N. 1324/98 - N. 244/99 Pr. c.c.
Repubblica Italiana
Tribunale Militare di Sorveglianza
Il Tribunale Militare di Sorveglianza composto dai sigg.:
Dott. Fabrizio FABRETTI - Presidente
Dott. Fulvio SALVATORI - Mag. Mil. di Sorveglianza
Dott. Michele IANNELLI - Esperto
Dott. Igino TANCREDI - Esperto
ha pronunciato, all'udienza del 3 febbraio 1999, la seguente
ORDINANZA
in tema di rinvio dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 147, co.1 n. 2 c.p., richiesto da PRIEBKE Erich, nato a Berlino (Germania) il 29 luglio 1913 e residente a Bariloche (Argentina) in via XXIV Settembre n. 167, condannato all'ergastolo con sentenza della Corte militare di appello in Roma in data 7 marzo 1998, irrevocabile il 16 novembre 1998, per il reato di "concorso in violenza con omicidio aggravato e continuato in danno di cittadini italiani" (artt. 13 e 185, commi 1 e 2 c.p.m.g. in relazione agli artt. 81, 110, 575, 577, nn. 3 e 4, nonchè 61, n. 4 c.p.);
OSSERVA
1. Oggetto del procedimento è la richiesta avanzata dai difensori del PRIEBKE, ai sensi dell'art. 147, co.1 n. 2 c.p., di differimento della pena di cui alla sentenza citata in epigrafe, sulla base di allegata grave patologia fisica che, in rapporto con l'età molto avanzata del condannato (ultraottantacinquenne), ne determinerebbe, nello stato di detenzione inframuraria, "gravissimo pericolo per la vita" e si porrebbe "in evidente contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale dell'art. 27".
2. Prima di esaminare nel merito la istanza sopra detta occorre sinteticamente procedere ad una coordinata ricostruzione della legislazione che regola il beneficio richiesto alla luce della recentissima legge 27 maggio 1998, n. 165, che ha incisivamente novellato, oltre che taluni profili procedurali per l'esecuzione delle pene detentive (art. 656 c.p.p.), anche e soprattutto la materia della legge penitenziaria concernente le misure alternative alla detenzione.
Prima dell'entrata in vigore di quest'ultima legge, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva individuato i presupposti legittimanti il rinvio dell'esecuzione della pena ex art. 147, co.1 n. 2 c.p., sulla base di tre principi costituzionali: l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzioni di condizioni personali (art. 3); la salvaguardia della salute come diritto fondamentale dell'individuo (art. 32); non contrarietà del trattamento penitenziario al senso di umanità e funzione rieducativa della pena (art. 27). Da tali principi si facevano discendere come corollari: a) che le pene devono essere indefettibilmente eseguite nei confronti di tutti coloro che le hanno riportate; b) che tale esecuzione non è preclusa da eventuali stati patologici del soggetto suscettibili di un generico miglioramento a seguito del ritorno in libertà, non esistendo malato al quale la cessazione della detenzione non arrechi giovamento, quantomeno sotto il profilo psicologico; c) intanto uno stato morboso del condannato legittima il differimento dell'esecuzione in quanto la
prognosi sia infausta quoad vitam, ovvero il soggetto possa giovarsi in
libertà di cure e trattamento indispensabili non praticabili in detenzione, neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art. 11 comma 2 della legge di ordinamento penitenziario, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l'espiazione della pena si appalesi in contrasto con il senso di umanità di cui si è detto. Inoltre la Corte di Cassazione aveva pure stabilito che il precetto dell'art. 147, co.1 n. 2 c.p., messo in relazione con l'art. 47 ter della legge penitenziaria, che ha introdotto, come è noto, la misura alternativa della detenzione domiciliare inspirandosi ad un concetto di gradualità delle misure espiative nell'ottica del finalismo rieducativo, costituisce norma di chiusura del sistema, vale a dire che il condannato che si trova in condizione di grave infermità fisica e che non può essere ammesso a detto beneficio alternativo (limitato alle pene non superiori a due anni) acquisisce un vero e proprio diritto al differimento della pena qualora non possa essere curato nella struttura penitenziaria ovvero in altri luoghi esterni di cure.
