Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione
Il Procuratore Generale
Letti gli atti relativi al contrasto positivo di competenza e di giurisdizione insorto tra i Procuratori della Repubblica presso il tribunale militare di Napoli e il tribunale di Santa Mari a Capua Vetere nel procedimento penale contro Lehnigk-Emden Wolfgang e altri, per l'uccisione di civili italiani ad opera di appartenenti alle forze armate tedesche in Caiazzo il 13 ottobre 1943;
Visto il proprio decreto in data 11 gennaio 1993, col quale veniva individuata come competente la giurisdizione militare, e il successivo provvedimento del 30 gennaio, con cui il precedente veniva revocato essendo pervenute dal P.M. presso il tribunale di S.Maria Capua Vetere osservazioni delle quali questo Ufficio non disponeva al momento della risoluzione del contrasto;
Letti gli atti ulteriormente fatti pervenire dal predetto P.M. a richiesta di questo Ufficio dopo la revoca dell'originario decreto;
Osserva:
Nessun dubbio anzitutto sulla legittimità formale e sostanziale della revoca del primitivo decreto in presenza di ulteriori acquisizioni.
Perimenti non sembra potersi seriamente dubitare che la vicenda processuale in esame rientri tra i casi di contrasto positivo tra pubblici ministeri, risolubili da questo Ufficio ai sensi del 5° comma dell'art.54 bis c.p.p. Non esiste infatti nel codice altra espressa disposizione, in base alla quale si possano dirimere i contrasti tra pubblici ministeri che, come quello in esame, si riflettono sulla giurisdizione e che devono pur trovare tempestiva soluzione. Né sembra accettabile la tesi, da ultimo prospettata dal P.M. di S.Maria Capua Vetere, secondo cui, in mancanza di una previsione espressa, questo Ufficio dovrebbe declinare la propria competenza a decidere e ciascuno dei due procedimenti dovrebbe autonomamente seguire il suo corso, salvo l'eventuale (rectius inevitabile) futuro conflitto tra giudice ordinario e speciale ai sensi dell'articolo 28 primo comma lett.a) c.p.p..
Una siffatta tesi si pone in evidente contrasto non solo con ovvie ragioni di economia processuale ma anche con la lettera e la ratio del quinto comma dell'art.54 bis, il quale ha palesemente inteso disciplinare ogni e qualsiasi caso di contrasto positivo,e non solo quelli relativi alla competenza, per ovviare in modo tempestivo all'inutile simultaneità di più procedimenti.
Ciò posto e ritenuta dunque la competenza di questo Ufficio a decidere, va rilevato, da un lato, che il precedente decreto, poi revocato, è stato emesso senza tener conto, perché non allegate, delle ragioni per le quali il P.M. presso il giudice ordinario riteneva di dover procedere nonché dei numerosi e pertinenti atti d'indagine dallo stesso compiuti; dall'altro che l'art.54 bis espressamente prevede che il procuratore generale adotti le proprie determinazioni sul contrasto positivo dopo aver assunto le necessarie informazioni, a differenza dell'art.54,che, nel disciplinare i contrasti negativi, fa riferimento soltanto all'esame degli atti.
L'originaria designazione del P.M. militare quale organo competente a procedere ha avuto il suo presupposto nell'opinione che il delitto fosse stato compiuto per cause non estranee alla guerra e fosse perciò riconducibile alla previsione degli art.13 e 185 del cod. pen. militare di guerra; vale a dire fosse un delitto commesso da militari nemici, senza necessità e per cause comunque inerenti alla guerra, in danno di cittadini italiani che non prendevano parte alle operazioni militari.
Ciò sul precipuo rilievo che, secondo quanto posto in assoluta evidenza dal P.M. militare nell'informativa di contrasto e genericamente emergente da taluni atti, dei quali si dirà, i soldati tedeschi attestati sul monte Carmignano per contrastare l'avanzata delle truppe americane erano stati informati da una loro staffetta che due soldati americani erano nel casolare di D'Agostino Francesco; per cui una squadra capeggiata dal Lehnigk-Emden aveva raggiunto il casolare e ucciso tutte le persone trovate sul posto, compresi i due americani.
Ma l'accurato esame degli atti acquisiti e compiuti dal P.M. ordinario, ivi compreso l'interrogatorio del l'Emden, detenuto in Germania e raggiunto da un ordine di custodia cautelare per la contestazione del delitto di omicidio volontario plurimo aggravato e continuato, induce il decidente a considerare diversamente la vicenda.
La presenza dei militari americani nella masseria del D'Agostino, ove sarebbero stati festosamente accolti, è riferita nel rapporto dei carabinieri di Caiazzo n.139/1 del 10.3.1988 e nella nota del Reparto operativo dei carabinieri di Caserta n.214/3-1 in data 1.12.1990, l'uno e l'altra redatti a richiesta della Procura della Repubblica di S.Maria Capua Vetere.
Unica fonte della notizia, poiché altre non se ne rinvengono in atti, è il libro di Ciro Antonio Sparano, "L'eccidio del 13 ottobre 1943", pubblicato a Caserta verosimilmente nel 1983 e allegato in fotocopia, dal testo del quale non è dato peraltro desumere donde lo Sparano abbia a sua volta attinto la notizia.
Ma altre risultanze, più numerose e attendibili perché raccolte all'epoca dei fatti e/o provenienti da persone direttamente coinvolte a vario titolo nella vicenda, portano con certezza ad escludere che soldati americani fossero presenti alla masseria nella tragica circostanza e che fosse stata dubbia la loro presenza a provocare l'intervento dei tedeschi e a dare occasione all'eccidio degli inermi civili.
