TRIBUNALE DI COBLENZA
SENTENZA
IN NOME DEL POPOLO
Nella causa penale contro:
l'Architetto - (Sottotenente della Wehrmacht) Richard Heinz Wolfgang Lehnigk-Emden, nato il 10 dicembre 1922 a Calau Brandenburgo, residente in: Im Bergfrieden 8, 56299 Ochtendung, tedesco, sposato, per omicidio;
la 2A Sezione penale del Tribunale di Coblenza - in quanto Sezione del Tribunale per inorenni - nel dibattimento del 17 e del 22 dicembre 1993, del 3, 5, 11 e 18 gennaio 1994 e
nella seduta del 18 gennaio 1994, alla quale hanno partecipato:
- il Presidente giudice presso il Tribunale Dietrich, in qualità di Presidente;
- il Giudice presso il Tribunale Dr. Hetger, Signora Giudice Hennrichs in qualità di Giudici a latere;
- Christa Happe, Lahnstein, Alfred Geilenkirchen, Koblenz, in qualità di Giurati;
- Pubblico Ministero Schmickler, in qualità di Pubblico Ufficiale della Procura della Repubblica;
- Gli Avvocati Leewog, Mayen, in qualità di Difensori;
- L'Avvocato Knöss, Francoforte, in qualità di Rappresentante di parte civile;
- Il Segretario giuridico principale Grün in qualità di Cancelliere,
ha riconosciuto di diritto:
- Il procedimento contro l'imputato Lehnigk-Emden viene sospeso per prescrizione del reato.
- Le spese del procedimento, inclusi gli esborsi a favore dell'imputato, sono a carico della Tesoreria di Stato.
- L'imputato Lehnigk-Emden dovrà essere risarcito per la carcerazione preventiva da lui subita.
Norme utilizzate:
paragrafo 78 del c.p., 467 del c.p.p., 1,2 comma 1 della legge introduttiva del c.p..
I
L'imputato è nato a Calau/Niederlausitz il 10 dicembre 1922. Suo padre è stato Ufficiale di coperta della Marina militare durante la Prima Guerra Mondiale e più tardi divenne impiegato delle poste; la madre dell'imputato inizialmente ha lavorato come segretaria di un avvocato a Lipsia. L'imputato è cresciuto in famiglia come figlio unico. Già durante il periodo di scuola era di salute cagionevole e lamentava spesso forti mal di testa. A seguito della sua miopia iniziò molto presto a portare gli occhiali. L'asilo nido l'ha frequentato solamente per una settimana, poiché sentiva nostalgia di casa. In seguito finì in casa della nonna, dove trascorse la maggior parte del tempo. A causa del trasferimento del padre, l'intera famiglia andò ad abitare in una località a 30 chilometri da Calau. Dal 1929 al 1933 l'imputato ha frequentato una scuola elementare nei pressi di Senftenberg. Nel 1933 passò al liceo linguistico del luogo. Nel 1935 entrò nell'organizzazione "Deutsches Jungvolk" (N.d.T. organizzazione nazista per fanciulli dai 10 ai 14 anni), una suddivisione della "Hitler-Jugend" (N.d.T. gioventù hitleriana). Nell'ambito di tale organizzazione egli ha partecipato a gite e a campeggi, benché, secondo quanto ha testimoniato egli stesso, egli provasse sempre una grande nostalgia per la famiglia. Egli non amava le abitudini un poco grossolane dei giovani appartenenti al "Jungvolk", per cui ebbe difficoltà nello stabilire contatti con i coetanei. Inoltre, in quanto figlio di impiegati, tra i suoi coetanei, cresciuti come figli di operai, egli fu sempre considerato un outsider. Il padre lo convinse ben presto ad intraprendere la carriera d'ufficiale di Marina. Nel 1940 venne sottoposto alla visita di leva, benché poi a causa della sua miopia tale carriera gli rimanesse preclusa. Nel frattempo poté però entrare nell'Esercito come allievo ufficiale. Nel 1940 ottenne il diploma di maturità. L'imputato non fu mai stato membro del partito nazionalsocialista, poiché all'epoca gli ufficiali di carriera non potevano essere membri di alcun partito.
Venne intanto assegnato al 29° Battaglione di fanteria in riserva (mot.). L'addestramento come alfiere terminò nel Natale del 1940. In seguito raggiunse il suo reggimento - il 29° Reggimento di fanteria (mot.) - dove venne sottoposto a un ulteriore addestramento. Nel giugno del 1940 venne trasferito nella Prussia orientale, dove venne promosso al grado di Caporale alfiere. All'inizio della campagna di Russia egli - attraversando la Lituania, la Lettonia e l'Estonia -giunse dalle parti di Dünaburg (Dwinsk), dove ebbe luogo il primo grande scontro, nel quale si trovò coinvolto. A causa dei violenti scontri la Wehrmacht tedesca subì forti perdite. L'imputato stesso entrò in azione nelle pattuglie di esplorazione. Con la sua Unità egli avanzò in direzione di Leningrado, fino ad arrivare nei pressi di Pleskau (Pskow), dove nel luglio del 1941 venne ferito all'addome con un colpo di arma da fuoco. Venne rimpatriato con un treno ospedale, che lo portò a Bad Hersfeld. II corso di studi che avrebbe dovuto aprirgli la carriera d'Ufficiale, alla quale egli aspirava, venne così messa in pericolo a seguito della ferita riportata. Il padre premeva, affinché egli si ristabilisse velocemente e concludesse in ogni modo il corso di studi. L'imputato rinunciò poi al periodo di licenza per convalescenza, e tornò al suo Reggimento alla fine di settembre del 1941, dove venne promosso al grado di Sottufficiale alfiere. Inoltre gli venne conferito il distintivo del gruppo d'assalto di fanteria e quello color nero dei feriti.
Egli frequentò fino al febbraio del 1942 la Scuola di Guerra di Potsdam, concludendola con la promozione a Sottotenente della riserva. Fino al marzo del 1942 egli frequentò un corso di studi specializzato, che prevedeva anche un addestramento per la guida di Unità motorizzate.
In seguito egli tornò al suo vecchio Reggimento - il 29° Reggimento - in Russia, nella zona di Smolensk e nel corso dell'offensiva dell'estate del 1942 egli giunse fino a Woronesch. Nel luglio del 1942 egli partecipò alla battaglia sul fiume Don, giungendo poi nella parte settentrionale di Stalingrado, dove la sua Unità si stabilì. Verso la fine di ottobre egli si ammalò di itterizia, per cui venne trasferito in un ospedale militare a Stalino. In quel periodo Stalingrado ancora non era stata accerchiata. Con un treno ospedale egli venne rimpatriato a Neuwied, dove in un primo momento - per pericolo di contagio - egli dovette trascorrere un periodo in quarantena.
All'inizio del 1943 egli si era ristabilito e tornò alla sua Unità, che nel frattempo era stata formata di nuovo come 29° Reggimento meccanizzato. Egli giunse in Italia attraversando la Francia meridionale. La caduta di Mussolini avvenne mentre egli era in licenza, durante l'estate de 1943. Dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943 tra gli Alleati e l'Italia, si procedette immediatamente al disarmo dell'Esercito Italiano per parte della Wehrmacht, che al contempo si insediò nel nuovo teatro di guerra. L'imputato tornò al suo Reggimento nei pressi di Chiusi e a partire dal 10 ottobre 1943 circa, venne nuovamente impiegato nel 29° Reggimento meccanizzato, il quale, in seguito allo sbarco alleato di Salerno aveva riportato pesanti perdite. Durante la ritirata, che passò per Napoli, egli giunse anche nella zona di Caiazzo. In quanto Ufficiale esecutivo egli era comandante di plotone del 1° plotone di una Compagnia del 1° Battaglione nel 29° Reggimento meccanizzato della 3A Divisione meccanizzata.
Dopo gli avvenimenti, oggetto del procedimento, l'imputato finì in prigionia americana nella zona di Aversa, il 4 o 5 novembre del 1943. Passando prima per Napoli e poi per Palermo egli in un primo momento giunse a Biserta in Tunisia. In seguito con un treno diretto in Algeria egli venne condotto in un campo di prigionia britannico. Nella primavera del 1944 egli tentò la fuga; l'intento era quello di tornare in Germania, anche perché secondo quanto affermato dall'imputato stesso egli provava nostalgia per la patria. Catturato da soldati francesi egli venne trasferito in un campo di prigionia francese in Africa settentrionale. Il giorno stesso della sua traduzione egli tentò nuovamente la fuga. Ma anche questo tentativo fallì e questa volta venne trasferito in un campo di prigionia britannico presso Algeri. Durante un nuovo tentativo di fuga il 18 luglio 1944 egli venne gravemente ferito con vari colpi dì arma da fuoco da soldati britannici. Assistette in un ospedale britannico di Algeri alla fine della guerra, li 2 agosto del 1945 egli giunse nel porto di Bari (in Italia) su una Unità ospedale e quindi con un treno ospedale egli tornò in Germania. All'inizio di settembre del 1945 egli arrivò a Goslar in prigionia britannica. Benché egli fosse stato liberato nel gennaio del 1946, egli restò in ospedale fino all'agosto del 1947. In questo periodo egli partecipò a un corso di studi finalizzato all'avviamento alla professione di disegnatore di progetti di costruzione.
Dal settembre del 1947 fino al marzo del 1948 egli ha lavorato come disegnatore di progetti di costruzione nello studio di un architetto di Braunschweig. In seguito egli frequentò a Holzminden un istituto tecnico industriale, che egli concluse nel 1950 con il diploma di ingegnere edile/architetto.
Nello stesso periodo egli conobbe e sposò sua moglie, e si trasferì a Ochtendung, nei pressi di Coblenza, dove sua moglie insegnava.
L'imputato ha tre figli di 42, 43 e 33 anni.
Nel marzo del 1952 si mise in proprio come architetto, aprendo uno studio di ingegneri a Ochtendung. Egli ha costruito numerose scuole, palestre, campi sportivi, impianti industriali per la locale industria per la produzione della pietra pomice, nonché abitazioni.
A livello locale è stato anche attivo da un punto di vista politico. Infatti gli è anche stata conferita una onorificenza del Land (N.d.T. denominazione delle regioni tedesche) della Renania-Palatinato.