3. La recente citata legge 27 maggio 1998 n. 165 nel ridisegnare, come si è già accennato, la procedura esecutiva delle pene, ha anche rilevantemente modificato il regime delle misure alternative alla detenzione, introducendo altresì una vera e propria nuova fattispecie espiativa. Il dato normativo saliente della innovazione è il comma 1 ter dell'art. 47 ter citato il quale, facendo specifico riferimento alle misure previste dagli artt. 146 e 147 c.p., si collega ai precedenti commi 1 e 1 bis completando quel percorso di chiusura del sistema espiativo cui si è sopra accennato, così potenzialmente consentendo la soluzione di qualsivoglia vicenda espiativa, anche di lunga durata, purchè contrassegnata da patologie gravi del condannato o da taluna delle altre condizioni eccezionali di cui agli artt. 146 e 147 c.p., nell'ambito del regime gradualistico - alternativo - domiciliare di cui si è detto. Tale conclusione si ricava agevolmente dalla esegesi della disposizione normativa in questione, laddove si stabilisce che: a) può essere applicata, sia pure con un termine di durata prorogabile, la detenzione domiciliare, anche se la pena supera il limite dei quattro anni; b) la detenzione domiciliare così disposta vale come, anzi costituisce prosecuzione della esecuzione della pena. Rimane però un ulteriore problema interpretativo da risolvere: a quale criterio di scelta fra le due opzioni, differimento della pena ovvero applicazione della nuova misura alternativo - provvisoria di cui si è appena detto, deve attenersi il Tribunale di sorveglianza nel risolvere i singoli casi concreti sottoposti al suo giudizio?
La estrema genericità del dettato del nuovo art. 47 ter comma 1 ter citato, con il richiamarsi tout court agli artt. 146 e 147 c.p., lascia insoluto il problema interpretativo della definizione di "grave infermità fisica" , anzi lo rende ancor più difficile con la sua sibillina locuzione di esordio: "quando potrebbe essere disposto il rinvio eccetera" . In difetto di un qualsivoglia criterio direttivo, non rimane all'interprete che fare ricorso ai consueti canoni interpretativi previsti dalla legge in generale e primo fra tutti al senso fatto palese dal significato letterale delle parole della disposizione normativa nonchè dalla intenzione del legislatore. Orbene, proprio ricorrendo a questo canone è possibile rinvenire una qualche indicazione proveniente dal legislatore: essa si ricava dai resoconti dei lavori parlamentari, laddove testualmente si legge (atti del Senato, seconda Commissione, relatore Fassone, seduta del 18 settembre 1997): "Pur ribadendosi l'intento di non appesantire la materia con l'affiancare altre tematiche penitenziarie, per quanto connesse, è parso tuttavia utile - dal momento che già la Camera dei Deputati è intervenuta sulla detenzione domiciliare disegnando il doppio binario (detenuti in condizioni particolari e detenuti ordinari) - completare l'innovazione utilizzando questa misura alternativa anche a proposito di una problematica che oggi affligge con frequenza la materia dell'esecuzione e cioè il rinvio obbligatorio o facoltativo della medesima a termini degli artt. 146 e 147 del codice penale. In questi casi, nei quali l'esecuzione delle condanna in termini di detenzione carceraria è ormai ineludibile, ma sussistono motivi umanitari o giuridici che impongono o consentono il rinvio, la radicale soppressione di ogni esecuzione può apparire difficilmente accettabile (se si tratta di persone che non hanno ottenuto misure alternative, ciò significa, di regola, che o la pena o la persona del condannato hanno un certo spessore criminale); mentre a rovescio una lettura restrittiva delle norme può pregiudicare delle reali istanze umanitarie. La tramutazione del tempo di attesa in detenzione domiciliare (non obbligatoria ma prudentemente valutata dal Tribunale di Sorveglianza) può conciliare le opposte esigenze, calmierare la domanda di rinvii, e comunque valere come espiazione."
