PRECLUSIONE PER PREGRESSO GIUDICATO SUI MEDESIMI FATTI
I ricorsi di entrambi gli imputati lamentano la mancata applicazione del disposto contenuto nell'art. 669, comma 8, c.p.p.. Tale norma disciplina le ipotesi di sentenza di proscioglimento e di sentenza di condanna pronunciate per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona. I ricorrenti invocano l'applicazione analogica del principio con riferimento alla sentenza del 1948 che riguarda sì un medesimo fatto, ma soggetti diversi: la Corte avrebbe pertanto dovuto emettere una decisione di improcedibilità ; ciò alla luce anche di una recente affermazione in tal senso della terza sezione di codesta Corte (10 luglio 1996, c. Petrino).
Per quanto riguarda HASS , la questione non aveva formato oggetto di appello e pertanto in questa sede dovrebbe ritenersi inammissibile; tuttavia, qualora venisse accolta per il PRIEBKE e sussistendo identità di posizione e di ricostruzione fattuale, l'improcedibilità dovrebbe estendersi anche al coimputato.
I ricorrenti evidenziano il fatto che la sentenza del tribunale militare territoriale di Roma del 1948 condannando KAPPLER aveva assolto gli altri militari tedeschi che si trovavano nella stessa situazione processuale dei due attuali imputati, nei confronti dei quali non potrebbe dunque essere oggi pronunciata sentenza di condanna, configurandosi altrimenti un conflitto teorico di giudicati.
La sentenza impugnata, invece esattamente esclude (pag. 90) che possa configurarsi un conflitto teorico di giudicati in quanto la sentenza del 1948 ha sanzionato la oggettiva illiceità del fatto, pronunciando le assoluzioni solo sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Per giungere a tali conclusioni la Corte militare di appello inizialmente afferma che "il confronto con la sentenza irrevocabile del 1948 non impedisce di procedere oltre, fermo restando che di volta in volta questo giudice dovrà accertare che singoli accertamenti o valutazioni non si pongano in contrasto con il precedente giudicato e quindi che siano processualmente consentiti"; procede poi a un riesame delle prove raccolte nel processo del 1948 sostenendo che quella sentenza non fornisce indicazioni delle specifiche relazioni tra fatti accertati ed evidenze probatorie utilizzate, cosa che rende arduo il confronto tra il ragionamento seguito dal giudice e le sue fonti e che sono sopravvenute alcune risultanze probatorie che impongono una attenta riconsiderazione di alcuni punti o passaggi di quella narrazione. (pag. 93).
Gran parte della sentenza impugnata è pertanto dedicata alla riconsiderazione della dinamica della formazione e della veicolazione dell'ordine ricevuto da KAPPLER : dopo aver riesaminato le deposizioni rese nel 1948, afferma che l'insieme delle risultanze di cui sopra consente solo di dubitare circa l'esatto contenuto dell'ordine di fucilazione... la sua provenienza, la sua esecutività, le modalità con cui è stato veicolato a KAPPLER... la versione fornita da KAPPLER non può pienamente convincere... prende allora corpo la possibilità che il KAPPLER... è estremamente probabile che l'ordine... sollecitato dallo stesso KAPPLER ... ciò che accadde in seguito... fu dunque risultato di una sceneggiatura orchestrata dallo stesso KAPPLER.... (pagg. 97 ,98).
I ricorrenti evidenziano l' ipoteticità della ricostruzione operata in sentenza, la quale prosegue poi analizzando lo zelo dimostrato da KAPPLER e le ritenute motivazioni del suo agire.
Questa parte della motivazione, anche se in alcuni punti contraddittoria, non evidenzia la manifesta illogicità lamentata. Inoltre scarsa rilevanza ai fini dell'accertamento della responsabilità a carico degli attuali imputati riveste la ricostruzione della condotta e del dolo in capo a KAPPLER fintanto che tali elementi non si riverberino in qualche modo sulla condotta e sulla ricostruzione dell'elemento soggettivo relativi a questi ultimi.