L'imputato è stato Presidente del locale comitato organizzativo del carnevale, così come è anche stato tra i fondatori dell'assistenza pubblica ai lavoratori a Ochtendung. Negli anni Cinquanta inoltre egli è stato Presidente della locale Associazione degli invalidi di guerra.
L'imputato è invalido al lavoro per un 70%; tale invalidità si ripercuote in particolar modo sulla sua andatura.
Dal gennaio del 1983 l'imputato è in pensione. Egli percepisce mensilmente una pensione di 708,00 Marchi tedeschi, oltre ad una pensione di vecchiaia mensile, pari a 1.603,00 Marchi tedeschi.
II
La Procura della Repubblica ha accusato l'imputato, in qualità di Sottotenente della Wehrmacht tedesca, di aver ucciso a Caiazzo il 13 ottobre 1943 - per motivi abietti e barbaramente - insieme a Kurt Schuster (contro il quale si procede separatamente) e ad altri soldati, 15 civili italiani (donne e bambini), che si trovavano in una casa colonica non lontano dalla postazione dell'Unità, alla quale apparteneva l'imputato. Precedentemente a ciò, secondo quanto emerge dall'atto d'accusa del 14 aprile 1993, era avvenuta la fucilazione di 4 uomini e di 3 donne di suddetta casa colonica, sospettati di aver rivelato con segnali luminosi ai soldati americani che si trovavano nei pressi, la posizione dei soldati tedeschi.
L'istruttoria contro l'imputato è stata avviata su richiesta dell'Interpol di Roma del 25 febbraio 1990, inoltrata al "Bundeskriminalamt" (N.d.T. Ufficio federale per la repressione della criminalità). L'interpol di Roma comunicava al suddetto ufficio che la Procura di Santa Maria Capua Vetere/Caserta aveva avviato un'istruttoria a causa di un massacro perpetrato dalle truppe tedesche la sera del 13 ottobre 1943 in una fattoria di Monte Carmignano a Caiazzo/Caserta nei confronti di 22 cittadini italiani. L'imputato sarebbe stato l'ufficiale che ordinò il massacro. II "Bundeskriminalamt" (N.d.T. Ufficio federale per la repressione della criminalità) fece pervenire tale richiesta all'Ufficio centrale dell'Amministrazione Giudiziaria regionale di Ludwigsburg. In tale sede è stata trovata un'istruttoria (117 Js 6/70) che per gli stessi fatti era stata avviata nei confronti di un certo "Lemick-Emden, di cui però non sono noti ulteriori dati personali, con il sospetto di aver perpetrato un crimine di guerra nella zona di Volturno/Italia nel 1943". Tale istruttoria era stata avviata su denuncia del 29 ottobre 1969, proveniente da Vienna, da parte di Simon Wiesenthal. La Procura di Monaco I/L'Ufficio I della Procura di Monaco interruppe tale procedimento il 6 marzo 1970 sulla base del paragrafo 170, comma 2 del C.p.p., poiché l'imputato, a causa del nome sbagliato, non aveva potuto essere rintracciato.
Joseph Agnone, storico per passione, emigrato nel 1956 dall'Italia negli Stati Uniti, si è interessato fin dal 1983 dei documenti americani relativi agli avvenimenti bellici del 1943 nella zona di Caiazzo. Dopo aver copiato diversi documenti, li inviò alla "Associazione Storica" a Caiazzo. A seguito di ciò in Italia venne avviato un'istruttoria contro l'imputato, di cui a quel punto si conosceva il nome esatto. Tramite la Commissione rogatoria i documenti esistenti in Italia sono stati trasmessi nel giugno del 1991 dal Tribunale alle autorità tedesche, in lingua inglese ed in lingua italiana.
Il 24 luglio 1992 il giudice istruttore ha emesso un mandato di cattura nei confronti dell'imputato, presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Il 30 settembre 1992 è stato inviato dalla Pretura di Coblenza (30 Gs II 4452/92) il mandato di arresto nei confronti dell'imputato. In questo mandato di arresto l'imputato viene accusato di un numero imprecisato di omicidi, commessi in momenti diversi, per il semplice piacere di uccidere o per altri motivi abietti". L'imputato venne arrestato lo stesso giorno a causa di questo mandato di arresto. Nell'ambito del ricorso, la Camera giudicante, con una sentenza del 22 ottobre 1992 (2 Qs 72/92), dichiarò nullo il suddetto mandato dì arresto, concedendo la libertà all'imputato. Nella sua decisione la Camera si era basata sulla sentenza della Corte di Cassazione federale del 29 ottobre 1969 (Sentenza della Corte di Cassazione in materia penale 23, 137, 140), sostenendo che l'azione dell'imputato fosse caduta in prescrizione. Con la decisione della Corte d'appello di Coblenza del 6 novembre 1992 (2 Ws 550/92), dopo un ulteriore ricorso della Procura, venne revocata la decisione della 2^ Sezione penale del tribunale del 22 ottobre 1992. Il mandato di arresto della Pretura di Coblenza del 30 settembre 1992 rientrò in vigore, benché presentasse una modifica, e cioè che l'imputato fosse gravemente sospettato dell'omicidio plurimo di 15 persone. All'atto dell'analisi dell'azione la Corte, in riferimento alla prima parte delle azioni imputate all'accusato, aveva in un primo momento espresso il parere, secondo il quale la prima parte dell'azione, e cioè la fucilazione di sette civili, rientrasse nei canoni dell'omicidio volontario, nel frattempo però caduto in prescrizione. Per quanto riguarda la seconda (seguente) fucilazione di 15 donne e bambini, l'imputato, a seguito dei risultati dell'inchiesta sarebbe gravemente sospettato, e tale azione rientrerebbe nei canoni dell'omicidio colposo e non sarebbe ancora caduto in prescrizione. Nell'ambito di una interpretazione della decisione della Corte di Cassazione in materia penale 23,137,140, la Corte è giunta alla conclusione che l'azione imputata all'accusato non sarebbe stata punita, poiché "la volontà del Fuhrer" si sarebbe oggettivamente opposta a una punizione dell'autore del delitto.
La sentenza così recita:
"Nonostante l'apparente assoluta chiarezza - che esclude ogni interpretazione - del testo della Corte di Cassazione federale, la sentenza, a parere del Senato, non può essere intesa nel senso che per i casi di azioni avvenute durante il periodo del Nazionalsocialismo, ma venute a conoscenza dell'autorità giudiziaria solo dopo la caduta della dittatura nazionalsocialista, si debba escludere un riesame autonomo del Tribunale chiamato a decidere. Perché ciò in definitiva significherebbe che il Tribunale verrebbe ingiustificatamente limitato nel suo obbligo di verifica dell'esistenza di condizioni per un procedimento. L'esame verrebbe ridotto a una mera constatazione del momento esatto, nel quale un'autorità giudiziaria sarebbe venuta a conoscenza del crimine. Un tale risultato non farebbe solamente sentire la mancanza di un fondato motivo per una limitazione così ampia della competenza giuridica relativa all'esame e al potere decisionale; tale risultato sarebbe anche in contrasto con la tendenza chiaramente percepibile nella giurisdizione della Corte di Cassazione federale negli ultimi decenni, di imporre al giudice, prima di pronunciare la sentenza, l'obbligo di effettuare un esame di merito e di ponderare tutte le circostanze che possano essere rilevanti ai fini di una sentenza. Sulla base di queste riflessioni, il Senato ritiene indispensabile una interpretazione della sentenza. II presupposto di tale interpretazione è la constatazione che, per i casi, in cui l'autorità giudiziaria sia venuta a conoscenza del crimine in ritardo, la sospensione della prescrizione è immediatamente esclusa, "perché resta aperto l'interrogativo se una denuncia non avrebbe invece potuto avviare un procedimento penale o portare a una condanna". Se in questa motivazione il termine "aperto" viene inteso nel senso di "dubbio", allora è evidente che in questo caso è stato adottato il principio "in dubio prò reo", con l'intento di garantire che eventuali dubbi sulla condanna o meno del reato durante il regime nazionalsocialista, sarebbero stati risolti a favore dell'imputato. Ciò autorizza il Senato a pensare che la Corte di Cassazione federale con questa sentenza volesse dare seguito alla giurisdizione basata sulle sentenze della Corte di Cassazione federale in materia penale 18, 274 ss., secondo cui i dubbi sollevati dalla non accertabilità del momento del reato, dovrebbe giocare a favore della prescrizione, per cui troverebbe applicazione anche, riguardo al problema della prescrizione, il principio del "in dubio prò reo". L'applicabilità del principio del dubbio indica invece la possibilità di verificare la questione se un'autorità giudiziaria durante il Terzo Reich avrebbe punito l'azione dell'accusato, nel caso che ne fosse stata a conoscenza; anche perché tali motivati dubbi, che si risolverebbero a favore dell'accusato, possono solamente sorgere, se prima si sono avuti un esame e una considerazione delle circostanze che parlano a favore o contro una tale supposizione. Di conseguenza il Senato si è formata un proprio giudizio relativo alla questione, se i fatti contestati all'imputato sarebbero stati puniti durante il periodo del Nazionalsocialismo. Dopo un accurato esame delle circostanze che dovevano essere ponderate a tal riguardo, il Senato ha dato una risposta negativa. Il Senato è giunto alla conclusione che la persecuzione e punizione delle azioni contestate all'accusato sarebbero state in contrasto con la volontà del Führer, per cui una punizione di tali azioni sarebbe stata in un certo senso contrastata a norma di legge."
A causa di questa decisione l'imputato venne nuovamente arrestato il 6 novembre 1992 e da allora si trova in custodia cautelare nel penitenziario di Coblenza.
Nel frattempo la Procura della Repubblica era riuscita a rintracciare un'altro sospettato di nome Artur Werner Kurt Schuster, nato il 6 luglio 1914 a Forst, comune di Cottbus. Contro quest'ultima persona il 24 novembre 1992 è partito un mandato di arresto dalla Pretura di Coblenza (30 Gs II 5471/92). Essendo subentrato un grave peggioramento delle condizioni generali di salute del Signor Schuster, egli venne trasferito all'ospedale carcerario di Wittlich. Infine il mandato di arresto emesso il 24 febbraio nei suoi confronti, venne revocato perché non in grado di sopportare la reclusione, attraverso una decisione adottata dalla Pretura di Coblenza.
