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14. Dieci italiani per ogni tedesco


È stato fatto riferimento all'uccisione di dieci italiani per ogni tedesco ucciso (sul punto è stata anche ricordata la sentenza Trib. mil. Torino 15.11.1999, Engel).

Un approfondimento di questo tema è necessario. Se fosse formalmente esistita una regola generale fissa, proprio di quel contenuto, certamente sarebbe stata manifestamente criminosa, ma il comportamento di chi - malgrado il dovere di disubbidire - vi si fosse attenuto, benché criminoso potrebbe aprire la strada a qualche considerazione con riferimento alla misura della pena. La pena dell'ergastolo è una pena fissa, ma l'isolamento diurno, che il collegio ritiene applicabile per i motivi che saranno esposti in seguito, ha un minimo ed un massimo.

Della fama di una tale regola in Italia, possono individuarsi almeno due remote tracce scritte.

Una è il comunicato tramite l'agenzia Stefani apparso, dopo l'eccidio delle Fosse Ardeatine, su vari quotidiani italiani sabato 25 e domenica 26 marzo 1944. L'ultimo paragrafo dice: «Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati [il riferimento è all'attacco partigiano in via Rasella, n.d.e.]. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco assassinato, dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest'ordine è già stato eseguito. - (Stefani).». Peraltro nel comunicato gli uccisi sono indicati come «criminali comunisti-badogliani», non sono identificati con la sola nazionalità; anzi, la parola italiano non compare come sostantivo, ma solo come aggettivo, nell'ambito della cooperazione. Quindi sembra esclusa - nel resoconto, e di conseguenza nella minaccia della successiva ripetizione - l'uccisione indiscriminata di italiani. E alle Fosse Ardeatine muoiono (non per fucilazione, ma per massacro) italiani e stranieri, partigiani e non, comunisti e anticomunisti. Fin dall'inizio, non vi è stata l'esatta esecuzione di un ordine.

L'altra - ma sempre connessa all'eccidio delle Fosse Ardeatine - è proprio nelle dichiarazioni degli alti ufficiali tedeschi processati subito dopo la guerra, ed in particolare di von Mackensen, Mälzer e Kesselring. In proposito, Law-Reports of Trials of War Criminals, The United Nations War Crimes Commission, Volume VIII, London, HMSO, 1948, case No. 43, The Trial of Von Mackensen and Maelzer, British Military Court, Rome, 18th-30th november, 1945, ed anche 1949, case No. 44, The trial of Kesselring, British Military Court at Venice, 17th february-6th may, 1947.

Forse lasciata intendere da chi aveva interesse a fabbricarsela, e poi custodita da innumerevoli racconti, la regola dieci italiani per ogni tedesco è divenuta chiave di una storia orale, e allo stesso tempo testo invisibile su cui si fondano chiose e argomenti, si agitano moniti e rabbuffi; è un esempio sconcertante di come la categoria del fatto notorio possa trasformarsi in una trappola. Di solito se ne parla attribuendole esattezza numerica, durata illimitata, estensione a tutto il territorio occupato e remota origine: balugina da enormi altezze, si carica di ineluttabilità, terrifica e allo stesso tempo giustifica. Chi cerca di discolparsi la invoca come severo riferimento e come prova di incrollabile fedeltà, chi ne fa un elemento d'accusa la esecra e la monumentalizza: entrambi attingono alla stessa aura di leggenda. Per chi esercita la violenza essa dimostra la fermezza, quindi l'autocontrollo, cioè l'elezione; per chi la subisce dimostra l'inevitabilità del lutto, quindi l'inferiorità, cioè la colpa, quasi in una simmetria che avvicina gli assassini e le vittime nella difesa di un mito. Cioè di una sistemazione ordinata della realtà: il mito di una regola è realmente una regola.

Certo, l'uccisione di più di uno dei loro per ognuno dei nostri è una realtà atroce di cui difficilmente si troverebbe il primo inventore, essendo stata messa in atto ben prima della seconda guerra mondiale.

Qui si ipotizza tuttavia una specifica regola di proprio dieci per ognuno, pubblicizzata e impartita in via generale alle forze armate tedesche in tutta l'Italia occupata, per tutta la durata dell'occupazione. Una regola generale e fissa, diversa da ordini limitati nel tempo e nello spazio.