La motivazione potrebbe ritenersi opinabile anche nella parte in cui afferma essere intrinsecamente poco credibile la decisione del 1948 relativamente al presunto "errore " nel conteggio delle vittime: tuttavia la sentenza di primo grado, alla quale la decisione impugnata fa rinvio (pagg. 45, 46, 47, 48, 49) non evidenzia la manifesta illogicità censurabile. Occorre infatti rilevare che sul punto sono state altresì valutate emergenze non sussistenti nel 1948, quali la deposizione CECCONI e soprattutto la dichiarazione di HASS ( pag. 118 sentenza impugnata ) secondo il quale KAPPLER diede ordine a PRIEBKE di procedere alla fucilazione delle cinque persone che erano state condotte sul luogo dell'esecuzione in eccedenza rispetto al numero previsto.
Il motivo di ricorso appare a questo requirente infondato nonostante la giurisprudenza citata dalla difesa di PRIEBKE (sentenza 10 luglio 1996, Cassazione pen. III sez.) nella quale è valutato il caso del compartecipe nel reato che venga assolto per ragioni estensibili anche al primo : è evidente che, nel caso di specie, ferma la ricostruzione dei fatti peraltro ammessa dagli stessi imputati, si tratta di operare l'accertamento della sussistenza del dolo in capo singolarmente a ciascuno di loro, senza che a tale accertamento possa essere opposta alcuna preclusione, dovendo essere comunque valutata l'estensibilità o comunanza dei motivi di assoluzione.
DIFETTO ASSOLUTO DI MOTIVAZIONE (APPARENTE, ILLOGICA, OMESSA CONSIDERAZIONE DI CIRCOSTANZE DECISIVE E TRAVISAMENTO DEI FATTI) - difesa PRIEBKE
Il ricorrente evidenzia, in un' ottica difensiva, l'opinabilità della ricostruzione effettuata dalla Corte Militare di Appello con riferimento ai seguenti punti:
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la derivazione dell'ordine dell'eccidio;
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la mancata considerazione di circostanze che confermano l'effettivo svolgimento dei fatti con riferimento all'uccisione delle cinque persone oltre al numero previsto : in merito lamenta irragionevolezza della motivazione quanto alla ritenuta possibilità -senza alcun appiglio probatorio - che siano saliti sui camion che trasportava coloro che erano stati avviati all'esecuzione persone estranee alle liste, ipotizzando trattarsi di familiari di coloro che già erano stati fatti salire, che non volevano separarsi da loro, o persone che ritenevano di essere portate a lavorare in Germania;
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l'affermazione, indimostrata, che il PRIEBKE si accorse delle cinque persone in più e che decise ugualmente di farle fucilare, nonché l'illogicità dei motivi che l'avrebbero spinto a tale decisione;
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la indimostrata potestà decisionale del PRIEBKE, non avendo la Corte tenuto conto delle dichiarazioni di KAPPLER nonché del fatto che il comando dell'operazione era stata affidato ad altri ,così come la scelta della località e il prelevamento dei detenuti a Regina Coeli.
Si tratta, effettivamente, di ricostruzione dei fatti in gran parte basata su ipotesi e indizi, ma agganciata a emergenze processuali valutate nel merito dalla corte d'appello e pertanto sottratta alle censure di legittimità, non essendo palesemente emersa la necessaria manifesta illogicità.
ERRONEA INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE PENALE IN PUNTO SUSSISTENZA DELLA SCRIMINANTE DELL'ADEMPIMENTO DEL DOVERE (ART.40 C.P.M.P.).
STATO DI NECESSITÀ QUANTOMENO PUTATIVO.
Le difese di entrambi gli imputati lamentano l'erroneità dell'interpretazione data al concetto di manifesta criminosità dell'ordine, nonché contraddizioni e affermazioni non supportate da prove e omissioni di valutazione di prove e argomenti evidenziati nell' atto di appello.
Così non sarebbero state prese in considerazione le deposizioni di DOMIZLAFF, il quale riferì che KAPPLER alla riunione preparatoria parlò ai subordinati del tribunale delle SS, che tutti sapevano durissimo anche contro i familiari del colpevole (argomentazione già contenuta nell'appello). Inoltre le minacce dello SCHUTZ sono state interpretate come esclusivamente rivolte ai sottufficiali e alla truppa, senza una prova in tal senso; parimenti non sarebbe stato tenuto conto di quanto riferito dal consulente di parte relativamente a condanne alla pena di morte per rifiuto di obbedienza irrogate a militari tedeschi nell'ottobre 1941, nell'estate 1944 e nell'aprile 1945.