Il 15 gennaio 1993 la Procura della Repubblica incaricò l'esperto storico, il Capitano di Fregata Dr. Schreiber, dell'Istituto di ricerche storico-militari di Friburgo, di esprimere un parere relativo alla questione della perseguibilità delle azioni imputate all'accusato nel periodo del regime nazionalsocialista. II perito, dopo aver letto e vagliato una grossa quantità di materiale d'archivio, infine consegnò per iscritto una "perizia provvisoria", nella quale spiegava che le uccisioni di Caiazzo non potevano essere considerate perseguibili di reato a causa della situazione militare in cui versava l'Italia tra il 1943 ed il 1945, così come a causa della situazione generale della Wehrmacht.
In seguito la Procura della Repubblica in data 14 aprile 1993, mosse l'accusa contro l'imputato e contro Kurt Schuster, presso la 2A Sezione penale del Tribunale di Coblenza, in quanto Sezione del Tribunale per minorenni.
Dopo che il perito Dr. Schreiber in data 22 agosto 1993 aveva presentato per iscritto - sotto forma di perizia - la sua opinione definitiva, sulla questione della perseguibilità giuridica per reato dell'imputato, giungendo con vaste spiegazioni al risultato che, l'azione imputata all'accusato all'epoca sicuramente non venne punita a causa di un ordine del Fuhrer che si opponeva a tale punizione, la Camera ha aperto il dibattimento contro l'imputato, con decisione del 20 settembre 1993. Il procedimento contro l'accusato Schuster è stato separato da quest'ultimo, poiché non è ancora stata chiarita definitivamente la persistente incapacità dell'accusato a partecipare all'udienza.
III
Per quanto riguarda i fatti contestati la Camera ha fatto le seguenti constatazioni:
1.
Il 24 luglio 1943 venne deposto il dittatore italiano Mussolini. Sotto la guida del Maresciallo Badoglio era stato creato un nuovo Governo, che iniziò a negoziare una pace separata con gli Alleati.
Il 3 settembre del 1943 venne firmato un armistizio che entrò in vigore 1'8 settembre 1943. Le Truppe tedesche in territorio italiano si convertirono quindi dal giorno alla notte in Esercito nemico.
Il 3 settembre del 1943 le Forze Alleate sbarcarono nel territorio di Salerno (Italia meridionale). La Wehrmacht tedesca tentò con tutti i mezzi - in particolar modo bombardando le teste di ponte - di impedire che le Truppe nemiche prendessero posizione. Il Comandante in capo (Sud) della Wehrmacht tedesca era il Generale Feldmaresciallo Kesselring. Una volta giunte grosse Unità alleate di rinforzo, la Wehrmacht dovette ritirarsi su una posizione di difesa, non ancora ampliata, denominata "Linea Gustav" (tra l'altro vi rientrava Monte Cassino), che correva lungo i fiumi Garigliano, Rapido e Sangro. Con l'intento dì fermare in modo efficiente l'ulteriore avanzata delle Truppe Alleate, il Comando dell'Esercito tedesco decise intanto di schierarsi a nord del fiume Volturno.
L'imputato si trovò ad essere impiegato con il suo Reggimento nei pressi della città di Caiazzo. II 14 settembre 1943 i Comandanti tedeschi ordinarono alla popolazione di Caiazzo di consegnare tutte le armi in loro possesso. Alcuni civili vennero chiamati a prestare il loro servizio per fortificare le posizioni tedesche.
Inizio ottobre 1943 si ebbe l'evacuazione forzata della cittadina Caiazzo. Gli abitanti cercarono rifugio nelle case coloniche dei dintorni e nei boschi. Nel frattempo le Truppe tedesche devastarono gli edifici della città di Caiazzo, distrassero le case e fecero saltare i ponti.
Tra le persone evacuate da Caiazzo figuravano anche le famiglie Perrone e Massadoro, che si erano trasferite a Monte Carmignano in due case coloniche, abitate dalle famiglie Albanese e d'Agostino. In linea d'aria le due case distano circa 600-700 metri l'uria dall'altra, inoltre sono situate ad altezze diverse su un pendio.
2.
Il 13 ottobre del 1943 l'imputato venne assegnato in qualità di Ufficiale esecutivo al 1° Plotone di una Compagnia del 1° Battaglione nel 29° Reggimento meccanizzato della 3A Divisione meccanizzata. Anche il Signor Schuste, sul quale si indaga separatamente, apparteneva al 1° Plotone in qualità di Maresciallo ordinario. Alla stessa Unità appartenevano anche Hans Gnass, Edmund Lella, Wilhelm May, Eduard Sikorski, Harald Thieke, Theophil Ligmanowski e Martin Richter.
In quel periodo l'Ufficiale d'ordinanza del 29° Reggimento meccanizzato era il testimone Horst Henrich.
Il giorno del delitto, il 13 ottobre 1943, la Compagnia allestì il proprio posto comando in una fattoria in collina, sul Monte Carmignano, nei pressi di Caiazzo.
Nel tardo pomeriggio, dopo l'imbrunire, i! Comandante di Compagnia, il Sottotenente Raschke, si era temporaneamente allontanato dall'Unità, per recarsi al Battaglione, conferendo il comando all'imputato.
Per ragioni che non è stato possibile chiarire, erano sorte voci, secondo le quali da una casa colonica, situata sotto il posto comando, fossero stati visti fare con una lampada dei segnali luminosi in direzione delle linee americane.
L'imputato, il Signor Schuster (sul quale si indaga separatamente) ed il testimone ormai deceduto, Signor Gnass, si recarono per una verifica alla casa colonica situata un poco più in basso. In questa casa essi incontrarono uomini e donne appartenenti alle famiglie Perrone e Massadoro, che avevano trovato lì una sistemazione. L'accusato arrestò insieme ai suoi compagni tutti gli uomini di maggiore età (erano quattro), e li condusse al posto comando della Compagnia. Il gruppo fu seguito anche da tre donne che gridando tentavano di ottenere il rilascio dei loro parenti.
Arrivati al posto comando della Compagnia l'imputato ordinò la fucilazione dei quattro uomini e delle tre donne, perché convinto del fatto che queste persone, attraverso segnali luminosi, avessero rivelato le postazioni tedesche alle Truppe americane che si trovavano in zona. Prima dell'esecuzione non vennero ascoltate le persone catturate, poiché non era presente un interprete e nessuno dei soldati tedeschi parlava l'italiano.
La fucilazione delle sette persone catturate avvenne quindi direttamente davanti al posto comando. Alla fucilazione partecipò anche l'imputato. Per il resto il suo ordine venne eseguito da Schuster, sul quale si indaga separatamente, e dall'ormai deceduto Maresciallo ordinario Gnass.
3.
Dopo la fucilazione l'imputato, Schuster e Gnass si recarono all'interno della casa colonica che fungeva da posto comando della Compagnia, nella quale si trovavano altri soldati tedeschi. Si ebbe una discussione generale su come dovessero sbarazzarsi dei cadaveri. Infine l'imputato fece notare che in quella casa si trovavano altre persone. Durante l'operazione di cattura dei quattro uomini aveva notato che nella casa si trovavano numerose donne e bambini. L'imputato decise quindi di uccidere anche queste persone e spiegò agli altri che anche queste dovevano essere eliminate. Il senso delle parole dell'imputato fu il seguente: "Noi adesso scendiamo ed eliminiamo anche gli altri. Prendiamo le bombe a mano". L'imputato, accompagnato da Schuster (sul quale si indaga separatamente) e dall'ormai deceduto Gnass, si recò quindi nuovamente nella vicina casa colonica, dove, insieme ai suoi compagni, uccise 15 persone (cinque donne e dieci bambini in un'età compresa tra i 4 e i 14 anni) con l'aiuto di bombe a mano, mitragliatrici, fucili e pistole. L'uccisione avvenne all'interno della casa colonica, anche se alcune delle persone, nel tentativo di fuggire, vennero fucilate davanti alla casa, o nelle immediate vicinanze. Nel dibattimento non è stato possibile chiarire chi fosse responsabile dell'uccisione di quante e di quali persone.
Per quanto riguarda le persone uccise si è trattato di:
Carmela d'Agostino, 7 anni, nata il 27.09.1936;
Antonio d'Agostino, 10 anni, nato il 30.05.1933;
Orsola d'Agostino, 8 anni, nata il 02.09.1935;
Saverio d'Agostino, 11 anni, nato il 04.12.1931;
Angelina d'Agostino, 34 anni, nata il 28.05.1909;
Elena Perrone, 4 anni, nata il 30.02.1939;
Margherita Perrone, 6 anni, nata il 19.02.1937;
Antonietta Perrone, 9 anni, nata il 07.07.1934;
Giuseppe Perrone, 12 anni, nato il 10.10.1931;
Angelina Albanese, 12 anni, nata il 05.03.1931;
Antonio Albanese, 14 anni, nato il 08.03.1929;
Elena Albanese, 16 anni, nata il 14.02.1927;
Maria Albanese, 18 anni, nata il 22.05.1925;
Angela Albanese, 20 anni, nata il 22.09.1923;
Orsola Santabarbara, 63 anni, nata il 03.10.1880.
Angela Albanese al momento dell'uccisione era incinta del quinto mese.
L'imputato ed i suoi accompagnatori tornarono poi al posto comando della Compagnia. I soldati che erano rimasti lì in parte erano molto irritati per il comportamento dell'imputato. Il testimone May si rivolse ai suoi commilitoni affermando che ciò che stava avvenendo laggiù costituiva una vergogna per la Wehrmacht tedesca. Tuttavia i soldati non osarono chiedere ragione dell'accaduto all'imputato, che in quel momento era l'Ufficiale superiore, ed in particolar modo l'accaduto non venne denunciato all'autorità superiore.
La postazione tedesca, nella quale si trovava l'imputato, dovette essere abbandonata la sera stessa dell'accaduto a causa degli attacchi che gli Alleati stavano sferrando, nell'ambito della battaglia del Volturno.
Dopo il ritiro delle Truppe tedesche i testimoni Stefano Inserra, Salvatore d'Agostino e Raffaele Perrone scoprirono i cadaveri nelle due case coloniche. Entrambe i testimoni erano saliti sul Monte Carmignano la mattina del 14 ottobre 1943, per vedere se durante gli attacchi della sera precedente erano stati danneggiati i casolari e per verificare che il bestiame fosse ancora in vita.