Concludendo sul punto si può allora cautamente ritenere, così come traspare dalle stesse considerazioni del relatore della legge, che la scelta tra rinvio tout court dell'esecuzione della pena e applicazione del beneficio della detenzione domiciliare a termine, deve essere compiuta dal Giudice, attraverso la ponderata e "prudente valutazione" dei tre noti presupposti-interessi costituzionali in gioco nel caso di specie, dando la preferenza alla seconda soluzione (che non sacrifica alcuno degli interessi sopraddetti, tutte le volte che "la radicale soppressione di ogni esecuzione può apparire difficilmente accettabile" e, di converso, sussistono motivi umanitari o giuridici che impongono o consentono il rinvio.
4. Venendo ora all'esame del merito della richiesta sottoposta al giudizio del Tribunale e facendo applicazione dei criteri interpretativi in precedenza descritti, non si può non pervenire alla conclusione che le risultanze della perizia collegiale disposta sullo stato di salute del PRIEBKE integrano compiutamente la fattispecie prevista dal più volte richiamato comma 1 ter dell'art. 47 ter della legge penitenziaria.
Dalla perizia collegiale disposta dal Tribunale emerge un quadro diagnostico di: "Modesto stato ipertensivo con iniziale impegno retinico di I°, miocardiosclerosi senile ed impronta aritmogena (classe IV di Lown) priva dei caratteri clinici di aritmia maligna e rispondente in maniera soddisfacente alla terapia farmacologica, ridondanza dei lembi valvari della mitrale emodinamicamente non significativa. Placca eterogenea della carotide interna bilaterale con stenosi del 20%, senza
implicazioni emodinamiche. Aree piccolissime R.M.N. documentate di
reazione gliotica cerebrale su base microischemica e aree di sofferenza diffusa della sostanza bianca periventricolare, prevalentemente parieto-occipitale. Degenerazione artrosica a carico della colonna vertebrale, note di bronchite cronica enfisematosa, malattia di Dupuytren alla mano dx.
In buona sostanza, le problematiche cliniche lamentate dal PRIEBKE, sono da imputarsi ad un quadro di sofferenza vascolare polidistrettuale, su base aterosclerotica.
E' notorio come tale quadro patologico, rappresenti un grave fattore di rischio, soprattutto in relazione all'età anagrafica, alla storia naturale ed infine agli eventi prognostici.
Anche nell'elaborato peritale viene indicato che gli accidenti cerebrovascolari inducono morbilità e mortalità che sono correlate in modo esponenziale all'età; al di sopra dei 50 anni, per ogni anno di età, questi tassi raggiungono un valore quasi doppio, con lieve preponderanza per il sesso maschile. E' quindi procedura comune correggere per l'età l'effetto degli eventuali fattori di rischio, poichè molte altre variabili sono influenzate dal dato anagrafico (p.e. ipertensione e cardiopatie).
D'altronde nel caso di esame, non si può non tener conto, come del resto la stessa perizia sottolinea, che lo stile di vita in ambiente detentivo, caratterizzato da condizioni oltretutto lontanissime dalla cultura di appartenenza del soggetto, è ulteriore fattore di rischio di natura fortemente stressogena, che non può non contribuire ad aggravare le condizioni salutari descritte. In conclusione si può affermare che, sebbene le condizioni clinico-generali del soggetto appaiano, al momento, discrete, sussistono però ampiamente, nel quadro salutare complessivo nel condannato, quelle condizioni potenziali di "grave infermità" come sopra prospettate e descritte che, oltre che apparire incompatibili con l'ulteriore sua permanenza in carcere, giustificano la concessione del beneficio come ora previsto dal più volte richiamato art. 47 ter comma 1 ter della novellata legge penitenziaria.
Per altro verso occorre soggiungere, a conclusione e completamento dell'esame di tutti i profili della fattispecie in giudizio, che l'eventuale mantenimento in carcere del PRIEBKE nelle condizioni date, non potrebbe non essere ritenuto in contrasto con la direttiva umanitario-rieducativa che promana dall'art. 27 della Costituzione. Dovendosi infatti prescindere, nel presente giudizio, da ogni valutazione sul fatto storico che ha dato causa al procedimento a carico dell'imputato, non si può però sottacere che la severa condanna dell'ergastolo è intervenuta a distanza di oltre 50 anni dal fatto stesso, a seguito di lunga, laboriosa ed estenuante procedura, che ha richiesto numerosi e controversi giudizi prima di approdare alla decisione definitiva, e che ha colpito il PRIEBKE in età ormai vegliarda, conducendolo e tenendolo ininterrottamente in stato di restrizione già fin dalle primissime fasi del processo. Con la direttiva sopra richiamata il Costituente italiano ha inteso bandire dal trattamento penitenziario ogni nota di disumanità o crudeltà ed escludere dalla pena ogni carattere afflittivo che non sia inscindibilmente connesso con la restrizione della libertà personale.