Neppure, ai fini dell'eventuale riconoscimento dello stato di necessità putativo, sarebbe stato considerato il breve lasso di tempo (24 ore) intercorso tra la ricezione dell'ordine e l'esecuzione dello stesso ; inoltre la sentenza, al fine di escludere la sussistenza della scriminante, evidenzia solo il fatto che KAPPLER convinse il WEJTEN ( il quale in un primo tempo si era rifiutato ) a partecipare alle uccisioni.
La sentenza, dopo aver correttamente escluso la sussistenza della necessità militare e del giustificato motivo (pagg. 123 e seguenti), richiamando in parte la sentenza del 1948, con ampia motivazione - anche se con alcune contraddizioni e omissioni - ha escluso la sussistenza delle scriminanti con una valutazione di merito non manifestamente illogica e perciò non censuralabile in questa sede. Il fatto che le minacce di SCHUTZ siano state ritenute rivolte solo ai sottufficiali e alla truppa è correttamente ricavato dalla considerazione che gli ufficiali si erano dichiarati in precedenza tutti d'accordo a dare l'esempio, partecipando personalmente alle uccisioni.
AGGRAVANTI DELLA PREMEDITAZIONE E DELL'AVER AGITO CON CRUDELTÀ
Sul punto la sentenza appare correttamente motivata e i motivi di ricorso conseguentemente infondati.
In particolare, mentre la prova della ferma risoluzione criminosa perdurante nell'animo può essere logicamente ricavata per il PRIEBKE dalla sua partecipazione ad attività preparatoria quale la formazione delle liste, confermata dal coimputato HASS , e per quest'ultimo dalla persistenza del dolo nella fase esecutiva alla quale ha partecipato con l'uccisione di due prigionieri, con un intervallo di alcune ore tra le due esecuzioni ; per entrambi inoltre la premeditazione può essere ricollegata - come si esprime la sentenza - alla loro stessa dichiarata adesione all'ordine criminoso.
Per quanto riguarda l'aver agito con crudeltà, l'aggravante non può certo essere esclusa, come vorrebbero i ricorrenti, sulla base della considerazione che nella condotta da loro tenuta non è ravvisabile quid pluris rispetto alle modalità di esecuzione consegnate agli stessi nel momento in cui l'ordine è stato impartito: è bensì vero che dalla stessa sentenza (pag. 16) si ricava il fatto che il KAPPLER ha impartito dettagliate istruzioni circa il modo dell'esecuzione; ciò tuttavia non significa che gli esecutori delle uccisioni non si siano resi conto e non siano stati perfettamente consapevoli della evidente crudeltà delle stesse.
D'altro canto non si può sostenere che, essendo state impartite precise modalità operative, l'ordine sul punto sarebbe stato impeditivo di difformi comportamenti quando risulta accertato, nella stessa sentenza impugnata, che proprio l'ordine non doveva essere eseguito perché la sua esecuzione era manifestamente criminosa.
MANCATA CONCESSIONE ALL'HASS DELL'ATTENUANTE DELLA MINIMA PARTECIPAZIONE AL FATTO (ARTICOLO 59 N. 2 C.P.M.P.)
Pienamente condivisibile appare la motivazione per quanto riguarda la ritenuta non necessità di formale contestazione dei fatti ostativi alla concessione dell'attenuante e, soprattutto, l'affermazione che l'imputazione non riguarda un unico, inesistente, reato militare di ECCIDIO, bensì i fatti integrano il reato di omicidio plurimo. Pertanto con riferimento alle due uccisioni compiute personalmente dall'imputato non si può certo parlare di minima partecipazione al fatto; mentre il contributo fornito per tutti gli altri omicidi (con la presenza sul luogo e l'esempio) sarà esclusivamente valutabile sotto il profilo dell'aumento di pena per la continuazione.