Il 16 ottobre la zona venne occupata dalle Truppe americane. I testimoni italiani denunciarono l'avvenuto massacro. Una commissione americana di Ufficiali avviò una inchiesta.
Il 4 o il 5 novembre l'imputato era finito in prigionia americana, insieme alla sua Unità. May, Lella, Sikorski, Ligmanowski, Thieke; altri soldati appartenenti alla Compagnia di Raschke erano finiti già precedentemente in prigionia. Essi vennero identificati come appartenenti all'Unità che aveva compiuto il massacro e deposero testimonianze che nuovamente ricondussero alla persona dell'accusato, immediatamente sottoposto ad interrogatori nel campo di prigionia di Aversa.
IV
L'imputato non ha fatto dichiarazioni davanti alla Corte riguardo ai fatti contestati. Le sue precedenti dichiarazioni sono state acquisite al dibattimento dalla Camera, attraverso un interrogatorio del giudice titolare dell'inchiesta, nella persona del Pretore Jung. L'imputato è stato interrogato il 15 ottobre 1992; durante tale interrogatorio l'imputato ha contestato i fatti imputatigli.
In occasione del suo arresto, avvenuto il 15 ottobre 1992, nell'ambito di una perquisizione effettuata nella sua abitazione, è emerso un fascicolo dattiloscritto, composto di più pagine, il cui contenuto è stato letto durante il dibattimento. Durante l'interrogatorio l'accusato ha affermato di aver compilato lui stesso alcuni anni fa il documento in questione. Tale dichiarazione, scritta dall'accusato, è stata da lui stesso utilizzata nella sua deposizione davanti al giudice titolare dell'inchiesta. Lo scritto contiene informazioni relative all'accaduto. L'accusato vi descrive come la sua Unità stesse battendo la ritirata; durante le operazioni di ritiro sarebbero stati sparati dei colpi di arma da fuoco in un agguato. Durante tali operazioni si dovette procedere con estrema cautela, a causa dei cecchini. La sera dell'accaduto la sua Unità si sarebbe appostata in un determinato punto, quando all'improvviso sarebbe giunta la notizia che da una casa situata prima della linea principale di combattimento, sarebbero partiti dei segnali luminosi. Venne subito formata una pattuglia sotto il comandò del Sottotenente Raschke. A tale impresa l'accusato sarebbe stato assegnato in qualità di giovanissimo Sottotenente. Era già buio quando si furono avvicinati alla casa. Si sarebbero uditi colpi di mitragliatrice, nonché singoli colpi di pistola. Su ordine del Sottotenente Raschke e sotto il fuoco di copertura di una mitragliatrice, si procedette all'assalto della casa. Anche nella casa era buio. Alcune persone sarebbero fuggite in direzione delle postazioni americane. Si sparò nella loro direzione, anche se poi sarebbero state inseguite solamente per un breve tratto. Non fu possibile constatare se si trattasse di uomini, donne o bambini. Considerando il clima dell'Italia meridionale, la notte sarebbe stata abbastanza fredda. Le persone portavano cappotti ed abiti lunghi. Era risaputo che vi fossero dei Partigiani che indossavano abiti femminili per mimetizzarsi. E comunque in tale situazione essi avrebbero sparato su qualsiasi cosa si muovesse,... "come potrebbe essere diversamente in mezzo alla linea principale di combattimento al fronte?".
Durante l'interrogatorio del 15 ottobre del 1992 il giudice titolare dell'inchiesta avrebbe presentato all'accusato diversi verbali, secondo i quali nel campo di prigionia di Aversa egli avrebbe ammesso i fatti, così come questi furono riportati. L'accusato avrebbe dichiarato che le dichiarazioni fatte allora non corrispondevano alla verità, poiché all'epoca egli non era in grado di essere ascoltato. All'epoca egli sarebbe stato oltraggiato e picchiato. All'accusa mossa nei suoi confronti, secondo la quale alcuni cadaveri avrebbero mostrato segni di coltellate, l'accusato avrebbe risposto che si tentò di addossare ai tedeschi la colpa di un qualche massacro. E comunque non è vero che si fosse fatto uso delle baionette.
Nel corso dell'interrogatorio l'accusato avrebbe affermato che in questo caso si sarebbe evidentemente trattato di Partigiani; si dovette presumere che essi avessero usato donne e bambini come scudo protettivo, cosa che sarebbe accaduta abbastanza di frequente durante la guerra in Italia.
La Camera invece ha basato le proprie affermazioni relative all'accaduto principalmente sulle testimonianze dei testimoni May, Lella, Sikorski e Ligmanowski, che sono state lette davanti alla Camera. Secondo quanto risulta dai certificati di morte presentati durante il dibattimento, i testimoni May e Leila sono deceduti. Probabilmente anche i testimoni Sikorski e Ligmanowski saranno deceduti; in ogni caso le vaste ed esaurienti ricerche effettuate dal Tribunale penale della regione tedesca Renania-Palatinato, non sono riuscite a fornire alcun indizio relativo al luogo di residenza di questi testimoni. La Camera li ha quindi dichiarati entrambi non rintracciabili.
Le deposizioni fatte dai testimoni May, Lella, Sikorski e Ligmanowski davanti a una commissione d'inchiesta americana nel campo di prigionia di Aversa/Italia, sono state lette davanti alla Camera, conforme al paragrafo 251, comma 2, capoverso 2 del C.p.p..
Da queste deposizioni si evince la fattispecie, così come questa stessa è stata scritta dalla Camera al punto III. Nel loro interrogatorio davanti alla commissione americana composta di Ufficiali, tutti i testimoni hanno dichiarato che, contrariamente a quanto spiegato dall'accusato, non vi sarebbe stata una sola fucilazione, bensì vi siano state due fucilazioni separate, così come è stato constatato dalla Camera. Inoltre l'ordine di assaltare la casa colonica non sarebbe partito dal Sottotenente Raschke, bensì dall'imputato stesso. II Sottotenente Raschke al momento dell'accaduto non si sarebbe trovato nel posto comando della Compagnia, bensì si sarebbe recato al posto comando del Battaglione, trasferendo il comando all'imputato.
Il testimone May durante il suo interrogatorio dichiarò che l'imputato avrebbe partecipato in maniera decisiva ad entrambe le esecuzioni, poiché la sera del 13 ottobre 1943 egli aveva ricevuto dal Sottotenente Raschke il Comando della Compagnia. Prima che il Sottotenente Raschke si allontanasse, il testimone May -secondo le sue dichiarazioni - avrebbe assistito a un dialogo avvenuto tra il Sottotenente Raschke e l'imputato; durante tale conversazione l'imputato avrebbe dichiarato di avere visto segnali luminosi provenienti da una casa colonica situata ai piedi della collina. Secondo l'opinione dell'imputato le persone che vi si trovavano dovevano essere prese in consegna e fucilate. A quel punto il Sottotenente Raschke avrebbe risposto che non aveva alcuna intenzione di assumersi la responsabilità per questo fatto e si allontanò. In seguito a tale colloquio l'imputato si sarebbe recato in direzione della casa colonica situata sotto il posto comando della Compagnia. Secondo quanto dichiarato dal testimone, dopo poco egli avrebbe sentito degli spari davanti alla casa colonica che fungeva da posto comando della Compagnia. Guardando fuori dalla porta egli avrebbe visto l'imputato sparare - insieme con l'ormai defunto Gnass e Schuster (sul quale si indaga separatamente) - su un gruppo di persone, tra le quali si trovavano anche delle donne. Quest'ultime, così come gli uomini del gruppo, avrebbero gridato ai tre soldati tedeschi in un tedesco stentato: "Non sparate, tedeschi, non sparate!", nonché: "Camerati, camerati!". Ciò nonostante tutti e tre i soldati tedeschi, tra i quali figurava l'imputato, avrebbero continuato a sparare. Quindi alcuni soldati tedeschi avrebbero preso le donne e gli avrebbero assestato il colpo di grazia alla testa. Tutte e sette le persone sarebbero infine morte. Inoltre il testimone May raccontò che dopo la fucilazione dei sette civili italiani l'imputato avrebbe detto che nella casa colonica ai piedi della collina vi erano altre persone e che sarebbero scesi per "finire anche gli altri". L'imputato infine si sarebbe recato insieme a Gnass e a Schuster (nei confronti del quale si indaga separatamente) verso la casa situata ai piedi della collina. Secondo la deposizione del testimone May, circa 10 fino a 15 minuti più tardi egli udì degli spari nelle immediate vicinanze di quella casa. Gnass e Schuster sarebbero tornati dopo poco tempo al posto comando della Compagnia, commentando che avevano "sistemato anche le altre persone laggiù".
Più tardi il testimone May avrebbe ricevuto dal Sottotenente Raschke - tornato al posto comando della Compagnia dopo la seconda fucilazione - l'ordine di portare in casa i cadaveri e di coprirli con il fieno. A quel punto egli sarebbe sceso ed avrebbe trascinato dentro la casa i cadaveri. Durante tale operazione egli avrebbe riconosciuto all'incirca quattro bambini in un'età compresa tra i tre e i nove anni, circa cinque fino a sei donne, delle quali due avevano un'età compresa tra i 20 ed i 30 anni, mentre le altre dovevano essere state più anziane. Il testimone May non vide cadaveri di uomini.
La deposizione dell'ormai defunto testimone Lella, di cui è stata data lettura, conferma il racconto del testimone May. Per quanto concerne la fucilazione dei primi sette civili davanti al posto comando della Compagnia, il testimone Sikorski, davanti alla commissione americana composta da Ufficiali, ha dato una rappresentazione dei fatti quasi identica a quella del testimone May. L'imputato, Gnass e Schuster (sul quale si indaga separatamente) avrebbero sparato sul gruppo di persone, incluso sulle donne. Le persone avrebbero implorato i soldati tedeschi di non ucciderli, gridando: "Tedeschi, non sparate! Camerati, camerati!". Inoltre il testimone Lella riferì che dopo gli uomini vennero uccise anche le donne; quest'ultime vennero uccise con colpi alla testa. Per quanto concerne la fucilazione delle 15 persone nella casa colonica, situata ai piedi della collina, il testimone Lella raccontò (tale racconto combacia con le dichiarazioni fatte dal testimone May) che dopo l'esecuzione dei sette civili, udì dei soldati tedeschi fare la proposta di andare ai piedi della collina (verso l'altra casa colonica) e di portare con loro le bombe a mano. In seguito un gruppo di circa sei soldati - tra i quali figuravano l'imputato, Gnass e Schuster (contro il quale si indaga separatamente) - si sarebbe recato in quella casa. Secondo il racconto dei testimone Lella l'imputato sarebbe stato "l'autore principale". Poco dopo la partenza del gruppo di soldati tedeschi verso la casa colonica situata ai piedi della collina, egli avrebbe sentito colpi di mitragliatrice e di pistola, la detonazione di due bombe a mano, nonché molte urla. Una volta ritornato il gruppo, Gnass ed un'altro Sottufficiale avrebbero conversato su come si uccidano e poi si sotterrino le persone; in quel frangente Gnass avrebbe spiegato di avere già appreso tutto ciò in Russia ed in Polonia.
