È stata invocata la scriminante dell'aver eseguito un ordine.
Nel caso in esame è certo, con riferimento all'eccidio di San Tomè, che il maggiore Guttmacher fosse al corrente del rastrellamento (dichiarazione di Carmen Belli Marangoni al S.I.B.), ed è impensabile che egli non fosse al corrente che il rastrellamento era finalizzato proprio alla pubblicizzazione dell'eccidio, e poi alla deportazione di molte persone. Non è invece altrettanto certo, con riferimento ad entrambi gli eccidi, se il maggiore abbia impartito veri e propri ordini all'imputato, ed in che termini. Sul punto, vanno sottolineati alcuni aspetti.
Il maggiore non fu presente a nessuno dei due eccidi, e ciò malgrado (almeno per quanto riguarda quello di San Tomè) egli fosse in zona.
Non è risolutivo il testo che il maggiore Guttmacher fece leggere a fine agosto 1944 - né durante il primo eccidio, né durante il secondo - a Carmen Belli Marangoni. Secondo quest'ultima «in quella carta si leggeva parole di questo effetto: "Dovesse essere fatto un attentato e causare ferite a qualcheduno delle forze germaniche la pena sarà la morte. Gli uomini saranno uccisi, le donne e i bambini saranno deportati in campi di concentramento e le case bruciate"». Il testo indicava sì la determinazione di compiere azioni violente; eppure quanto poi realmente accadde non gli corrisponde: a San Tomè (e neppure precedentemente, a Branzolino) le donne e i bambini non furono deportati, e le case non furono bruciate. Inoltre il testo non diceva quante persone sarebbero state uccise. Per gli stessi motivi, non è risolutivo neppure il testo che un soldato tedesco mostrò a Guglielmo Furgani, pochi giorni dopo l'eccidio di Branzolino - né durante il primo eccidio, né durante il secondo - cioè un documento con «parole di questo effetto: "Dovesse un attentato essere fatto e causare delle ferite a dei militari tedeschi, la punizione sarà la morte. Gli uomini delle case vicine saranno fucilati, le donne deportate a dei campi di concentramento e le case saranno bruciate al suolo"». Quest'ultimo testo, non è neppure sicuro che fosse il medesimo fatto leggere a Carmen Belli Marangoni, e quindi che provenisse dal maggiore Guttmacher.
Ancora, non è risolutivo neppure il testo letto da Luigi Foschi: egli, su richiesta dell'imputato, lesse quel testo poche ore prima dell'eccidio di San Tomè, e glielo tradusse in tedesco. L'imputato aveva conoscenza della lingua italiana, ma per quel comunicato che considerava così importante - al punto da leggerlo di fronte ai patiboli, mentre erano ancora vuoti, per avere tutta l'attenzione per sé - volle un riscontro dell'esattezza del testo, e se lo fece tradurre in tedesco da Foschi. Si trattava di «una carta sulla quale erano scritte parole di questo effetto: "Un soldato tedesco fu ferito. Stavolta impiccheremo sei uomini presi dalle prigioni, ma dovessero accadere altri atti simili, condanneremo a morte venti civili dei villaggi circostanti"». Differenziandosi dallo scritto già noto a Carmen Belli Marangoni e a Guglielmo Furgani, il testo non conteneva il riferimento alla deportazione di donne e bambini, né all'incendio di case; ma conteneva, ancora differenziandosi dallo scritto già noto alla Belli Marangoni e a Furgani, il riferimento al fatto che in futuro sarebbero state uccise persone non provenienti dalla prigione, ed anche il riferimento al numero di venti. Dunque Foschi non lesse lo stesso testo già noto alla Belli Marangoni e a Furgani.
La dichiarazione di Hans Hopp al S.I.B., con riferimento all'eccidio di San Tomè, mette in evidenza il ruolo del Nordhorn, non quello del maggiore Guttmacher: «Sie sagten Leutnant Northorn hätte das Kommando geführt und war für die Ausführung der Hängung verantwortlich». I militari che riferirono quei fatti a Hopp, gli avrebbero verosimilmente riferito anche di un eventuale ordine del maggiore, almeno per sentito dire; si trattava proprio dei quattro militari con cui Hopp divideva l'alloggio nella casa di Guglielmo Furgani, militari coi quali era in continua dimestichezza. Un ordine del maggiore, e specialmente un ordine preciso, diverso da qualche labile indicazione di massima, non sarebbe rimasto inosservato, anzi, sarebbe stato notato e raccontato fra i militari del reparto, alla cui attenzione si impose invece il ruolo del Nordhorn.
