Dell'eccidio di Branzolino del 28 agosto 1944 furono vittime Giovanni Golfarelli, Ivo Gamberini, Secondo Cervetti e Ferdinando Dell'Amore, arrestati il 2 agosto 1944 dalla milizia fascista, torturati e in seguito condotti alla prigione, allestita nell'ospedale pediatrico di Forlì dai tedeschi, a disposizione di questi ultimi (dichiarazioni al S.I.B. di Ines Golfarelli del 22.7.1945, di Livia Mariani Gamberini del 20.7.1945, di Ernesta Arfelli Dallamore del 19.7.1945). Proprio in quella prigione li vide il sacerdote Gaetano Lugaresi (dichiarazione al S.I.B. di Gaetano Lugaresi del 19.7.1945), che udì quando essi furono chiamati per nome e portati via.
La notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944 un soldato tedesco era rimasto ferito per lo scoppio di un ordigno esplosivo; un'azione apparentemente ascrivibile ad una delle formazioni partigiane in quel periodo operanti, diversamente organizzate (ma sul punto della riconducibilità dell'azione alla Resistenza, le deposizioni dibattimentali dei testi Pettini e Fulgori introducono elementi di dubbio, come si vedrà in seguito).
Il giorno dopo i quattro italiani, prigionieri a Forlì, furono portati sul luogo del fatto e lì impiccati ai bordi della strada, nello stesso luogo dove si era verificato lo scoppio (deposizione dibattimentale del 9.10.2006 di Marcello Cimatti, e varie dichiarazioni al S.I.B.).
Proprio quel giorno, un gruppo di militari tedeschi dipendenti da un ufficiale con il grado di tenente, lo stesso che alloggiava da Aurelio Rossi nei pressi di San Martino di Villafranca e che li comandava, aveva requisito un asino del Rossi medesimo, e sull'animale aveva caricato picconi, vanghe e legname; aveva lasciato la fattoria e si era incamminato in direzione di Villafranca (dichiarazione al S.I.B. di Aurelio Rossi del 27.6.1945).
Domenico Sansoni verso le ore 17 vide passare il gruppo davanti alla sua proprietà, notando anche l'asino carico di picconi, pale e travi di legno. Un militare tedesco non compiutamente identificato, ma che per certo si chiamava Fritz, ed era l'attendente dell'ufficiale che come lui alloggiava dal Sansoni fin dall'inizio del mese di agosto 1944, disse al Sansoni medesimo che quei militari tedeschi che passavano, stavano andando ad impiccare alcuni partigiani. Sansoni, il giorno dopo, seppe che effettivamente quattro italiani erano stati impiccati a Branzolino (dichiarazione al S.I.B. di Domenico Sansoni, 18.7.1945).
Proprio per l'impiccagione i militari tedeschi radunarono sul posto un gruppo di italiani abitanti nella zona, tra i quali Aldo Cimatti ed Arturo Cimatti, oggi deceduti, fratelli di Marcello Cimatti. Per l'impiccagione fu utilizzato un patibolo formato da una trave sormontante due fusti, legati a delle corde, sui quali poggiava una tavola, sulla quale le vittime furono fatte salire con le mani legate dietro la schiena. Le vittime furono quindi tradotte sul luogo dell'uccisione dopo che i militari tedeschi ebbero provveduto a radunare le persone costrette ad assistere. Prima di dar corso all'impiccagione, l'ufficiale tedesco che la dirigeva parlò ai presenti avvertendo che quel giorno sarebbero stati impiccati dei prigionieri del carcere, ma che un'altra volta, le vittime sarebbero state scelte tra la popolazione. Nell'occasione, anche Arturo Cimatti vide bene l'ufficiale che dirigeva le operazioni, e che avrebbe poi rivisto dirigere anche quelle di San Tomè (deposizione di Marcello Cimatti in dibattimento).
Alcune delle persone costrette ad assistere, furono anche obbligate a collaborare all'impiccagione. Aldo Cimatti, in particolare, fu costretto a mettere il cappio intorno al collo di una delle vittime, e dopo lo raccontò al fratello Marcello (deposizione di Marcello Cimatti in dibattimento); poi furono abbattuti al suolo i fusti su cui poggiavano le vittime, determinandone così l'impiccamento. Ad alcune vittime fu anche sparato un colpo alla testa con le armi di ordinanza.
L'eccidio di Branzolino si svolse sotto la direzione e agli ordini di un ufficiale tedesco che vi presenziava, lo stesso ufficiale che dopo pochi giorni avrebbe diretto anche l'eccidio di San Tomè. Testimoni oculari dell'eccidio di Branzolino furono sia Aldo Cimatti, che Arturo Cimatti. E la deposizione dibattimentale di Marcello Cimatti consente di ritenere che l'ufficiale tedesco che diresse l'impiccagione a Branzolino fu lo stesso che, a distanza di pochi giorni, diresse anche quella a San Tomè. Mentre all'eccidio di Branzolino furono presenti Aldo Cimatti ed Arturo Cimatti, invece per quello successivo di San Tomè fu quest'ultimo Arturo Cimatti, e non anche Aldo, ad assistere alle impiccagioni insieme al fratello Marcello (deposizione di Marcello Cimatti, sull'eccidio di Branzolino: «teste: "c'erano due miei fratelli"; Pubblico ministero: "Due? Uno era Aldo"; teste: "Sì, [...] e l'altro era Arturo"»).