Le dichiarazioni quasi concordi dei testimoni May e Lella, trovano una conferma diretta nella dichiarazione del testimone Sikorski, che non è stato possibile rintracciare, letta però nel dibattimento. Quest'ultimo raccontò alla commissione americana composta da Ufficiali ad Aversa, d'aver assistito, due giorni dopo l'accaduto, a una discussione avvenuta tra i soldati della 3A Compagnia del 29° Reggimento meccanizzato (e cioè la Compagnia Raschke), relativa alla fucilazione dei civili italiani. In tale occasione si parlò anche del fatto che l'uccisione dei civili in cima alla collina non era stata l'unica uccisione avvenuta quella stessa sera. Il Sottotenente Emden in seguito si sarebbe recato ai piedi della collina, con l'intento di "eliminare" altri civili.
Da quanto poté osservare egli stesso, quella stessa sera quattro o cinque soldati, che si erano presentati volontariamente, lasciarono il posto comando con le loro armi, dopo che durante una discussione avvenuta tra gli Ufficiali e i Sottufficiali, si era unanimemente pervenuti alla decisione di uccidere i civili. Inoltre il testimone Sikorski avrebbe assistito a un colloquio tra l'imputato ed un'altro Sottufficiale del posto comando della Compagnia, durante il quale l'imputato avrebbe sostenuto di avere incontrato ai piedi della collina dai 20 ai 30 italiani, ai quali egli si sarebbe presentato come inglese, chiedendo loro di indicargli le postazioni tedesche. Il gruppo di italiani avrebbe quindi indicato la casa, nella quale si trovava il posto comando della Compagnia. Secondo l'opinione espressa dall'imputato, quelle persone dovevano essere fucilate. Inoltre il testimone Sikorski raccontò che ci fu una discussione generale su come ci si dovesse sbarazzare dei cadaveri della prima fucilazione. In un primo momento si era pensato di posare i cadaveri su un mucchio di fieno e di dargli fuoco durante la ritirata. Tuttavia questa proposta non venne messa in atto. Il testimone May, insieme ad altri, avrebbe scavato una grande fossa nei pressi del posto comando della Compagnia, nella quale più tardi vennero messi i cadaveri.
Anche il testimone Ligmanowski fece un rapporto alla commissione americana composta da Ufficiali, dal contenuto identico a quello dei testimoni May, Lella e Sikorski. In base alle ricerche del Tribunale penale della regione della Renania-Palatinato, il testimone Ligmanowski risulta essere disperso. Non è stato possibile localizzare il suo attuale luogo di residenza. Egli è stato dichiarato non rintracciabile dalla Camera. Le sue deposizioni davanti alla commissione americana di Ufficiali è stata acquisita al dibattimento tramite lettura.
Anche il testimone Ligmanowski apparteneva all'Unità dell'imputato. Al momento dell'avvenimento egli montava di guardia con una mitragliatrice a circa 100 metri dal posto comando della Compagnia. All'improvviso egli sentì degli spari nei pressi del posto comando e udì le grida disperate di donne. Poco dopo un gruppo sarebbe passato molto vicino al posto, in cui egli montava di guardia. Egli avrebbe riconosciuto l'imputato, il Sottufficiale Gnass e un soldato scelto, di nome Zabel. Il soldato scelto Zabel si sarebbe fermato ed avrebbe detto: "In quella casa ci sono italiani ("capelloni"). Li stenderemo tutti". Il testimone Ligmanowski al chiarore della luna poté vedere che il gruppo di soldati tedeschi, guidato dall'imputato, entrava nella casa colonica. Si sarebbe udito uno sparo. Donne e bambini avrebbero gridato disperatamente. Il testimone Ligmanowski inoltre raccontò d'aver visto l'imputato che attraverso una finestra lanciava una bomba a mano dentro la casa. Il Sottufficiale Gnass avrebbe fatto fuoco con la mitragliatrice. Dentro la casa si sarebbero udite urla strazianti.
Durante un ulteriore interrogatorio il testimone Ligmanowski dichiarò d'aver visto l'imputato, Schuster, Gnass e Zabel avvicinarsi alla casa. Durante il massacro sarebbero state quattro le persone impegnate nell'azione attorno alla casa. Dopo il massacro sarebbero sempre state quattro le persone che avrebbero nuovamente abbandonato la casa. Alle richieste insistenti il testimone rispose di non poter dichiarare sotto giuramento che le quattro persone che si recarono nella casa e che poi la lasciarono, fossero identiche con quelle che avevano commesso il crimine.
Per quanto concerne questa dichiarazione del testimone Ligmanowski la Camera non ha alcun dubbio sul fatto che i responsabili del massacro compiuto nella casa colonica ai piedi della collina fossero l'imputato ed i suoi compagni. Non è possibile individuare altre quattro persone - al di fuori dell'imputato e dei suoi compagni - che nell'arco di tempo in questione potrebbero essere ritenute responsabili del crimine.
Durante un ulteriore interrogatorio il testimone Ligmanowski avrebbe nuovamente raccontato d'aver visto precisamente quanto accadeva nella casa colonica ai piedi della collina. Egli avrebbe abbandonato il posto di guardia presso la mitragliatrice, per avvicinarsi alla casa, strisciando a terra. Da lì avrebbe potuto vedere come una bomba a mano volasse attraverso la finestra dentro la casa e come dopo poco dentro la casa si producesse la detonazione.
Donne e bambini avrebbero urlato. Altre due bombe a mano sarebbero scoppiate dopo la prima. II testimone in seguito udì colpi di arma da fuoco automatica e colpi di mitragliatrice. Dopo poco vi sarebbe stato silenzio. Alla domanda, chi del gruppo di soldati tedeschi egli avesse riconosciuto, il testimone Ligmanowski rispose: "II Sottufficiale Gnass, il Sottotenente Lehnigk-Emden, Niebisch e un altro soldato".
La deposizione del testimone Ligmanowski si inserisce pienamente nel quadro delle deposizioni dei testimoni May, Lella e Sikorski.
E' convinzione della Camera che le sopracitate testimonianze confutino anche le dichiarazioni rilasciate dall'imputato nel corso dell'istruttoria, secondo le quali si sarebbe trattato di una singola azione contro una casa nemica.
Nell'ambito della sua dichiarazione, l'imputato nell'istruttoria ha affermato che nel campo di prigionia americano di Aversa e più tardi in quello in Algeria, egli sarebbe stato costretto a una confessione con le botte e con i maltrattamenti. Inoltre, specialmente per quanto riguarda il testimone May, si tratta di un polacco appartenente alla "Volksdeutsche Liste 4" (N.d.T. lista nella quale figuravano i tedeschi di nazione, ma non di cittadinanza), che non era neanche padrone della lingua tedesca, per il quale lecito supporre che egli abbia dichiarato il falso per odio o per sete di vendetta.
La Camera non ha potuto non indagare su quanto dichiarato precedentemente dall'imputato. Durante l'interrogatorio nel campo di prigionia di Aversa, all'imputato venne assegnato, in qualità di difensore, un Ufficiale americano, che nella vita borghese era un giudice. Il verbale relativo a questi interrogatori evidenzia che il difensore dell'imputato all'epoca sollevò numerose obiezioni contro l'interrogatorio dell'imputato. La Camera è convinta del fatto che in questo caso si sia trattato di un'acquisizione di prove secondo la procedura penale americana, che attribuisce particolare importanza ai principi dello stato di diritto, e in particolare il diritto elementare alla difesa dell'imputato. Durante l'intero procedimento non sono emersi elementi a sostegno del fatto che l'imputato durante la prigionia di guerra sia stato sottoposto a maltrattamenti.
Le dichiarazioni dei testimoni May, Lella, Sikorski e Ligmanowski inoltre trovano una conferma nelle deposizioni dei testimoni italiani Inserra, d'Agostino e Raffaele Perrone. I testimoni Inserra e d'Agostino nel frattempo sono deceduti, n testimone Raffaele Perrone, che è anche parte civile, secondo quanto ha affermato il figlio, Vincenzo Perrone, che è stato ascoltato l'il gennaio 1994 durante il dibattimento, ha quasi compiuto 85 anni, non è più in grado di viaggiare, è pressoché intrattabile e "mentalmente non più del tutto in grado di intendere". E comunque la parte civile, Sig. Raffaele Perrone, non ha ottemperato all'ordine di comparizione davanti alla Camera, così che le sue dichiarazioni, come anche le dichiarazioni dei testimoni Inserra e d'Agostino, hanno dovuto essere acquisite al procedimento attraverso lettura, conforme al paragrafo 251, comma 2, capoverso 2 del C.p.p..
Il 14 febbraio 1944 i testimoni fecero delle deposizioni, nell'ambito di un interrogatorio realizzato da una commissione americana di Ufficiali nei pressi di Caiazzo, in occasione del ritrovamento dei cadaveri a seguito dell'uccisione.
Secondo quanto ha dichiarato il testimone Inserra, il 14 ottobre 1943 nella casa colonica situata ai piedi della collina egli trovò 14 o 15 cadaveri ammucchiati, in parte coperti dalla paglia ed in parte nascosti da una coperta. Nella casa sulla collina, dove egli si sarebbe recato in seguito, egli avrebbe visto sette cadaveri in una fossa.
A tale riguardo vale la pena sottolineare che questa dichiarazione coincide con la dichiarazione fatta dal testimone May davanti alla Commissione d'inchiesta nel campo di prigionia americano di Aversa.