Ebbene, l'esistenza di una regola proprio in questi termini non è dimostrata, ed anzi essa manca nei più importanti provvedimenti generali di Kesselring (alcuni citati in Corte mil. appello Roma 24.11.2005 n. 99, Langer). I provvedimenti di Kesselring contro la Resistenza in Italia sono successivi a quelli decisi dalla Germania contro la Resistenza nell'Europa orientale, ossia alla Kampfanweisung für die Bandenbekämpfung im Osten vom 11. November 1942, Anhang 2 zur H.Dv.1ª, Seite 69, Lfd. Nr.1 (nota anche come Merkblatt 69/1), ed alla sua integrazione con la Bandenbekämpfung del 16.12.1942. Anche quelli di Kesselring preannunciano conseguenze gravissime per chi contrasta l'occupazione tedesca, ma non contengono la proporzione proprio dieci italiani per ogni tedesco. In proposito, ancora Law-Reports of Trials of War Criminals, The United Nations War Crimes Commission, Volume VIII, London, HMSO,1949, case No. 44, The trial of Kesselring, British Military Court at Venice, 17th february-6th may, 1947.

Di fatto, degli eccidi commessi dalle forze armate tedesche in Italia, molti non sono affatto successivi a morte di tedeschi; molti di quelli che lo sono, hanno vittime in numero anche superiore al multiplo dieci (sino al multiplo settanta, ed oltre). Del resto, considerando proprio i fatti di questo processo, l'unico tedesco morto per causa delle due azioni cui sono seguiti gli eccidi di Branzolino (28 agosto 1944) e di San Tomè (9 settembre 1944), è morto in ospedale il 22 settembre 1944, e perciò sia al momento del primo eccidio, che al momento del secondo, non era morto nessun tedesco.

Tuttavia anche nel caso in esame vi è stata una minaccia contenente un multiplo, di cui è bene ricostruire dettagliatamente i passaggi secondo il materiale istruttorio, cominciando dal primo eccidio, il cui comunicato col multiplo, però, è riferito dalla deposizione testimoniale più recente.

Secondo il teste Cimatti, sentito in dibattimento il 9.10.2006, durante l'eccidio di Branzolino il comandante dice: «guardate che li abbiamo presi dalla galera, se succede un'altra volta così li prendiamo tra di voi». Non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. 28.6.1945 Belli Marangoni, a fine agosto 1944 - né durante il primo eccidio, né durante il secondo - il maggiore Guttmacher fa leggere a Carmen Belli Marangoni uno scritto: «in quella carta si leggeva parole di questo effetto: "Dovesse essere fatto un attentato e causare ferite a qualcheduno delle forze germaniche la pena sarà la morte. Gli uomini saranno uccisi, le donne e i bambini saranno deportati in campi di concentramento e le case bruciate"». È sufficiente che un tedesco sia ferito, e non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione Guardigli al Pubblico ministero del 4.4.1945, all'eccidio di San Tomè un ufficiale legge «un foglio dove si diceva che per il ferimento di un tedesco dovevano essere impiccati sei italiani». Secondo la dichiarazione S.I.B. Guardigli del 2.7.1945, all'eccidio di San Tomè un ufficiale legge un comunicato: «Perché una mina esplose in questo luogo e ferì un soldato tedesco andiamo ad impiccare sei uomini. Li abbiamo presi dalle prigioni, però dovesse una tale cosa accadere di nuovo, noi impiccheremo della gente presa dai vostri villaggi». È sufficiente una tale cosa, e non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. Fiorentini del 22.6.1945, all'eccidio di San Tomè un ufficiale legge un comunicato: «Perché una mina esplose in questo luogo ed ha ferito un soldato tedesco, noi impiccheremo sei uomini. Stavolta li abbiamo presi dalle carceri, ma dovesse una cosa simile accadere di nuovo contro le forze armate germaniche, noi impiccheremo degli uomini presi dai vostri villaggi». È sufficiente una cosa simile, e non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. Sansoni del 18.7.1945, all'eccidio di San Tomè un ufficiale legge un avviso «del senso che in seguito al ferimento di un soldato per lo scoppio di una mina dovevano venir impiccati sei uomini, che questa volta vennero scelti dalle carceri, ma che se succedesse una simile azione verrebbero scelti fra gli uomini del paese». È sufficiente una simile azione, e non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. Lombardi del 2.7.1945, Lombardi è portato dai tedeschi a San Tomè fra i rastrellati, e incontra un fascista che ha collaborato al rastrellamento: «egli disse: "Hanno ucciso un soldato tedesco [era ferito, n.d.e.], e sei di voi saranno uccisi; ciò ragguaglierà un po' le cose». Si fa allusione a un ragguaglio effettuato solo un po', quindi non raggiunto. Nella stessa dichiarazione S.I.B., in seguito l'ufficiale «leggendo da una carta che teneva nelle mani disse delle parole dell'effetto che "Un soldato tedesco fu ferito in questo luogo da una bomba esplosa. È per questo che noi impiccheremo sei uomini. Questa volta essi sono presi dalle prigioni, ma dovesse accadere un altro attentato contro la vita di un soldato tedesco, gli uomini saranno presi dai vostri villaggi"». È sufficiente un attentato, e non c'è multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. 10.7.1945 Furgani, pochi giorni dopo l'eccidio di Branzolino - né durante il primo eccidio, né durante il secondo - un soldato tedesco mostra a Furgani un documento con «parole di questo effetto: "Dovesse un attentato essere fatto e causare delle ferite a dei militari tedeschi, la punizione sarà la morte. Gli uomini delle case vicine saranno fucilati, le donne deportate a dei campi di concentramento e le case saranno bruciate al suolo"». È sufficiente che un tedesco sia ferito, e non c'è multiplo. Nella stessa dichiarazione S.I.B., all'eccidio di San Tomè «un ufficiale cominciò allora a leggere in italiano da una carta che egli teneva nella mano. Erano parole di quest'effetto: "dovesse nel futuro un soldato tedesco essere molestato da italiani, venti civili dei nostri villaggi sarebbero stati messi all'esecuzione"». È sufficiente che un tedesco sia molestato, e si allude a un multiplo. Secondo la dichiarazione S.I.B. 12.7.1945 Foschi, a San Tomè è letto un comunicato: «una carta sulla quale erano scritte parole di questo effetto: "Un soldato tedesco fu ferito. Stavolta impiccheremo sei uomini presi dalle prigioni, ma dovessero accadere altri atti simili, condanneremo a morte venti civili dei villaggi circostanti"». Sono sufficienti atti simili, e si allude a un multiplo.