Tutti questi elementi non consentono di riferire gli eccidi a precisi ordini del maggiore Guttmacher, ed in particolare non consentono di superare il dubbio che il maggiore, interessandosi poco agli eccidi ed ai fatti connessi, abbia dato disposizioni generiche, senza intervenire né per determinare concretamente quante e quali persone uccidere, e quante e quali deportare, né per sottrarre qualcuno alla deportazione (non intervenne per impedire la deportazione di Massimo Marangoni), così lasciando all'imputato un ampio margine di autonomia. Coerentemente con questo, il riferimento al numero di venti, nel comunicato letto all'eccidio di San Tomè, riferimento fatto dall'imputato inasprendo il contenuto dello scritto già noto a Carmen Belli Marangoni e a Guglielmo Furgani (aspetto già esaminato, in tema di elemento soggettivo), esprime una condotta dell'imputato non di meccanico adeguamento a un ordine, ma invece di iniziativa autonoma, malevola contro la popolazione.
Insomma, l'ipotesi dell'ordine proveniente dal maggiore Guttmacher - ipotesi verosimile, relativamente ad un generico ordine di uccidere civili, ma assai più sbiadita, relativamente a quali e quanti - non è dimostrata. L'ordine, del resto, non è neppure menzionato nel capo d'imputazione («in concorso con altri militari del medesimo reparto (tra cui il deceduto comandante di corpo, maggiore Friedrich Karl Guttmacher)»); e il suo ingresso nella ricostruzione dei fatti non può essere dato per scontato.
D'altra parte, il dubbio sulla concreta esistenza di ordini deve necessariamente avere rilevanza in favore dell'imputato, trattandosi di un dubbio sul fatto. Si impone quindi un approfondimento giuridico.
La scriminante dell'aver eseguito un ordine è regolata in generale dall'art. 51 c.p., e per i militari più specificamente dall'art. 40 c.p.m.p., norma abrogata dalla legge 11.7.1978 n. 382, ma da considerare ancora in vigore, per i fatti commessi prima dell'abrogazione, in quanto più favorevole.
In giurisprudenza, ha ripercorso i più importanti riferimenti sul tema della manifesta criminosità dell'ordine Cass. 16.11.1998, dep. 1.12.1998 n. 12595, Hass, secondo cui «Deve trattarsi di ordine che abbia per contenuto un fatto "indiscutibilmente" delittuoso "secondo un generale apprezzamento", o "secondo l'apprezzamento di chiunque", ovvero "secondo un comune apprezzamento"
(Cass. 28.9.1984 n. 178, Sciotti;
Cass. 21.4.1983 n. 9424, Rognato;
Cass. 9.4.1969 n. 630, Pautassi;
Cass. 5.2.1968 n. 205, Gagliati;
Cass. 27.11.1967 n. 1349, Gandolfi;
Cass. 22.6.1967 n. 1307, Ballerini;
Cass. 1.3.1967 n. 418, Carosi).
Si aggiunge anzi che il palese carattere delittuoso della condotta ordinata, nel comportare la sindacabilità dell'ordine impartito, ne esclude l'efficacia esimente non solo sotto il profilo obiettivo ma anche sotto quello putativo (Cass. 28.5.1984 n. 7866, Guerrieri; Cass. 11.1.1974 n. 2921, Sarti)».
Ebbene, se vi furono precisi ordini da parte del maggiore Guttmacher, con attivazione dell'imputato in tutta una serie di operazioni affinché i due eccidi avessero piena esecuzione, la manifesta criminosità di quegli ordini esclude che la scriminante possa operare.