Il testimone Inserra inoltre raccontò che i cadaveri per la maggior parte erano completamente sfigurati, di modo che poterono essere identificati solo con difficoltà. Quando tra i cadaveri ebbe ritrovato la sorella, egli avrebbe notato che tra le altre cose il suo cadavere presentava una ferita alla testa, ossia al collo, causata evidentemente da un'arma da taglio. Dalla ferita al collo si sarebbe eventualmente potuto dedurre che proprio in quel punto fosse entrata la lama di un coltello. Nella scatola cranica vi sarebbe stato un foro, come se vi fosse passata la lama di un pugnale, entrato in quel punto e fuoriuscito dal collo. Inoltre egli avrebbe notato un taglio nel fazzoletto che la sorella portava intorno alla testa. Anche il cadavere del cognato Francesco d'Agostino avrebbe presentato gli stessi segni di colpi di coltellate. Sul corpo di un'altra donna, ritenuta in un primo momento sua sorella, si sarebbe notato un grande foro nella schiena; la pelle della schiena sarebbe stata completamente lacerata. A sua nipote Carmela d'Agostino, di sette anni, mancava la gamba destra, che non è stato possibile rinvenire. Dopo due giorni sarebbe stato ritrovato un suo piede. Tra i cadaveri egli avrebbe notato anche il corpo della madre di suo cognato. Nella parte inferiore della parete esterna della casa, egli avrebbe notato dei capelli e della pelle. Inoltre il testimone raccontò di aver trovato numerosi bossoli di cartucce.
Per quanto concerne il ritrovamento dei cadaveri, l'ormai deceduto testimone Salvatore d'Agostino, diede una versione dei fatti che coincide con quella data dal testimone Inserra. Il 14 ottobre 1943, quindi un giorno dopo entrambe le fucilazioni, egli avrebbe visto sette cadaveri in una fossa nei pressi della casa sulla collina. Anche in questo caso le sue dichiarazioni coincidono con quelle del testimone May. Per quanto concerne i cadaveri ritrovati nella casa colonica ai piedi della collina, il testimone ha affermato che questi cadaveri presentavano ferite da mitragliatrice, nonché ferite dovute a bionette. Nel caso di Orsola Massadore egli per esempio avrebbe riscontrato su un lato ferite dovute a coltellate, mentre il cadavere di Angelina d'Agostino presentava simili ferite alla testa ed al collo.
Identiche dichiarazioni relative al ritrovamento dei cadaveri, sono state rilasciate il 14 febbraio 1944, dal testimone e parte civile Raffaele Perrone, chiamato a testimoniare davanti a una Commissione americana di Ufficiali. Secondo quanto dichiarato da quest'ultimo, i cadaveri rinvenuti nella casa ai piedi della collina sarebbero stati orrendamente mutilati con oggetti contundenti. In base al suo racconto i visi erano completamente sfigurati. I cadaveri risvegliarono in lui l'impressione di essere stati uccisi durante un combattimento. In particolar modo i cadaveri di due bambini dell'età di circa quattro o cinque anni, sarebbero stati orrendamente mutilati. Solo dalle dimensioni dei corpi si sarebbe potuto dedurre che si trattava di bambini. I cadaveri erano nascosti sotto la paglia.
Nell'ambito di un interrogatorio della Procura della Repubblica, avvenuto nel marzo del 1992 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i tre testimoni Inserra, Salvatore d'Agostino e Raffaele Perrone hanno integralmente confermato le dichiarazioni fatte da loro in passato.
Le summenzionate prove sono risultate sufficienti alla Camera, per poter fare le osservazioni riportate al punto III. La Camera riconosce che le deposizioni, specialmente dei testimoni diretti May, Lella e Ligmanowski, sono state acquisite al processo solo attraverso la lettura, per cui avevano un minore valore che se la Camera avesse potuto ascoltarli direttamente. Dalle testimonianze, messe in particolar modo in relazione con le dichiarazioni fatte dai testimoni italiani, si evince un quadro abbastanza concorde della situazione. La Camera è del parere che non potrà più essere definitivamente accertato - neanche attraverso un'ulteriore indagine - se effettivamente alla fine si sia fatto uso di pugnali o di baionette. Tale constatazione comunque, secondo il parere della stessa, non avrebbe una grande importanza nell'ulteriore valutazione dei fatti. Partendo dalle deposizioni dei testimoni Lella e Ligmanowski, si dovrà presumere che nell'uccisione avvenuta nella casa colonica ai piedi della collina siano state utilizzate bombe a mano. Le gravi ferite eventualmente originate da quest'ultime, potrebbero essere tranquillamente confermate - senza che siano per forza state utilizzate armi contundenti ed armi da punta - le versioni dei testimoni Inserra, d'Agostino e Raffaele Perrone, riguardo alle mutuazioni e alle ferite notate.
Inoltre sussiste anche la alquanto remota possibilità che i testimoni italiani, nel loro comprensibile dolore e turbamento per la morte dei loro familiari, durante l'interrogatorio abbiano leggermente esagerato nel descrivere le ferite osservate sui cadaveri. Dei civili italiani per esempio, in tutt'altra occasione raccontarono alle Truppe americane che avanzavano nella zona di Caiazzo, che dei soldati tedeschi avevano ucciso un soldato americano, gli avessero tagliato l'organo genitale e che poi l'avessero sotterrato. L'inchiesta immediatamente avviata, portò all'esumazione del corpo del soldato americano, con l'intento di chiarire la fattispecie. La visione del cadavere tuttavia in questo caso non confermò la versione relativa ai maltrattamenti, data dai testimoni italiani. L'esempio qui riportato intende solamente chiarire che anche in questo caso, per quanto concerne una spiegazione dei fatti, dovranno essere fatte delle riserve, considerando anche il fatto che il caso in questione è avvenuto più di 50 anni fa, per cui non sarà più possibile una spiegazione dei fatti fin nei minimo dettaglio.
Un ulteriore accertamento dei fatti è stato rinviato dalla Camera, su istanza della Procura della Repubblica e della parte civile, fin quando non sarà ascoltato l'esperto storico. Una volta ascoltato il parere degli esperti, la Camera, conforme al paragrafo 244, comma 3 del C.p.p., ha respinto le richieste di prove, in quanto non determinanti ai fini della decisione. Con l'aiuto delle prove raccolte, la Corte è stata in grado di farsi un'idea sufficientemente chiara di quanto accadde la sera del 13 ottobre 1943. Qualsiasi ulteriore indagine avrebbe solamente aggravato il sospetto di omicidio che già esiste nei confronti dell'imputato. Ulteriori accertamenti delle prove avrebbero altrimenti portato alla conclusione, che l'azione dell'imputato poteva solamente essere considerato omicidio volontario, che comunque sarebbe già caduto in prescrizione.
V
Poiché gli argomenti di cui al punto III dovevano ancora essere verificati, la Camera - a seguito di valutazione giuridica del reato, dopo aver ascoltato gli esperti ed altri testimoni - è passata ad affrontare la questione se alla punizione non ostasse l'incidente processuale della prescrizione, ai sensi del paragrafo 78, comma 1 del C.p..
In tale occasione è stato innanzitutto necessario stabilire, che come fattispecie, oggetto di diritto penale, devono essere considerate solamente le osservazioni, così come queste sono state riportate al punto III. 3.
La fucilazione del primo gruppo di sette civili italiani (riportata al punto III. 2.) è stata valutata dalla Procura della Repubblica come un omicidio volontario ormai caduto in prescrizione e quindi non più passibile di imputazione. Anche la Camera è del parere che nel caso delle due fucilazioni si sia trattato di due azioni, che devono essere trattate separatamente. Secondo quanto dichiarato dai testimoni May e Lella, è evidente che si debba partire dal fatto che la decisione di scendere verso la casa colonica situata ai piedi della collina fosse stata presa solamente dopo che nel posto comando della Compagnia - dopo la fucilazione dei primi sette civili - si fosse aperta una discussione relativa al fatto che le persone che si trovavano nella casa ai piedi della collina "dovessero essere eliminate". Di conseguenza non si può più parlare di una unica azione, bensì di un ulteriore concorso di reato che ha portato all'omicidio.
La seconda fucilazione di 15 donne e bambini deve essere intesa come omicidio ai sensi del paragrafo 211 del C.p..
E' anche vero che non si può parlare di uccisione sleale, poiché, considerando la precedente cattura e la fucilazione dei sette civili, le vittime adulte non potevano essere del tutto ignare e prive di difesa. Per quanto concerne i bambini, è ovvio che viene a mancare la caratteristica dell'omicidio, e cioè la malizia, in quanto per principio nei bambini non si può parlare di ingenuità e di mancanza di difesa, essendo essi stati incapaci di intendere le intenzioni dell'autore dell'omicidio, e non potendo opporsi efficaciemente all'aggressione ("Leipziger Kommentar" e (N.d.T. Commento di Lipsia) al C.p., 10^ edizione, paragrafo 211, comma 44).
Allo stesso modo non può essere accertato l'ipotesi di omicidio per crudeltà. Dalle prove raccolte non risulta che l'imputato abbia inflitto alle sue vittime in modo crudele e spietato, dolori o sofferenze di tipo fisico o morale, che abbiano superato per intensità o durata la misura necessaria all'uccisione (Sentenza della Corte di Cassazione federale in materia penale 3. 180; 3,264; Corte di Cassazione federale "Neue Zeitschrift fiir Strafrecht" (N.d.T. "Nuova rivista di diritto penale") 1982, 379). La Camera non è stata in grado di stabilire con certezza se le vittime siano state uccise con l'aiuto di pugnali o baionette, piuttosto le mutilazioni potrebbero anche avere avuto origine dall'impiego delle bombe a mano.
Inoltre non si è potuta accettare l'imputazione di omicidio compiuto con "mezzi che costituiscono un pericolo pubblico". L'imputato attraverso l'impiego di bombe a mano, ossia di armi automatiche, non ha costituito un pericolo per un numero imprecisato di persone, attraverso la non controllabilità nell'impiego (v. "Leipziger Kommentar" (N.d.T. Commento di Lipsia) al C.p., 10^ edizione, paragrafo 211, comma 59). Piuttosto fin da principio l'imputato intendeva uccidere tutte le persone dentro alla casa. Inoltre non esiste neanche l'intenzione dell'imputato, di nascondere l'omicidio volontario commesso poco prima nei confronti dei sette civili. Considerando lo stato di guerra imperante, non si può partire dall'idea che con l'omicidio si volessero eliminare testimoni scomodi, in quanto molti degli uccisi erano dei bambini. Quindi anche in tale contesto resta aperta la questione, se l'uccisione dei sette civili, avvenuta in precedenza, sia o meno giustificabile dal punto di vista del diritto di guerra.