W. H. Stoneman, giornalista americano che per primo accorse sul posto dopo la conquista di Caiazzo e la scoperta del massacro, riferì che i cadaveri di due soldati americani erano stati trovati sul monte Carmignano ma non nella masseria D'Agostino o nelle vicinanze, bensì in altri luoghi: uno nei pressi della postazione tedesca di mitragliatrici pesanti, l'altro ancora più di stante.
La relazione trasmessa il 19 ottobre 1943 al Quartier generale della V" Armata dal tenente Alfred L.Grigis, primo ufficiale americano impegnato nelle indagini sull'eccidio, non contiene alcun accenno al ritrovamento di cadaveri di soldati americani.
Il cosiddetto Dossier di Algeri, relativo alle indagini eseguite nel 1943-44 da una commissione di ufficiali per i crimini di guerra, incaricata tra l'altro di accertare se vi fossero militari americani tra le vittime dell'eccidio e se vi fossero stati nella zona collegamenti tra le truppe americane e civili italiani, concluse del tutto negativamente su entrambi i punti. La commissione aveva interrogato, tra gli altri, i prigionieri tedeschi Edmund Iella, Wilhelm May e Eduard Sikorski, presente anche l'attuale imputato Lehnigk-Emden, e i cittadini caiatini Stefano Insero, Salvatore D'Agostino, Raffaele Perrone.
L'esito dell'indagine determinò, nel luglio 1946, la definitiva archiviazione del caso da parte delle autorità americane, dato che tutte le vittime erano italiane.
Tutto ciò si legge nel libro, allegato agli atti, di Joseph Agnone e Giuseppe Capobianco, "La barbarie e il coraggio", Napoli 1990, passim, che è il risultato di una ricerca storica sulla vicenda, condotta su documenti ufficiali, in parte in atti.
II fatto del ritrovamento dei cadaveri di due americani è stato di recente confermato dal teste Angelo Palumbo, del luogo, nella deposizione resa al P.M. militare, in termini perfettamente corrispondenti a quelli a suo tempo riferiti dallo Stoneman, nel senso che i cadaveri non erano nella masseria o nei pressi bensì nelle vicinanze della postazione tedesca.
Infine la conferma definitiva delle risultanze sin qui esposte l'ha data lo stesso imputato Lehnigk-Emden nel l'interrogatorio per rogatoria internazionale reso il 16 ottobre 1992 al magistrato di Koblenz: l'imputato non ha minimamente accennato alla presenza di soldati americani né a informazioni ricevute da staffette e si è limitato a sostenere che erano state viste provenire dal casolare segnalazioni luminose. Orbene, dato l'evidente intento difensivo di tale ultima dichiarazione, è ovvio supporre che, se fosse stata vera l'altra versione, egli non avrebbe mancato di addurla.
Si deve in conclusione ritenere per certo che nel corso dell'irruzione tedesca nelle due case della masseria non vi furono vittime tra gli americani, perché non presenti; che i due soldati trovati morti sul monte Carmignano furono uccisi in tempi e circostanze diverse; che, infine, non si ha, allo stato, alcuna prova concreta dei segnali luminosi, accampati dal lehnigk-Emden quale pretesto per l'operazione.
E allora è destinata a cadere l'ipotesi del fatto commesso per cause non estranee alla guerra, anche nel limitato senso, sostenuto dal P.M. militare, che la guerra sia stata occasione determinante dell'eccidio.
Perché la causa di un'azione possa essere considerata non estranea alla guerra, e perché come tale l'azione stessa possa configurare un reato militare sia pure in senso non esclusivo (nel senso cioè di essere prevista come reato anche dalla legge comune) occorre infatti che con la guerra, con le sue inevitabili e crudeli necessità vitali e con la sua logica spietata, essa abbia comunque attinenza, in ragione di impellenti esigenze militari ovvero della sussistenza delle condizioni per la rappresaglia o per la repressione di movimenti ostili alla forza armata belligerante nel territorio.
La semplice connessione occasionale con lo stato di guerra non è insomma sufficiente a ricondurre un'azione criminosa sotto la previsione della legge penale militare, quando l'azione stessa sia prevista e punita anche dalla legge penale comune: è delitto esclusivamente comune, secondo il decidente, l'eccidio indiscriminato di civili disarmati, in massima parte vecchi, donne e adolescenti, per di più compiuto facendo uso di atrocità, quali sono quelle (tra le altre l'impalamento) che le persone accorse sul posto poterono constatare essere state messe in atto.
E la conclusione non muterebbe quand'anche nel prosieguo dell'indagine si dovesse ritenere accertato, non attraverso affermazioni interessate ma da convincenti testimonianze, ciò che attualmente è del tutto sfornito di prova, vale a dire che dalla masseria erano partiti prima del fatto segnali luminosi di in equivoco significato; giacché anche in tale caso resterebbe assoluta la sproporzione tra la causa dell'azione e l'oggetto, le modalità, l'estensione, la gratuità ed efferatezza del l'azione stessa, tali da travalicare i concetti stessi di mancanza di necessità e di giustificato motivo, cui fa riferimento l'art.185 cod. pen. mil. di guerra.
Il fatto integra dunque gli estremi del delitto comune, correttamente rubricato dal P.M. ordinario, e la sua cognizione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.
Di conseguenza deve procedere il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere.
P.Q.M.
Visto l'art.54 bis c.p.p., a modifica del proprio decreto data 11 gennaio 1993, già revocato, determina che deve provvedere il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere;
Dispone che gli atti siano immediatamente trasmessi a detto Ufficio per l'ulteriore corso e che del presente decreto sia data immediata comunicazione allo stesso e al Procuratore della Repubblica presso il tribunale militare di Napoli.
Roma,10 marzo 1993.
Depositato in segreteria
Il 10/3/1993
Il Sostituto Procuratore Generale
Massimo Carli
Il collaboratore di cancelleria