MANCATA CONCESSIONE DELLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE
Entrambi gli imputati lamentano erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, per avere la sentenza ritenuto non applicabile l'attenuante, in violazione della relativa disciplina e utizzando un argomentare manifestamente apodittico e illogico.
I ricorrenti analizzano dettagliatamente le motivazioni della sentenza evidenziando contraddizioni e illogicità argomentative.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientra nel potere del giudice di merito. Quindi questi non è tenuto a un'analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o ricavabili dagli atti del procedimento, ma è sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (Cassazione penale Sez. prima 22 maggio '92, Ventre)... la negazione delle attenuanti generiche risulta adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto (Cassazione penale Sez. prima 19 ottobre '92,Gennuso); tuttavia ( persino nel caso di patteggiamento) al giudice incombe pur sempre l'obbligo di una motivazione congrua e comunque immune da vizi logici e giuridici in ordine alla delibazione dell'applicabilità delle circostanze (Cassazione penale, Sez. II, 2 giugno 1995, Leoni).
Il grande margine di discrezionalità che, nella sua valutazione di merito, consente al giudice di primo e secondo grado di valutare, positivamente o escludendone ogni rilevanza, altre circostanze diverse da quelle espressamente indicate nel codice, non esime il giudice stesso dall'obbligo di formulare una motivazione logica, coerente, non contraddittoria e corretta sotto il profilo dell'interpretazione della norma.
Vediamo brevemente le argomentazioni contenute nella sentenza.
In primo luogo, sotto il profilo della cosiddetta " ultrattività "della legge penale militare di guerra, la corte militare di appello correttamente conclude per l'applicabilità astratta dell' attenuante in quanto la stessa è stata introdotta nell'ordinamento nel 1944, in epoca successiva al fatto contestato, ma quando la legge penale militare di guerra era ancora applicata e vigente.
Esclude, poi, la fondatezza di operazioni trancianti, in un senso o nell'altro (pag. 175) : "... la sola gravità oggettiva del fatto, di per sè, non può costituire elemento invalicabile alla concessione dell'attenuante in parola...".
La corte militare di appello esamina, quindi, i singoli elementi favorevoli elencati dalla sentenza di primo grado escludendo valenza alla considerazione che gli imputati avevano preso parte al massacro non per entusiastico delittuoso protagonismo, ma solo perché chiamati ad assolvere ruoli consequenziali alle funzioni da loro più ampiamente esercitate nell'organigramma del comando tedesco in Roma: ciò in quanto sarebbe, secondo la Corte, del tutto indimostrato il tasso di positività di tale elemento.
Altri elementi erano stati considerati positivamente del giudice di primo grado:
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la condotta susseguente al reato, stante l'assenza di successive condotte criminose giuridicamente ascrivibili ai due imputati, essendo il PRIEBKE vissuto in Argentina senza nascondere la propria identità e senza commettere ulteriori reati e avendo l' HASS lavorato per i servizi informativi segreti;
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il comportamento processuale degli imputati i quali, anche se si sono sottratti all'esame dibattimentale, hanno comunque ammesso di aver personalmente cagionato la morte di due prigionieri, pur in un quadro complessivo volto a sminuire i propri rispettivi ruoli;
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l'età avanzatissima degli imputati.
Tutti questi elementi sono stati dalla sentenza impugnata valutati addirittura negativamente.
Così, in ordine al primo elemento, si legge: " si consideri come l' HASS abbia avuto ampie possibilità di sottrarsi all'esecuzione richiestagli e come sia invece rimasto insensibile... sicché non si può che ravvisare in un bieco opportunismo la motivazione che lo ha spinto all'azione ; tale opportunismo lo si ritrova, del resto, nella sua ulteriore condotta di vita, nel corso della quale ha messo a disposizione i propri servigi per le cause più disparate, in una torbida condizioni di semi clandestinità del tutto incompatibile con le esigenze di un riscatto limpido e lineare delle proprie colpe. in tale ottica si può spiegare anche l'episodio della sua collaborazione per la liberazione del professor Vassalli...".