Si può però accertare l'imputazione per "motivi abietti". Trattasi di un omicidio, il cui motivo sotto il profilo morale, è disprezzabile e di infimo livello (v. Sentenza della Corte di Cassazione federale in materia penale 2, 63). A seguito della giurisdizione della Corte di Cassazione federale, che si basa su una concezione generale, la fucilazione di donne ed in particolar modo di bambini, rientra nella peggiore categoria di omicidi; tale fatto è decisivo ai fini della definizione di un'azione come omicidio (Corte di Cassazione federale 4 "Strafrecht" (N.d.T. "Diritto penale") 464/66). A tale riguardo la Camera stabilisce espressamente che la brutale uccisione di 15 donne e bambini non era assolutamente giustificabile sotto il profilo militare. Poiché l'imputato con la prima fucilazione - che deve essere considerata un omicidio volontario ormai caduto in prescrizione - poteva ancora supporre che si trattasse di persone che, attraverso segnali luminosi dati in direzione delle linee nemiche, avessero compiuto atti di sabotaggio, ossia atti di spionaggio, si dovrà allo stesso tempo supporre che egli - secondo la propria opinione - con la cattura dei quattro uomini che erano nella casa colonica ai piedi della collina, egli avesse fermato i presunti colpevoli. Durante tale azione di cattura, l'imputato si è accorto che nella casa si trovavano altre donne e bambini incolpevoli. Se quindi dopo la fucilazione dei primi sette civili nel posto comando della Compagnia, egli decise di scendere nuovamente verso la casa ai piedi della collina per uccidere le 15 persone lì presenti, egli, secondo il parere della Camera, agì sulla base del più infimo gradino morale e quindi agì per motivi abietti, nel senso della qualifica degli omicidi, ai sensi del paragrafo 211 del C.p..
Considerando il fatto che l'omicidio delle 15 donne e bambini non fosse in nessun modo giustificabile sotto il profilo del diritto internazionale, la Camera non ha alcun dubbio sul fatto che l'imputato, anche sotto l'aspetto soggettivo, fosse consapevole della bassezza dei suoi motivi e che quindi agisse di conseguenza.
In questo caso non si tratta di una (eventualmente giustificabile) uccisione di ostaggi, ossia di prigionieri presi per motivi di espiazione o per rappresaglia.
Inoltre non si è trattato di un caso di lotta contro i Partigiani, che per certi versi poteva giustificare l'uccisione di persone in guerra. In base all'articolo 1 e 2 dell'Allegato IV dell'Accordo dell'Aia del 18 ottobre 1907, concernente le leggi e le usanze della guerra terrestre (Ordinamento dell'Aia, relativo alla guerra terrestre), lo status di combattente presuppone, che qualcuno sia a capo di un Corpo o di una Milizia, che sia responsabile dei suoi subalterni, che le persone portino un determinato distintivo riconoscibile da lontano, che essi portino apertamente le armi e che nelle loro imprese esse rispettino le leggi e le usanze della guerra. L'articolo 2 dell'Ordinamento dell'Aia, relativo alla guerra terrestre, stabilisce che la popolazione in lotta viene considerata una popolazione in guerra, quando porta apertamente le armi e quando rispetta le leggi e le usanze della guerra. Nessuno di questi presupposti è dato nel caso delle 15 persone uccise.
Inoltre non si trattava neanche di soldati irregolari. Secondo il paragrafo 3 del "Kriegssonderstrafrechtsverordnung" (N.d.T. "Decreto speciale del diritto di guerra") del 17 agosto 1938, veniva punito con la morte, perché accusato di essere un soldato irregolare, colui che, senza appartenere alla potenza nemica armata, non fosse riconoscibile attraverso i distintivi di appartenenza prescritti dal diritto internazionale, porti armi o altri mezzi di combattimento, o che ne sia in possesso, con l'intento di utilizzare tali mezzi contro la Wehrmacht tedesca o contro u suo alleato, o di uccidere uno dei suoi appartenenti, o che compia una qualsiasi azione, che secondo le usanze della guerra possono essere compiute solamente da appartenenti a una potenza armata in uniforme.
Dalla constatazione dei fatti non risulta che le persone che si trovavano nella casa colonica ai piedi della collina fossero armate. A causa del non meglio definito sospetto di atti di spionaggio a favore del nemico, compiuti attraverso presunti segnali luminosi dati in dirczione delle linee nemiche, si potrebbe tutt'al più discutere sull'appartenenza o meno ai Partigiani del primo gruppo di 7 persone uccise; benché anche in questo caso una uccisione ammissibile avrebbe presupposto che la pena di morte venisse pronunciata solo da un Tribunale. Queste persone invece, prima della loro fucilazione nel posto comando della Compagnia, non sono neanche state ascoltate, poiché evidentemente non vi era alcun interprete.
Anche la seguente uccisione di 15 donne e bambini non può essere considerata, come motivo di giustificazione, una misura di rappresaglia nel senso di una punizione collettiva. In questo caso innanzitutto non è stato dato alcun ordine di punizione collettiva da un Comandante militare di grado superiore. Tutt'al più si è trattato di un'azione arbitraria dell'imputato. Inoltre l'uccisione delle 15 persone non era assolutamente necessaria da un qualsiasi possibile punto di vista militare; anzi, semmai essa contravviene a ogni principio di umanità e di proporzionalità.
Con ciò vengono a mancare i motivi di giustificazione per l'omicidio compiuto dall'imputato nei confronti di 15 persone.
VI
La punizione di questo assassinio viene contrastata dall'incidente procedurale della prescrizione del procedimento ai sensi del paragrafo 78, comma 1 del C.p..
E' certo che nel periodo che va dall'8 maggio 1945 al 31 dicembre 1949 - sulla base alla legge sul conteggio dei termini di prescrizione del diritto penale del 13 aprile 1965 - la prescrizione era in vigore ("Bundesgesetzblatt" (N.d.T. Gazzetta ufficiale del Governo federale) I, p. 315). In base al paragrafo 1, comma 1 della suddetta legge, la prescrizione è entrata in vigore poi anche per la punizione di crimini che, come l'omicidio, potevano essere puniti con l'ergastolo. Inoltre la prescrizione era in vigore anche ai sensi della legge regionale della Renania-Palatinato del 23 marzo 1948 ("Gesetzes- und Verordnungsblatt" (N.d.T. Gazzetta delle leggi e dei Decreti) p. 244).
Ai sensi del paragrafo 67, comma 1, 1^ alternativa, nonché del paragrafo 211, comma 1 della versione precedente del C.p., i termini di prescrizione previsti in caso di omicidio erano di 20 anni. Se la prescrizione fosse iniziata solamente l'I gennaio 1950, l'omicidio il 31 dicembre 1969 sarebbe già caduto in prescrizione. Tuttavia l'entrata in prescrizione è stata ostacolata dall'entrata in vigore della legge nr.9 di emendamento al diritto penale del 4 agosto 1969 ("Bundesgesetzblatt" (N.d.T. Gazzetta ufficiale del Governo tedesco) I, p.1065), con la quale i termini di prescrizione in caso di omicidio sono stati prolungati a 30 anni. Di conseguenza i termini di prescrizione sarebbero stati raggiunti il 31 dicembre del 1979. Con la legge nr.16 di emendamento al diritto penale del 16 luglio 1979 ("Bundesgesetzblatt" (N.d.T. Gazzetta ufficiale del Governo federale) I, p. 1046), la prescrizione in caso di omicidio venne abolita attraverso il nuovo paragrafo 78, comma 2 del C.p., nel caso che ancor prima che entrasse in vigore tale legge, non fosse già subentrata la prescrizione.
Secondo la giurisdizione permanente della Corte costituzionale federale e secondo l'opinione imperante, le leggi di emendamento al diritto penale non contravvengono al divieto di retroattività della Legge Fondamentale (N.d.T. Costituzione tedesca), Art.103, comma 2, poiché il prolungamento o l'abolizione di termini di prescrizione non rientrano come regola procedurale nel divieto di retroattività (Sentenza della Corte Costituzionale 25, 269, 286, 287).
A tal riguardo è stata quindi decisiva la questione se l'azione fosse caduta in prescrizione prima dell'entrata in vigore della legge nr.16 di emendamento al diritto penale del 16 luglio 1979. Ciò avverrebbe se si dovesse partire dal caso normale dettato dalla legge, secondo il quale i termini di prescrizione iniziano a decorrere una volta terminata l'azione stessa, e quindi dal 13 ottobre 1943 (paragrafo 78 a, capoverso 1 del C.p.).
Se invece nel periodo che va da 13 ottobre 1943 all'8 maggio 1945, data del crollo della dittatura nazionalsocialista, la prescrizione fosse stata sospesa, allora l'azione al momento dell'abolizione della prescrizione in caso di omicidio, non sarebbe ancora caduta in prescrizione e quindi ancora perseguibile. Una tale sospensione della prescizione (paragrafo 78 b, comma 1, capoverso 1 del C.p.) non è però subentrata.
In tal caso si suppone un preciso e plausibile impedimento del procedimento penale. Il caso normale previsto dalla legge, consiste nei decorso incontrastato dei termini di prescrizione a partire dalla conclusione dell'azione stessa, secondo il paragrafo 78 a del C.p.. Nel diritto penale, così come in altre branche del diritto, l'entrata in vigore o la sospensione della prescrizione - sulla base del paragrafo 78 b del C.p. - costituiscono un'eccezione. In tutti i casi regolati dalla legge la sospensione della prescrizione si riallaccia a circostanze precise, ben definite e constatabili. Anche una sospensione del diritto, deve essere inequivocabilmente e chiaramente constatabile. Prendendo come punto di partenza la sentenza della Corte di Cassazione federale- 2 "Strafrecht" (N.d.T. Diritto penale) 57/69 - del 29 ottobre 1969 (Sentenza della Corte di Cassazione federale in materia penale 23, 137), la sospensione della prescrizione subentra solamente in casi, nei quali è chiaro che interventi di coloro che detenevano il potere durante il Nazionalsocialismo abbiano evitato che si punisse l'azione. Sulla base di questa sentenza della Corte di Cassazione federale, si tratta di stabilire se la "volontà del Führer", avente valore di legge, fosse effettivamente in contrasto con la punizione dell'azione. I presupposti per la sospensione della prescrizione si creerebbero solamente se l'azione, così come questa risulta essere effettivamente avvenuta secondo quanto constatato, per motivi decisi da coloro che detenevano il potere durante Nazionalsocialismo, non fosse stata punita con certezza, sempre che già allora fosse stata oggetto di un procedimento penale.