Insomma, vi è stata sicuramente una minaccia, ed essa durante l'eccidio di San Tomè ha indicato la quantità di venti italiani. La minaccia prospettava l'uccisione di italiani non solo in caso di morte di tedeschi, ma anche in caso di ferite, di cose tali o simili, di azioni o atti simili, di attentati, di molestie. Sembra che vi sia allusione ad un multiplo, ma esso non è chiaramente esplicitato: non si dice che in caso di più di una vittima tedesca saranno uccisi italiani in numero di venti per ognuna.

Questo caso - anche considerata l'iniziativa di Heinrich Nordhorn riguardo al numero venti, già esaminata in tema di elemento soggettivo - ribadisce la prevalenza di un arbitrio locale su un sistema di ordini concernente il territorio occupato, ma privo di un multiplo fisso e valido ovunque in via generale. Se non vige una disposizione rigida, ma invece un ampio potere di vita e di morte, allora esiste il presupposto della responsabilità: esiste una possibilità di scelta. Il mito della regola dieci italiani per ogni tedesco sembra offendere le forze armate occupanti; invece, mediante una irreale meccanizzazione della struttura militare, ed una immaginaria mostrificazione delle persone che la compongono, pone le premesse dell'irresponsabilità individuale. Quel mito avallerebbe la tesi dell'automatismo sostenuta da Kappler, nel processo a suo carico, quando riferendosi alle attività preparatorie di quell'eccidio disse: «la ruota che girava» (parole citate da Corte mil. appello Roma 7.3.1998 n. 24, Hass). Insomma, quel mito scarica sulla struttura - cioè su nessuno - le responsabilità di ciascuno.

L'esistenza del dieci italiani per ogni tedesco è stata smentita anche, incidentalmente ma con rilevanza nel caso deciso, da Trib. Roma 27.11.1975, Katz: «nessuna delle ordinanze emesse dal comandante supremo del fronte sud, che avevano valore in tutto il territorio italiano controllato dai tedeschi, ha mai previsto e tanto meno nella proporzione di 1 a 10, misure di rappresaglia». A conferma, la sentenza aggiunge la dichiarazione del generale Harster del 22.2.1946 nel processo Kappler.

