciò che nel caso di specie non costituisce affermazione meramente teorica ma è coerente con la situazione processuale effettivamente determinatasi).-
La compressione dei diritti di difesa della persona offesa nel processo penale militare (derivante dalla inammissibilità della costituzione di parte civile9, e la disparità di trattamento fra persona offesa nel procedimento ordinario e nel procedimento militare, sembrano quindi irragionevoli, anche perché non risultano fondate sulla esigenza di tutela di alcun interesse meritevole di considerazione.
Secondo autorevole dottrina l'esclusione della parte civile troverebbe la sua sola reale ragione nella pretesa dell'istituzione militare di non consentire ad estranei di penetrare all'interno del processo penale militare e di avervi os ad loquendum, a darebbe quindi luogo ad una distorsione palese e macroscopica.
Dopo la riforma della giustizia militare avvenuta a partire dal 1981, palesemente non hanno infatti più attualità le ragioni che hanno portato il legislatore, nel 1941, a stabilire la regola di cui all'art. 270 cit.: ovvero che i tribunali militari si configurerebbero come giudici prevalentemente del fatto, senza capacità per l'apprezzamento di questioni di carattere patrimoniale (cfr. Rel. della Commiss. Reale ai prog. prel. del c.p.m.p. e del c.p.m.g., p.200). Tali considerazioni venivano infatti espresse quando nei tribunali militari la presidenza numerica nei collegi giudicanti era attribuita a ufficiali delle Forze armate e non a magistrati (sulla "evoluzione complessiva dell'ordinamento giudiziario militare di pace, diretta a perseguire l'assimilazione della magistratura militare a quella ordinaria", cfr. Corte cost., 22 febbraio 1995, n. 71).
A conferma del fatto che la situazione normativa oggi sottoposta all'esame della Corte costituzionale è ben diversa, non solo da quella del momento di emanazione dei codici penali, ma anche a quella esistente nel 1989, va ricordato, che nella citata sent. N. 78/1989, la Corte, fra le considerazioni finali e, in certo senso, risolutive, affermava che "ancor oggi, malgrado la legge n.180 del 1981, permangono, infatti, non poche diversità tra il diritto penale sostanziale ordinario ed il diritto penale speciale militare e la specialità del diritto penale sostanziale militare non può non riflettersi sulla specialità del procedimento penale militare (e, per citare soltanto un esempio, vale ricordare la diversità dei parametri per l'obbligatorietà o la facoltatività del mandato od ordine di cattura, tanto più dopo la legge 5 agosto 1988, n. 330)".
Ebbene, va rilevato che, rispetto alla normativa vigente nel momento in cui tali considerazioni venivano espresse, attualmente alcune delle principali diversità del diritto penale sostanziale militare sono state eliminate (v. in ordine al tema più dibattuto negli ultimi anni, concernente l'applicabilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi per i reati militari e le pene militari, Corte cost., sent. 15 giugno 1995, n. 284), Ancora più significative sono poi le modifiche intervenute con riguardo al processo penale militare. Anzitutto non è dubbio, né è escluso nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, 14 dicembre 1994, cit., che le norme del codice di procedura penale ispirate a principi fondamentali del nuovo modello processuale trovano applicazione anche nel processo penale militare. Così, in tema di misure cautelari, a prescindere da qualche affermazione dottrinale, non sono stati espressi dubbi sulla applicabilità integrale delle norme del codice di procedura penale (art. 272 ss. c.p.p.) piuttosto che delle disposizioni di cui agli artt. 313 sg. c.p.m.p. (v. in proposito Cass., 22 marzo 1991, Pagliarini): anche nel presente procedimento, quindi, i provvedimenti in tema di libertà personale dell'imputato sono stati adottati in applicazione delle norme di procedura penale comune. Va aggiunto che la Corte costituzionale, a partire dal 1989, ha dichiarato l'incostituzionalità, a quanto risulta, di tutte le norme speciali attinenti al processo penale militare che sono state sottoposte al giudizio di costituzionalità (cfr. sent. 26 ottobre 1989, n. 429, sull'art. 308 c.p.m.p.; sent. 9 ottobre 1990, n. 469, sull'art. 377 c.p.m.p.; sent. 23 maggio 1990, n. 274, sull'art. 402 c.p.m.p.; sent. 6 luglio 1994, sull'art. 365 c.p.m.p.), così che l'art. 270 c.p.m.p. rimane in sostanza l'unica norma processuale militare, ritenuta ancora vigente, che contenga una significativa deroga alla procedura penale comune.
Va peraltro anche rilevato che l'intervento della parte civile nel processo penale non è limitato strettamente alla valutazione delle questioni di carattere patrimoniale. Basti ricordare che, ai sensi dell'art. 577 c.p.p., la persona offesa, solo se costituita parte civile, può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione. Inoltre si è ritenuto che sussistono utili margini di intervento della parte civile a tutela dei propri diritti nelle udienze fissate a seguito di richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., avendo la parte civile interesse a interloquire anche in ordine alle questioni inerenti la congruità della pena o la sospensione condizionale della pena patteggiata (Cass., 26.11.1991, Di Maulo; lo stesso art. 444 è stato d'altro canto dichiarato costituzionalmente illegittimo della Corte cost., sent. n. 443/1990, nella parte in cui non prevede che il giudice possa condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile).
3. la disparità di trattamento nella tutela dei diritti di difesa della persona offesa nel processi penale militare appare poi particolarmente evidente in ordine ai reati, come quello contestato nel presente procedimento, che sono lesivi in modo specifico di interessi della persona, piuttosto che di interessi attinenti il servizio e la disciplina militare.
Il reato di cui all'art. 185 c.p.m.g. è infatti caratterizzato dalla "non estraneità alla guerra" delle cause che hanno determinato l'atto di violenza contro persone civili che non prendono parte alle operazioni militari. Ciò comporta senza dubbio la qualificazione del fatto come "crimine di guerra" e la applicazione delle norme, sostanziali e di giurisdizione, previste per i reati militari. Non sembra tuttavia, specificamente nei casi in cui la violenza consiste nell'omicidio, che il bene principale protetto sia ravvisabile in un interesse militare, piuttosto che nella vita e nei diritti inviolabili dell'individuo. Ciò è fatto palese anche dal rinvio alle pene previste dal codice penale, con un aumento facoltativo della pena detentiva temporanea.
Appare quindi del tutto privo di giustificazione che mentre nel procedimento per il reato comune di omicidio sia ammessa la costituzione di parte civile i diritto della persona offesa non abbiano una corrispondente protezione nel processo per il reato militare.
Appare così in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di inviolabilità del diritto di difesa la disposizione secondo cui il soggetto che subisca una offesa a beni della personalità in conseguenza di un reato militare, non possa esercitare nel processo penale dinanzi al giudice militare tutti i diritti riconosciuti nel processo penale alla persona offesa, ivi compreso quello, che appare il più significativo, concernente la facoltà di costituirsi come parte civile.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.87;
Solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 270 del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, ritenendo tale questione rilevante e non manifestamente infondata;
DISPONE
La sospensione del procedimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
ORDINA
che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Roma, 7 dicembre 1995
Seguono le firme