Va sottolineato che si trattò del plateale assassinio di dieci persone, diviso in due episodi distinti ma preparati con identica meticolosa serialità. Significativo, che i mezzi per la costruzione dei patiboli dopo il primo eccidio fossero stati tenuti da parte, o comunque a disposizione, e poi riutilizzati per l'altro. Marcello Cimatti in dibattimento ha raccontato: «ci avevano portato lì nel cortile e passarono con dei pali e le corde che avevano adoperato a Branzolino, e mio fratello disse "guarda, quelle sono le corde che hanno impiccato alla Minarda" e così passò, andò avanti così».
Gli eccidi furono preceduti dalle torture di alcune delle vittime; le torture non sono ascritte all'imputato, essendo precedenti la sua condotta, tuttavia le loro conseguenze furono imposte anch'esse come spettacolo. Il tutto, con ampio coinvolgimento di un'intera località nelle operazioni, con la costrizione ad assistere, e con la successiva deportazione di molte persone. Furono uccisi solo maschi, ma non sarebbe esatto ritenere che le vittime fossero uomini in età adulta: Antonio Zaccarelli aveva diciannove anni. Del resto, un ordine non perde la sua manifesta criminosità se va a danno di vittime tutte di sesso maschile. Non sarebbe neppure esatto considerare le donne e i bambini totalmente estranei agli eccidi, poiché all'impiccagione di San Tomè furono presenti proprio donne e bambini (deposizione di Marcello Cimatti in dibattimento: «sì, lì c'erano anche delle donne e dei bambini»), e quanto all'eccidio di Branzolino, i cadaveri furono lasciati a lungo esposti, anche di fronte a donne e bambini: Enio Gamberini, all'età di dieci anni, vide gli impiccati, presenti anche donne («una contadina, una persona grossa, mi mise la faccia di fronte alla sua pancia e mi portò nella casa del contadino lì vicino», deposizione di Enio Gamberini in dibattimento).
Particolarmente significativo è poi l'intreccio di persecuzione e di violenza che accomuna quattro componenti di una cellula comunista operaia, quattro partigiani e due ebrei. Il groviglio dei fatti, pur restando chiuso per qualche aspetto nei nodi dei dettagli (in particolare, per quanto riguarda Antonio Zaccarelli), risulta chiarissimo nella trama generale di ferocia a profitto dell'occupazione, e due bracciate di odio stringono dieci persone per farle morire, a monito esemplare contro un'intera località. Ma a dispetto dell'apparente assurdità, proprio quell'intento di fondo riconduce il comportamento di chi volle ed eseguì gli eccidi alla sua effettiva sostanza: al crimine. Sul punto, proprio la precedente esperienza militare dell'imputato, il quale non si trovò d'improvviso a Forlì per la prima volta in guerra, ma anzi proveniva da vari, prolungati fronti bellici (tra cui il fronte orientale e Cassino), esclude che egli potesse non aver percepito la manifesta criminosità degli eccidi.
Che non si possano applicare al fatto, stante la loro irretroattività, le norme delle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e dei due protocolli addizionali dell'8.6.1977, ratificati in Italia rispettivamente con legge 27.10.1951 n. 1739 e con legge 11.12.1985 n. 762, e quelle sul genocidio di cui alla legge 9.10.1967 n. 962, è irrilevante, quando si tratta di eccidi «in violazione sia del diritto bellico che dei più elementari principi umanitari dello ius gentium (nel pur inadeguato quadro normativo di riferimento vigente all'epoca)» (così Cass. 16.11.1998, dep. 1.12.1998 n. 12595, Hass).
Ancora sul punto dell'esecuzione di un ordine, va ricordato quanto prevede lo statuto del Tribunale militare internazionale (cd. Tribunale di Norimberga), allegato all'atto che lo istituisce, ossia all'Accordo di Londra dell'8.8.1945.
Per inciso, fra le premesse dell'Accordo di Londra è citata la dichiarazione di Mosca del 30.10.1943, che impegna gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica alla futura punizione delle atrocità («Let those who have hitherto not imbrued their hands with innocent blood beware lest they join the ranks of the guilty, for most assuredly the three Allied powers will pursue them to the uttermost ends of the earth»). Inoltre, stando all'art. 6 dell'Accordo nulla esclude le giurisdizioni nazionali, neppure nei territori alleati: «Nothing in this Agreement shall prejudice the jurisdiction or the powers of any national or occupation court established or to be established in any allied territory or in Germany for the trial of war criminals».