Eppure ancor oggi la regola di proprio dieci italiani per ogni tedesco ricompare, asserita con solennità, mormorata con sgomento. Non può escludersi che il suo mito corrisponda ad una lettura della storia solo in parte dolorosa, ma in parte quasi confortante: all'epoca negli eccidi tedeschi in altri territori, e specialmente contro gli slavi, venivano applicati multipli molto superiori a dieci. È possibile che una storia orale in Italia abbia visto nel multiplo fisso dieci un modo per rivendicare agli italiani un rango intermedio fra chi si proclamava Herrenvolk e i popoli schiavizzati, popoli che la propaganda fascista ha sempre offeso; specialmente gli slavi, appunto, che l'Italia fascista aveva contribuito ad aggredire. Anche i miti delle vittime, possono essere violenti.

È anche possibile che abbia avuto un ruolo, in un ambiente già condizionato da lunghi anni di propaganda guerrafondaia, l'immagine della contrapposizione fra combattenti che hanno un inquadramento militare e combattenti che ne sono privi: è facile che il combattimento di questi sia presentato come disonorevole. Il mito della loro inferiorità sarebbe allora una faccia della questione del monopolio della violenza da parte dell'autorità. Il monopolio della violenza comporta lo svilimento di chi la rivendica senza ubbidire al monopolista: la tecnica di combattimento spesso imprecisa di chi non possiede un proprio apparato industriale e burocratico, favorisce la presentazione di quel combattente come essere inferiore, e del conflitto come uno scontro di civiltà fra una società evoluta e un'orda brutale e confusa. Da questo, la presenza di un multiplo nel raffronto deriva come agevole conseguenza.

È facile prevedere che neppure questa sentenza smentirà l'arcano, e che si continuerà a ripetere che per le truppe tedesche vigeva la specifica regola di uccidere proprio dieci italiani per ogni tedesco ucciso, regola operante in via generale per tutte le forze armate tedesche in Italia, ovunque e durante tutta l'occupazione. Chi si sente ben informato ribadisce di conoscere perfettamente quella regola, chi ne ha sentito parlare confida nell'attendibilità delle fonti, alcuni più anziani precisano di averla letta affissa su un muro, di averla sillabata insieme ai passanti, di vederla «come se fosse adesso». Certo la vedono, ma appunto adesso, perché così hanno elaborato il ricordo. Il mito non conosce smentita ragionevole, perché - qualcuno per tornaconto, qualcuno per assestamento interiore - ci si vuole credere. Ma di fronte al mito non si può essere equidistanti: la credulità di un intero ambiente va ascritta a coloro che uccisero, perché essi sono colpevoli anche degli incubi delle loro vittime.

Probabilmente anche le persone costrette ad assistere ai due eccidi, e specialmente a quello di San Tomè, svolto dinanzi a moltissimi rastrellati, che temevano per la loro stessa vita, ebbero in mente il dieci italiani per ogni tedesco. Oggi, la calma della redazione di una sentenza, e la calma della sua lettura, non disprezzino quell'angoscia.


  • 1. Il rinvio a giudizio
  • 2. Le udienze collegiali
  • 3. Premessa sulla ricostruzione dei fatti
  • 4. L'utilizzabilità dei verbali S.I.B.
  • 5. Alcuni fatti non controversi
  • 6. L'eccidio di Branzolino
  • 7. L'eccidio di San Tomè
  • 8. La qualificazione giuridica
  • 9. La giurisdizione
  • 10. Gli elementi di prova a carico dell'imputato, e quelli solo apparentemente a suo discarico
  • 11. L'assenza di necessità o giustificato motivo
  • 12. L'elemento soggettivo
  • 13. L'esecuzione di un ordine
  • 14. Dieci italiani per ogni tedesco
  • 15. Lo stato di necessità
  • 16. La liceità della Resistenza
  • 17. La rappresaglia
  • 18. La repressione collettiva
  • 19. Perché?
  • 20. I provvedimenti di clemenza
  • 21. Le aggravanti
  • 22. Le attenuanti
  • 23. Le attenuanti generiche
  • 24. La pena e la prescrizione
  • 25. Il concorso formale e l'isolamento diurno
  • 26. Le pene accessorie
  • 27. I risarcimenti
  • 28. Le spese, il termine per la motivazione e il dispositivo
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