Per quanto riguarda il PRIEBKE la sentenza così argomenta: " si consideri come egli abbia mostrato nel fatto commesso quella glacialita' di carattere che lo aveva fatto emergere... l'obbedienza agli ordini non era necessità eteroindotta ma profondamente calata nel comune sentire... la spinta criminosa che mostra è frutto della immarcescibile certezza di essere nel giusto prima che soltanto nel doveroso e di questa professione di fede ... perversamente proclamata egli riempie con coerenza la propria vita... la sua età avanzatissima e' in questo senso un valore profondamente negativo giacché mantiene completamente inalterata la sua capacità a delinquere intesa come capacità riflettente del fatto commesso nella personalità dell'autore. gli anni, in conclusione, sono passati inutilmente per Hass e Priebke , la cui vita vissuta appare la cinica conferma della ineguagliabile malvagità esibita nella commissione del reato; lungi dal poter essere invocati ai fini di un'attenuazione della loro colpa, rappresentano la riprova della meritevolezza della massima pena.."
Poco prima (pag. 180) la Corte afferma: " gli indici di rilevazione della capacità a delinquere... mostrano infatti come la tendenza criminosa dei due imputati manifestata nel delitto sia pienamente radicata nella personalità degli autori, come tale delitto appartenga pienamente al loro modo d'essere e non costituisca un mero incidente di percorso."
Tale motivazione in primo luogo contrasta con la giurisprudenza che afferma che " ... la mancanza di resipiscenza, ancorché rilevata dal comportamento processuale, può giustificare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in quanto confermativa di una personalità negativa e non in quanto espressione di scelte difensive di per sè non valutabili siccome riconducibili all'esercizio del diritto di difesa. (Cassazione penale, Sez. prima, 14 ottobre 1993,Contino).
In secondo luogo, e principalmente, le tesi sostenute in sentenza, mentre sotto alcuni profili si rivelano mere congetture supportate solo da ipotesi e possibili ricostruzioni ma non da prove, evidenziano complessivamente quella manifesta illogicità censurabile in questa sede.
Infatti, mentre la sentenza inizialmente afferma che non è sufficiente la sola gravità del fatto per negare la concessione delle richieste attenuanti generiche, subito dopo esclude ogni valenza positiva a elementi che secondo costante giurisprudenza dovrebbero invece essere favorevolmente valutati, solo perché sempre ricollegati e riferiti ( con un metodo interpretativo a volte sganciato da prove e supportato solo da mere congetture o ipotesi ) alla gravità dei fatti contestati.
Così non si comprende perché la certezza di essere nel giusto, il fatto che l'obbedienza agli ordini non era necessità eteroindotta ma profondamente calata nel comune sentire, la coerenza di vita, la stessa tesi difensiva degli imputati di aver obbedito a un ordine ritenuto legittimo - anche se smentita dall'interpretazione correttamente data all'ambito di operatività della scriminante dell'adempimento del dovere - debbano essere valutati quali elementi negativi ai fini della concessione del attenuanti generiche.
Lo stesso discorso vale per gli ulteriori elementi della mancata successiva commissione di altri reati, dello stesso trascorrere il tempo,e, per l'imputato HASS, della condotta di vita antecedente al reato (elemento escluso dalla Corte, ai fini di una positiva valutazione, sulla base della considerazione che manca la prova che l'imputato non fosse consapevole dei crimini che si perpetravano nella prigione nazista) e dell'aver lavorato per i servizi informativi segreti (valutata quale una torbida condizione di semi clandestinità del tutto incompatibile con l'esigenza di un riscatto limpido e lineare delle proprie colpe per avere l'imputato messo a disposizione i propri servigi per le cause più disparate - quali non si dice ): tutti elementi che secondo il comune sentire dovrebbero rivestire una valenza positiva, ma che sono stati in sentenza illogicamente ribaltati in negativo in quanto tutti agganciati alla cosiddetta figura del "tipo d'autore", non prevista dall'ordinamento giuridico italiano.
In sentenza infatti si legge: " gli indici di rilevazione della capacità a delinquere... mostrano infatti come la tendenza criminosa dei due imputati manifestata nel delitto perpetrato sia pienamente radicata nella personalità degli autori, come tale delitto "appartenga" pienamente al loro modo d'essere e non costituisca un mero incidente di percorso...".In tale ottica si spiegano le ulteriori affermazioni - che non possono essere condivise : " la sua età avanzatissima è in questo senso un valore profondamente negativo giacché... egli mantiene completamente inalterata la sua "capacità a delinquere" intesa come capacità riflettente del fatto commesso nella personalità dell'autore."
