Quanto avvenuto nella notte tra l'8 ed il 9 settembre 1944 fu un'azione partigiana. Infatti il documento in data 24.5.1945 dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, sede di Forlì («Relazione sugli impiccati nella località San Tomè»), riferisce che Celso Foietta, Antonio Zaccarelli, Michele Mosconi e Antonio Gori detto Natale collaboravano attivamente con le armate partigiane, ed in particolare che Celso Foietta e Antonio Zaccarelli facevano parte dell'8° Brigata Garibaldi. Maria Ruscelli Mosconi e Celso Gori dichiararono al S.I.B. che anche Michele Mosconi e Antonio Gori, detto Natale, appartenevano alla stessa 8° Brigata Garibaldi. Il documento in data 24.5.1945 aggiunge che in seguito ad un'azione effettuata dai partigiani - non precisa di quale formazione - furono impiccate sei persone, ossia i quattro e altre due persone non identificate (Emilio e Massimo Zamorani sono stati identificati successivamente). Si tratta dell'eccidio di San Tomè, seguito all'azione della notte immediatamente precedente.
L'azione rientra nell'ambito di applicazione del d.l.vo.lgt. 12.4.1945 n. 194, che dispone: «Sono considerate azioni di guerra, e pertanto non punibili a termini delle leggi comuni, gli atti di sabotaggio, le requisizioni e ogni altra operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo dell'occupazione nemica. Questa disposizione si applica tanto ai patrioti inquadrati nelle formazioni militari riconosciute dai comitati di liberazione nazionale, quanto agli altri cittadini che li abbiano aiutati o abbiano, per loro ordine, in qualsiasi modo concorso nelle operazioni per assicurarne la riuscita».
Secondo Cass. 23.2.1999, dep. 18.3.1999 n. 1560, Bentivegna, è da escludere che le operazioni considerate nell'articolo unico del decreto luogotenenziale siano «esclusivamente quelle "di contorno", non coinvolgenti diritti primari della persona umana. Il termine "operazioni", applicato ad un contesto che storicamente è di lotta armata, comprende qualsiasi atto, anche cruento, volto a combattere il nemico. La legge di guerra approvata con r.d. 8.7.1938 n. 1415, all. A, dedica l'intero titolo II alle "operazioni belliche", che comprendono "atti di ostilità" (capo II, sez. I) implicanti "l'uso della violenza" (art. 35), e il "bombardamento" (capo II, sez. II). L'interpretazione riduttiva del termine appare infatti non corretta dal punto di vista letterale, poiché contrasta con l'espressione "ogni altra" che immediatamente lo precede; collide con la struttura sistematica dell'articolo unico del decreto luogotenenziale, che collocando nell'ambito delle "azioni di guerra" gli atti menzionati non può prescindere da quelle che sono in genere la caratteristiche delle azioni nel cui novero gli atti medesimi sono inseriti; stride con la volontà del legislatore, desunta dalla situazione storica nella quale la norma è stata emanata, indirizzata ad attribuire riconoscimento di liceità ad ogni azione diretta alla liberazione del territorio nazionale ed alla fine del regime fascista, volontà palesemente espressa in una serie di disposizioni di legge dell'epoca e successive [disposizioni che la sentenza ricapitola, n.d.e.]. Si tratta di provvedimenti normativi connessi alla nostra storia, alla formazione della Repubblica Italiana ed ai principi sui quali la Costituzione si fonda (si pensi alla XII disposizione transitoria alla Costituzione), conformi alla "intenzione del legislatore" pur se considerata oltre al momento in cui è stata espressa ed in senso attuale». Per questo, già in precedenza Cass. SS.UU. civili 19.7.1957 n. 3053 ha stabilito che la lotta partigiana è una legittima attività di guerra. E del resto, la legge 11.11.1947 n. 1317, modificando l'art. 290 c.p., ha previsto come reato il vilipendio delle forze della Liberazione.
Per quanto la somiglianza possa far pensare che anche l'accaduto precedente, quello della notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944 fosse un'azione partigiana, non risulta un'attestazione dell'A.n.p.I. e restano alcuni dubbi. Il teste Pettini, comandante partigiano per il Comitato di liberazione nazionale, ha dichiarato: «avevamo dato un preciso ordine tassativo che non potevamo fare nessuna azione isolata in attesa del movimento degli inglesi [...] l'ordine era di non fare pazzie [...] non eravamo uomini così esperti nell'uso degli esplosivi come poi quell'attentato ha dimostrato essere, quindi c'era qualcuno che era molto esperto [...] già l'uso di quelle mine comportava rischi per la stessa persona che le usava». D'altra parte, considerato che le due azioni sono simili, e che una fa parte della Resistenza per esplicita dichiarazione dell'A.n.p.I., bisogna ridimensionare anche la valenza dell'ordine di non eseguire azioni isolate, e del tipo di congegno esplosivo usato, aspetti che sembrerebbero applicabili ad entrambe le azioni.
Inoltre, ammesso che l'accaduto della notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944 fosse opera di elementi non dipendenti dal Comitato di liberazione nazionale, non per questo sarebbe estraneo alla Resistenza, perché «l'art. 7 del d.legisl. 21.8.1945 n. 518 considera partigiani combattenti gli appartenenti sia alle formazioni armate inquadrate dipendenti dal Comitato di liberazione nazionale, sia a quelle non inquadrate. Quindi anche le squadre indipendenti sono state qualificate come organi combattenti dello Stato Italiano» (Cass. SS.UU. civili 19.7.1957 n. 3053).
Va anche detto che almeno altre attività dannose per i tedeschi, quelle nocive alle linee telefoniche, potevano essere compiute dai fascisti italiani, come ha ricordato il teste Duilio Fulgori in dibattimento: «La notte tagliavano i fili, dicevano che erano i partigiani. Invece dopo passato il fronte tre o quattro di Roncadello non sono mica venuti più a casa, sono rimasti al nord, e sono andati a casa e hanno trovato i fili che tagliavano: erano i fascisti». Non è chiaro se si trattasse di atti con fine di danneggiamento, oppure di furti del metallo, ma il teste si riferisce chiaramente a fascisti italiani che con lo spostamento del fronte verso nord, seguirono poi le forze armate tedesche, lasciandosi in casa alcuni fili tagliati.
Quindi, l'azione della notte tra l'8 ed il 9 settembre 1944 fu lecita. Anche l'azione della notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944 lo fu, a meno che fosse un'azione dei fascisti, come sembra ipotizzabile secondo la deposizione del teste Fulgori. Ma anche in quest'ultimo caso, non sarebbe stata comunque legittima una rappresaglia su vite umane, come si argomenta di seguito.