Mantenere dunque in carcere una persona di età avanzatissima e malata quale è, come si è visto, il PRIEBKE, condannato nelle circostanze descritte, a pena perpetua, per reato commesso in tempo di guerra e perciò irripetibile, costituirebbe, di per sè solo, trattamento inutilmente afflittivo e dunque ripugnante al comune senso di umanità. A ciò si aggiunga che il mantenimento della detenzione in carcere del condannato precluderebbe, ab origine, ogni prospettiva di ravvedimento, rieducazione e risocializzazione (è noto che la legge penitenziaria prevede anche per l'ergastolano il potenziale accesso a taluni benefici, sia pure dopo trascorso un certo periodo di tempo, come, ad esempio, la liberazione condizionale, la liberazione anticipata, il permesso premio). Ciò renderebbe ancora più disumana l'ipotesi e la prospettiva cui si è accennato.
Di converso e per opposti motivi (vale a dire perchè la radicale soppressione di ogni esecuzione della pena de qua apparirebbe, per quanto si è chiarito in altra parte dell'ordinanza, difficilmente accettabile), non ritiene il Tribunale di concedere il richiesto differimento dell'esecuzione della pena. Alla fattispecie in giudizio ben si attaglia invece, come ampiamente si è chiarito, la nuova figura della detenzione domiciliare ora prevista dal più volte richiamato art. 47 ter, co. 1 ter della legge di ordinamento penitenziario. Ritiene il Tribunale che detto beneficio possa essere concesso per la durata di 1 anno.
P.Q.M.
- visti ed applicati gli artt. 147 c.p., 47 ter legge 26 luglio 1975 n. 354, artt. 678 e 666 c.p.p.;
- su conforme parere del Procuratore Generale;
RIGETTA
l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena avanzata dai difensori di PRIEBKE Erich;
AMMETTE
il condannato PRIEBKE Erich alla detenzione domiciliare per anni uno che decorreranno dalla data di sottoscrizione del verbale di accettazione delle prescrizioni sotto indicate, verbale che sarà redatto a cura dello Organo di Polizia che procede alla notifica (Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma), a cui viene trasmessa copia del presente provvedimento.
Impone all'interessato le seguenti
PRESCRIZIONI
(che potranno essere modificate dal Magistrato militare di sorveglianza)
l'interessato dovrà permanere in modo continuativo nel luogo della detenzione domiciliare e cioè, salvo diversa indicazione del ondannato, in Roma, via Cardinal Sanfelice n. 5, scala C, int. 12, piano 3° presso appartamento di proprietà GIACHINI Paolo;
visto l'art. 47 ter 4° comma della legge 26 luglio 1975 n. 354 e l'art. 284 c.p.p., dispone che l'interessato, in relazione alle proprie indispensabili esigenze di vita:
- possa recarsi presso ambulatori, servizi sanitari ed ospedalieri per
interventi, accertamenti diagnostici e cure; se sarà necessario il suo
ricovero in tali luoghi, il luogo del ricovero diverrà quello di detenzione domiciliare e l'interessato nè darà sollecito avviso agli Organi di Polizia competenti;
- possa comunicare e ricevere visite nel luogo di detenzione domiciliare da parte dei suoi familiari, dei suoi difensori e di altre tre persone al giorno; eventuali altre visite e comunicazioni che superano il detto numero giornaliero potranno essere autorizzate, previa richiesta, a seguito di specifica valutazione del Magistrato militare di sorveglianza.
L'ammissione alla detenzione domiciliare non avrà esecuzione se
l'interessato non sottoscriverà il verbale di accettazione delle prescrizioni in calce a questo atto;
MANDA
alla cancelleria per le comunicazioni e notificazioni di competenza.
Roma, 3 febbraio 1999
IL MAGISTRATO ESTENSORE
Fulvio SALVATORI
IL PRESIDENTE
Fabrizio FABRETTI