Questo requirente ritiene pertanto che sul punto i ricorsi debbano essere accolti.
MANCATA CONCESSIONE DELL' ATTENUANTE DI CUI ALL'ARTICOLO 59,N. 1,C.P.M.P.
I ricorrenti eccepiscono erronea interpretazione della legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante, prevista nel codice penale militare, per l'inferiore che è stato determinato dal superiore a commettere il reato.
La sentenza esclude la concessione di detta attenuante principalmente sulla base dell'attribuzione al termine DETERMINAZIONE di un significato diverso rispetto a quello corretto.
A pag. 161 si legge: " più probabile che il legislatore con l'espressione... determinazione abbia invece designato una condotta di approfittamento di una posizione di supremazia e della condizione di minorazione della capacità di resistenza psicologica di una persona... maggiore è il grado di colpevolezza del determinatore (rispetto all'istigatore) non perché ha fatto sorgere un proposito criminoso prima insussistente, ma perché ha abusato di una posizione di supremazia che gli ha consentito di vincere minori resistenze... più attenuato è il grado di colpevolezza del soggetto determinato non perché senza la determinazione altrui egli non avrebbe commesso il reato, ma perché la sua minorata capacità a fronte dell'abuso rende meno riprovevole la deliberazione di commettere il reato, comunque assunta... non si tratta di verificare se senza l'ordine i due odierni imputati di loro iniziativa avrebbero o no commesso gli omicidi ascritti loro perché tale problematica è estranea alla dimensione tutta soggettiva della attenuante in parola, ad integrare la quale occorre rilevare una volontà colpevole meritevole di minor riprovevolezza... se, ad onta della palese criminosità della prestazione richiesta, l'inferiore si motiva all'azione, non si può parlare dello sfruttamento di una posizione di minorazione psicologica da parte del superiore, ma di una sua piena collaborazione su base paritaria al reato in concorso... il rilievo dell'ordine e della determinazione che tramite questo si realizza resta confinato nella sfera meccanicistica, nel senso che nello svolgimento dell'attività militare la gran parte delle prestazioni è fisiologicamente ricollegabile ad una volontà superiore, poco o punto spazio essendovi per l'iniziativa del singolo, che non impinge la sfera della colpevolezza, che resta integra nonostante la obiettiva riconducibilità della condotta del concorrente all'ideazione criminosa del superiore... evidentemente nell'impianto originario del codice l'attenuante trovava spazio applicativo in altre situazioni, in cui l'influenza del superiore, la sua autorità, la sua qualità, la sua posizione gerarchica avessero indotto l'inferiore alla commissione del reato, a prescindere dal ricorso all' ordine... in conclusione, siccome gli imputati trovarono in se medesimi e nel loro abito mentale la forza per commettere il delitto al quale erano chiamati senza che i superiori dovessero abusare del loro grado per convincerli, non essendovi determinazione rilevante non vi è ragione per muovere nei loro confronti un più tenue giudizio di colpevolezza e quindi per applicare la attenuante."
La sentenza sul punto appare confusa e contraddittoria.
Infatti, mentre da un lato limita l'ambito operativo della attenuante ai casi in cui il superiore, per determinare l'inferiore alla commissione di un reato, abbia fatto uso della sua influenza, autorità e qualità carismatiche, a prescindere dall'emanazione di un ordine, e afferma che nella fattispecie in esame più che di esecuzione di ordine si è trattato di accordo criminoso, dall'altro lato in precedenza aveva evidenziato le qualità carismatiche di comandante del KAPPLER nonché il fatto che PRIEBKE forse il suo braccio destro e quindi particolarmente a lui sottomesso.
Infine giurisprudenza e dottrina non richiedono, quale presupposto necessario per la sussistenza dell' attenuante in parola, che sia stato posto in essere alcun abuso del grado da parte del superiore.
D'altro canto il superiore per determinare l'inferiore a commettere un reato quale mezzo più efficace ha dell'ordine gerarchico utilizzato, come evidenzia la sentenza, ripetitivamente in tutte le attività quotidiane, il quale crea l'abitus mentale alla pronta esecuzione?