Ebbene, l'art. 8 dello statuto impedisce che l'esecuzione di un ordine abbia di per sé effetto scriminante: «The fact that the Defendant acted pursuant to order of his Government or of a superior shall not free him from responsibility [...]». Proprio l'art. 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, al comma 2 lettere b) e c) definisce i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità: «(b) WAR CRIMES: namely, violations of the laws or customs of war. Such violations shall include, but not be limited to, murder, ill-treatment or deportation to slave labor or for any other purpose of civilian population of or in occupied territory, murder or ill-treatment of prisoners of war or persons on the seas, killing of hostages, plunder of public or private property, wanton destruction of cities, towns or villages, or devastation not justified by military necessity. (c) CRIMES AGAINST HUMANITY: namely, murder, extermination, enslavement, deportation, and other inhumane acts committed against any civilian population, before or during the war; or persecutions on political, racial or religious grounds in execution of or in connection with any crime within the jurisdiction of the Tribunal, whether or not in violation of the domestic law of the country where perpetrated.».
Con la risoluzione 95 (I) dell'11 dicembre 1946 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha confermato i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo statuto del Tribunale militare internazionale («affirms the principles of international law recognized by the Charter of the Nürnberg Tribunal»). Inoltre, su incarico dell'Assemblea generale (risoluzione 177 (II) del 21 novembre 1947), nel 1950 la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha stabilito il testo dei Principi di diritto internazionale riconosciuti nello statuto e nel giudizio del Tribunale di Norimberga (cd. Nürnberg principles, Principi di Norimberga).
Ebbene, alle lettere b) e c) del principio VI la Commissione ha sostanzialmente ripreso le lettere b) e c) dell'art. 6 dello statuto del Tribunale, ed al principio IV ha escluso che l'esecuzione dell'ordine abbia un automatico effetto scriminante: «The fact that a person acted pursuant to order of his Government or of a superior does not relieve him from responsibility under international law, provided a moral choice was in fact possible to him». L'Assemblea generale (risoluzione 488 (V) del 12 dicembre 1950) ha preso atto dei Nürnberg principles e ha incaricato la Commissione di predisporre il Draft Code of offences against the peace and security of mankind. Il Draft Code è stato predisposto nel 1954, e all'art. 4 ripete sostanziamente lo stesso principio: «The fact that a person charged with an offence defined in this Code acted pursuant to an order of his government or of a superior does not relieve him of responsibility in international law if, in the circumstances at the time, it was possible for him not to comply with that order».
Significativo è anche l'art. 33 dello statuto della Corte penale internazionale (Convenzione di Roma, 17.7.1998), secondo cui «orders to commit genocide or crimes against humanity are manifestly unlawful». Ad analogo principio si attengono lo statuto del Tribunale penale internazionale per la Jugoslavia (risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 25 maggio 1993 n. 827/93), lo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 8 novembre 1994 n. 955/94), ed anche lo Statuto della Corte speciale per la Sierra Leone (risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 14 agosto 2000 n. 1315/2000, cui ha fatto seguito l'accordo di Freetown del 16 gennaio 2002).
Tutto questo sforzo di lunga elaborazione giuridica e di articolato approfondimento, in cui il processo di Norimberga costituisce la base iniziale di studio, porta a ritenere che il suo risultato sia la presa d'atto di principi di diritto preesistenti, contro i quali perciò non potrebbe obiettarsi che i fatti qui giudicati sono stati commessi prima della loro entrata in vigore.
In base a questi principi, vi sono ordini cui si ha il dovere di ubbidire, e ordini cui si ha il dovere di disubbidire. Cioè, nell'ambito del ragionamento giuridico, è conforme a diritto sia imporre l'ubbidienza sia imporre la disubbidienza. Quindi è giustizia sia punire la disubbidienza che punire l'ubbidienza. L'eccezione non è meno giusta della regola, e il diritto è custode dell'una come dell'altra. I ranks of the guilty della dichiarazione di Mosca del 30.10.1943 possono abitare la regola, come l'eccezione. E non è senza significato giuridico, che ranks stia a significare sia gli elementi della colpevolezza, sia i gradi militari, a indicare come anche nelle strutture militari esista la responsabilità.