I parenti delle quattro vittime, così come anche tutte le altre persone che furono sentite dagli investigatori alleati nel 1945, furono informati dell'eccidio da terze persone, e non immediatamente (dichiarazioni al S.I.B. di Ines Golfarelli del 22.7.1945, e di Livia Mariani Gamberini del 20.7.1945). Taluni si recarono sul luogo dell'eccidio e videro i corpi delle vittime ancora appesi ai patiboli; fra quelli che vi si recarono, Enio Gamberini e suo padre (fratello di Ivo Gamberini), che videro i segni di torture (deposizione dibattimentale di Enio Gamberini del 16.10.2006).
Alcuni parenti delle vittime si recarono a San Martino di Villafranca per ottenere l'autorizzazione, da chi aveva il potere di concederla, a rimuovere e seppellire i corpi. Tutti i corpi, infatti, rimasero appesi ai patiboli almeno il 29 agosto, senza che fosse consentito di staccarli subito dai patiboli: «col calcio del fucile ci tenevano lontani [...] non volevano nemmeno che tagliassero la corda di questa gente che pendeva, e loro li scacciavano "fuori, fuori, via, raus!"» (deposizione di Enio Gamberini in dibattimento). Poi furono sepolti in una fossa comune (due di loro senza cassa). Tre delle salme avevano lesioni non solo conseguenti ad impiccagione ma anche ad uso di arma da fuoco alla nuca o comunque alla testa (dichiarazioni al S.I.B. di Ernesta Arfelli Dallamore del 19.7.1945, di Mario Cervetti del 19.7.1945, di Decio Lombardi del 2.7.1945).
Ernesta Arfelli, madre di Ferdinando Dell'Amore, fu informata dell'eccidio il giorno successivo; recatasi sul posto immediatamente, vide appese le quattro salme, fra cui quella di suo figlio. I cadaveri degli altri tre presentavano ferite di arma da fuoco ed uno aveva la testa parzialmente asportata. L'Arfelli seppe dagli abitanti del luogo che i militari tedeschi responsabili delle impiccagioni alloggiavano a Villafranca, dove ella si recò per avere l'autorizzazione alla sepoltura. Fu autorizzata a seppellire la salma, ma non a trasportarla in altro luogo (dichiarazione al S.I.B. di Ernesta Arfelli Dallamore, datata 19.7.1945).
Anche Mario Cervetti, padre di Secondo Cervetti, seppe dell'eccidio il giorno successivo. Giunto sul posto, vide i quattro corpi ancora appesi alle forche. Tra i corpi, c'era appunto quello di suo figlio Secondo, con un foro di proiettile alla testa. Recatosi a San Martino di Villafranca, ebbe da un militare tedesco, presumibilmente un ufficiale, l'autorizzazione a seppellire la salma, ma non quella a trasportarla altrove (dichiarazioni al S.I.B. di Mario Cervetti del 19.7.1945).
Decio Lombardi seppe anch'egli delle impiccagioni di Branzolino il giorno successivo, 29 agosto 1944. Recatosi sul posto il 30 agosto, vide i corpi ancora appesi alla trave di legno, con ferite di arma da fuoco alla testa (dichiarazione al S.I.B. di Decio Lombardi il 2.7.1945).
Aurelio Rossi era presente quando un uomo e una donna si presentarono in lacrime a casa sua, dicendogli che il loro figlio era stato impiccato il giorno prima, e chiedendo al tenente tedesco che ivi alloggiava il permesso di rimuovere e seppellire la salma. L'ufficiale li cacciò via insultandoli: «va via traditori!». Più tardi, un soldato tedesco confermò che quattro partigiani erano stati impiccati (dichiarazione al S.I.B. di Aurelio Rossi il 27.6.1945).
Guglielmo Furgani, abitante a Roncadello, presso la cui casa alloggiavano alcuni militari tedeschi tra i quali il caporalmaggiore Hans Hopp, apprese dell'eccidio di Branzolino solo agli inizi del mese di settembre del 1944. In particolare, apprese che quattro civili erano stati impiccati in località Branzolino, per il ferimento di un soldato tedesco. Pochi giorni dopo, un militare tedesco gli fece leggere un comunicato destinato alla popolazione civile in cui si minacciavano ulteriori violenze in caso di attacchi partigiani, violenze consistenti in uccisione di uomini, deportazione delle donne ed incendio delle case (dichiarazione di Guglielmo Furgani al S.I.B. il 10.7.1945). Tale comunicato, o uno simile, era stato redatto dal comandante Guttmacher, che lo fece leggere a Carmen Belli Marangoni in occasione di una sua visita nella casa di costei, e fu anche affisso alla porta di tutte le abitazioni dove erano alloggiati i tedeschi del reparto (dichiarazione al S.I.B. di Carmen Belli Marangoni, 28.6.1945, che ricordò come la minaccia di deportazione riguardasse anche i bambini).