In giurisprudenza è stato evidenziato, trattando dell 'aggravante prevista dall'art. 112, n. 3, codice penale, che per la sua configurabilità occorre che tra i due compartecipi esista un vincolo di subordinazione di natura materiale e non puramente sentimentale poiché l'essenza dell'aggravante sta nell'influenza del superiore sul subordinato, influenza che costituisce un plus di fronte alla determinazione psicologica normale (Cassazione, 9 gennaio 1948,Multori); che il dipendente abbia commesso l'azione illegittima in conseguenza della preoccupazione delle rappresaglie che avrebbe potuto esercitare contro di lui l'istigatore. (Cassazione Sez. n. III, 30 novembre 1957,Daneri); parimenti, sotto il profilo dell'applicabilità dell'attenuante prevista dall'ultimo comma dell'articolo 114 codice penale, è stato affermato che, perché tale circostanza sia applicabile, occorre che sia provata la altrui determinazione al delitto, per la quale non basta l'aver provocato la semplice idea del reato ma occorre che il determinatore abbia fatto sorgere l'intenzione criminosa, facendo superare all' agente ogni dubbio in proposito (Cassazione penale, Sez. n. VI, 9 gennaio 1990,Cucumazzo); per l'altrui determinazione non basta che altri abbia provocato la semplice idea del reato ma occorre che ne abbia creato l'intenzione, cioè è necessario che con i mezzi posti in essere sia riuscito a formare nella mente altrui il proposito criminoso e a determinare, in definitiva, l'esecuzione del reato (Cassazione penale Sez. n. II, 2 febbraio 1989,Del Bono).
La stessa interpretazione in chiave critica della ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza del 1948, operata dalla sentenza impugnata, consente comunque di ritenere che vi fu un ordine di procedere alla "rappresaglia" proveniente dal vertice dell'organizzazione militare tedesca, recepito e trasmesso da KAPPLER ai suoi subordinati i quali, per inclinazione personale e per appartenenza a una struttura rigidamente gerarchizzata, hanno dato esecuzione all'ordine anche se manifestamente criminoso, e perciò vengono oggi ritenuti responsabili del crimine commesso: in tale situazione non si può logicamente escludere che gli inferiori siano stati determinati dal superiore a commettere il reato per il quale viene affermata la loro penale responsabilità .
Ne consegue la fondatezza del motivo di ricorso.
PRESCRITTIBILITA' DEL REATO
Entrambi i ricorrenti lamentano la mancata concessione di circostanze attenuanti, la quale avrebbe comportato la prescrizione del reato.
La sentenza di primo grado - richiamata sul punto dalla decisione impugnata - ha ritenuto di evidenziare due distinti argomenti.
Il primo - ritenuto decisivo - è relativo all'applicabilità della disciplina contenuta nell'art. 69 codice penale nella formulazione vigente al momento della cessazione dello stato di guerra.
La tesi è pienamente condivisibile. Pertanto, in presenza di circostanze aggravanti che stabiliscano una pena di specie diversa - le riconosciute aggravanti della premeditazione e della crudeltà - è escluso il giudizio di bilanciamento tra queste ultime e le eventuali circostanze attenuanti.
Da queste esatte conclusioni il tribunale ricava la imprescrittibilità del reato contestato in quanto punibile in concreto con la pena dell'ergastolo.
Quest'ulteriore passaggio non può essere condiviso per le seguenti considerazioni.
L'art.577, n. 3 e 4,c.p., configura due circostanze aggravanti, entrambe ritenute dal giudice di I° grado sussistenti, che comportano singolarmente la pena (di specie diversa) dell'ergastolo; l'art. 63, comma 4,c.p., prevede che in caso di concorso di circostanze che stabiliscono pene di specie diversa si applichi soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma che il giudice possa aumentarla. Prevedendo entrambe le aggravanti la pena dell'ergastolo, l'aumento facoltativo ricollegato alla seconda aggravante non risulta applicabile essendo la pena perpetua insuscettibile di aumento: ci troviamo così in presenza di uno dei casi "inerzia" della circostanza.
Non può pertanto sorgere alcun problema di bilanciamento con circostanze attenuanti eventualmente riconosciute.
Concludendo, il giudice di primo grado non ha tenuto conto del fatto che l'articolo 157c.p., al terzo comma, dispone: "nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell'articolo 69"; e quest'ultimo articolo, al suo quinto comma (ante riforma) prevedeva: "in tal caso (cioè quando il bilanciamento era escluso per la presenza di circostanze statuenti una pena di specie diversa) gli aumenti e le diminuzioni di pena si operano a norma dell'articolo 63..."; nel terzo comma di quest'ultima norma si legge : "quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa... l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzi detta."
Pertanto, qualora si ritengano concedibili circostanze attenuanti, dovendo le stesse operare, ai fini della prescrizione, sulla pena dell'ergastolo stabilita dalla circostanza aggravante ad effetto speciale, in esecuzione del disposto contenuto nell'articolo 65, n. 2,c.p., la pena in concreto da valutarsi per calcolare il tempo necessario per la prescrizione diventa quella della reclusione da 20 a 24 anni: con conseguente prescrizione della reato nel termine di 20 anni.
In adesione a tale interpretazione la giurisprudenza infatti, ha più volte affermato che "in caso di omicidio colposo aggravato ai sensi del primo capoverso dell'articolo 589 codice penale (misura della pena determinata in modo indipendente da quella ordinaria del reato) e commesso prima dell'entrata in vigore del DL 99/1974, la concessione delle attenuanti generiche rende applicabile, ai fini del computo della prescrizione, la precedente disciplina normativa più favorevole al reo, la quale consentiva la riduzione del termine prescrizionale a 5 anni" (Cassazione penale, Sez. n. IV, 18 dicembre 1982, Campitelli).
Il secondo argomento, sviluppato dalla sentenza di I° grado per escludere la prescrittibilità del reato e richiamato dalla Corte di appello, si riferisce alla immediata operatività interna delle norme internazionali in materia di imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità, senza la necessaria emanazione di una norma statuale che ne recepisca i contenuti. Pur nella consapevolezza che si tratta di una tesi non pacifica, questo Ufficio ritiene che il principio comunque possa essere invocato, con la conseguente imprescrittibilità del reato contestato ai due imputati.
RICORSO DELLA PARTE CIVILE
Il difensore di una parte civile propone ricorso contro la parte della sentenza relativa alla rifusione delle spese del giudizio di appello, negate al ricorrente sul presupposto della mancanza di una procura speciale per la fase di gravame.
L'articolo 100 comma 3 c.p.p. dispone che la procura vale solo per la fase nella quale è stata conferita, quando nell'atto non è espressa volontà diversa: il ricorrente afferma che nella procura speciale conferitagli in primo grado c'era il riferimento al procedimento, e pertanto, secondo costante giurisprudenza (Cassazione penale, Sez. n. VI, 8 marzo 1994; Cassazione civile, 27 giugno 1988, 4326) la procura stessa poteva ritenersi estesa anche al grado di appello in quanto è sufficiente che il difensore sia designato con locuzioni quali "la presente procedura", " per la presente causa" e simili.
La tesi appare fondata e si chiede l'accoglimento del ricorso.
CONCLUSIONI DEL P.G.M.
RIGETTO PER INFONDATEZZA DEI RICORSI DEGLI IMPUTATI RELATIVAMENTE AI PUNTI:
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preclusione per pregresso giudicato;
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difetto assoluto di motivazione, omessa considerazione di circostanze decisive e travisamento dei fatti;
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mancata applicazione delle scriminanti dell'adempimento del dovere e dello stato di necessità putativo;
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contestazione delle aggravanti della premeditazione e dell'aver agito con crudeltà;
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mancata concessione all'imputato Hass della attenuante della minima partecipazione al fatto.
Annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo esame in punto concessione delle circostanze attenuanti di cui agli articoli 62 bis C.P. e 59,n. 1,C.P.M.P.;
ESCLUSIONE DELLA PRESCRIZIONE DEL REATO.
ACCOGLIMENTO DEL RICORSO DELLA PARTE CIVILE
in punto spese di giudizio.