In tal senso la Camera in un primo momento era tenuta a fare delle constatazioni nell'ambito della raccolta delle prove, che facessero rientrare nella valutazione giuridica la fattispecie dell'omicidio, sulla base del paragrafo 211 del C.p., e quindi dell'unico delitto eventualmente non ancora caduto in prescrizione.
A tal riguardo la Camera si è fatta una sufficiente convinzione relativa alla fattispecie, che confermerebbe la fattispecie dell'omicidio.
In seguito si è trattato di stabilire se nel periodo cha va dal 13 ottobre 1943 all'8 maggio 1945 un organo militare tedesco - che avrebbe potuto avviare o condurre un'azione legale - sia venuto a conoscenza dell'omicidio compiuto dall'imputato, da Schuster (sul quale si indaga separatamente) e dall'emuli deceduto Hans Gnass.
Ciò è escluso, poiché è chiaro che durante il suddetto periodo, fino alla fine della guerra, l'azione non era nota da parte tedesca, per cui non venne neanche punita. A tal proposito la Camera ha ascoltato i testimoni Henrich ed il Dr. Schnell. Entrambi sono stati testimoni delle vicende di allora. D testimone Henrich fin dall'aprile del 1942 è stato un Ufficiale del 29° Reggimento meccanizzato. Egli è stato Comandante di Compagnia fino al settembre del 1943, quando il Comando passò al Sottotenente Raschke. Al momento dell'accaduto il testimone era Ufficiale d'ordinanza presso il Comando del Reggimento. Era suo compito intrattenere le relazioni con gli altri Comandi; inoltre egli si assumeva in parte compiti di Ufficiale facente parte di un Tribunale militare. Per il resto egli era principalmente responsabile della coesione esistente tra le singole aliquote di truppa. Il testimone è stato in grado di ricordarsi alla perfezione degli avvenimenti di Caiazzo del 13 ottobre 1943. In quel periodo iniziò la battaglia del Volturno. La battaglia attorno a Caiazzo durò un giorno, poi iniziò la ritirata tedesca. D testimone Henrich ha chiaramente affermato che durante la sua intera attività presso il 29° Reggimento meccanizzato non sarebbe venuto a conoscenza dell'uccisione di civili italiani, avvenuto per mano di appartenenti al suo stesso Reggimento. Di tale azione, di cui viene accusato l'imputato, egli sarebbe venuto a conoscenza solo nel novembre del 1992. Il testimone Henrich ha dichiarato alla Camera in modo credibile e evidente, che di un tale fatto egli avrebbe dovuto essere messo a conoscenza, visto che per motivi di servizio una tale notizia per forza di cose avrebbe dovuto giungergli. In quel periodo si sarebbe prestato maggiore attenzione a qualsiasi atto di prepotenza commesso nei confronti della popolazione civile italiana, si sarebbe posto maggiore accento sulla giurisdizione, al fine di mantenere la disciplina delle Truppe. In caso di avvenuta comunicazione, un episodio, come quello verificatosi a Caiazzo, avrebbe certamente portato a una punizione dell'imputato.
Il testimone Dr. Schnell, Generale in pensione, nell'ottobre del 1943 appartenne alla 3A Divisione meccanizzata (10A Armata), in qualità di 2° Ufficiale di Stato Maggiore (Ufficiale addetto al comando), responsabile del vettovagliamento della Truppa, n 27 ottobre 1943 egli giunse alla 3^ Divisione meccanizzata. Il testimone ha dichiarato che egli avrebbe dovuto essere a conoscenza di un fatto, come quello contestato all'imputato. Egli si è detto convinto del fatto che anche più tardi, dopo il 13 ottobre 1943, quando egli era un Ufficiale di questa Divisione, si sarebbe dovuto parlare prima o poi di un così grave episodio. Anche il testimone Dr. Schnell ha dichiarato a questa Camera che all'interno della Divisione prevalesse una forte giurisdizione, per quanto concerneva atti di prepotenza commessi nei confronti della popolazione civile italiana. All'epoca era stato posto un forte accento sul mantenimento di buone relazioni con quest'ultima. La Divisione avrebbe scelto un determinato "Ufficiale per il settore delle retrovie", incaricato di fare sì che i contatti con la popolazione civile fossero buoni. Solamente a partire dalla primavera del 1944 egli avrebbe appreso di uccisioni di Partigiani.
Anche il testimone Dr. Schnell, al pari del testimone Henrich, ha dichiarato che in caso di avvenuta comunicazione dell'episodio, l'imputato sarebbe certamente stato punito dalla legge.
In seguito alle deposizioni di questi testimoni, la Camera - specialmente sulla base delle dichiarazioni del testimone Henrich - ha intanto stabilito che l'azione dell'imputato all'epoca non era nota agli organi militari tedeschi. Pertanto la Camera non ha alcun motivo per dubitare delle dichiarazioni fatte dai testimoni Henrich e Dr. Schnell.
Entrambe i testimoni hanno dichiarato indipendentemente l'uno dall'altro, che un'azione, come quella compiuta dall'imputato, sarebbe certamente stata punita, laddove possono essere lasciati aperti i motivi di una tale punizione (mantenimento della disciplina nella Truppa o mantenimento di buoni rapporti con la popolazione civile italiana).
La Camera non ha dubbi sulla credibilità di questi due testimoni dell'epoca. Non esistono motivi per affermare che essi abbiano dichiarato il falso con l'intento di discolpare l'imputato. Entrambe i testimoni non conoscono l'imputato e sono venuti a conoscenza del fatti di Caiazzo solamente alla fine del 1992.
I due testimoni non possono neanche essere accusati di avere tentato successivamente di tener alto con tutti i mezzi l'onore della Wehrmacht tedesca. Entrambe i testimoni non hanno alcun interesse in tal senso. Specialmente per quanto riguarda il testimone Dr. Schnell, si tratta di una persona integra; fino al 1977 è stato Comandante Supremo delle Forze Armate alleate in Europa Centrale, come Generale dell'Esercito Federale tedesco, e dal 1977 in poi fino al suo pensionamento egli è stato Sottosegretario alla Difesa. La Camera non nega che alla fine della guerra, nel 1946, in prigionia per alcuni altri Ufficiali della Wehrmacht tedesca - come per esempio l'ex Generale Feldmaresciallo Kesselring e il Colonnello Generale von Vietinghof-Scheel - vi potessero essere motivi per fare apparire le Truppe tedesche che si trovavano sotto il loro autorevole Comando, sotto una luce positiva, visto che essi stessi all'epoca erano stati messi sotto accusa da parte degli Alleati; Kesselring in un primo momento venne addirittura condannato a morte dagli inglesi nel 1947 a Mestre. Alla Camera però appare del tutto fuorviante il voler applicare un tale atteggiamento anche ai testimoni dell'epoca, il Sig. Henrich e il Dr. Schnell.
Se da un lato si è constatato che l'episodio non era noto agli enti militari tedeschi fino alla fine della guerra, e quindi di fatto fosse stata esclusa una punizione, ma, dall'altro lato non si è sicuri del fatto che nel caso si fosse saputo, non vi fosse invece stata una punizione (Corte di Cassazione federale loc.cit. p.140), la Camera, anche sulla base della decisione adottata a tal riguardo dalla Corte d'Appello il 6 novembre 1992 (s.o. p. 9), si è vista costretta a esaminare, se si tratta di un fatto, al quale "la 'volontà del Fiihrer', avente valore di legge, si sia opposta oggettivamente alla punizione dell'azione" (Corte di Cassazione federale loc.cit. p.140). A tale scopo la Camera si è servita di esperti in materia, quali il Prof. Dr. de Zayas dell'Università di Chicago, del Capitano di Fregata Dr. Schreiber dell'Istituto di ricerche storico-militari di Friburgo e del Dr. Klinkhammer dell'Università di Colonia. La deposizione di questi esperti non è riuscita a convincere la Camera del fatto, che se anche il fatto fosse stato noto non sarebbe stato punito.
II cittadino americano, Prof. Dr. de Zayas, convocato dalla Difesa, nella sua qualità di professore di diritto internazionale e di laureato in storia, nonché in qualità di perito, ha espresso un parere sulla questione, se l'azione imputata all'accusato all'epoca sarebbe stata punita dalla giurisdizione della Wehrmacht o meno. Egli è giunto alla conclusione che l'azione dell'imputato comunque sia sarebbe stata punita. Dalle sue ricerche si evince che tutti i casi di saccheggio e di violenza carnale, fino all'omicidio, sarebbero stati puniti in tutti i teatri di guerra. Il perito ha comunque dovuto ammettere di non essere un esperto del teatro di guerra italiano, ed in particolare di non avere compiuto il relativo studio delle fonti. Eccezioni all'obbligo di procedere sarebbero state in vigore a seguito del "Decreto Barbarossa" del 13 maggio 1941, relativo al teatro di guerra russo. Tuttavia già il 24 maggio 1941 sarebbe stato emanato il cosiddetto "Decreto disciplinare", che avrebbe limitato il "Decreto Barbarossa". In base a tale decreto ogni giudice aveva la possibilità di avviare indagini per i casi in cui la disciplina fosse stata messa in pericolo. Come gli altri periti, anche il Prof. Dr. de Zayas ha posto al centro della sua perizia, il cosiddetto "Decreto sulle bande armate" del 16 dicembre 1942, emanato per il teatro di guerra in Unione Sovietica e nei Balcani.
"L'ordine del Fiihrer", classificato dal Capo del Comando Supremo della Wehrmacht, l'ex Generale Feldmaresciallo Keitel, come "Documento segreto", così recita:
"1. Nella lotta contro le bande il nemico impiega combattenti fanatici, addestrati dai comunisti, che non indietreggiano difronte a nessun atto di violenza. Qui più che mai si tratta di esserci o non esserci. Questa lotta non ha più nulla a che vedere con la cavalleria del soldato o con gli accordi della Convenzione di Ginevra. Se questa lotta contro le bande armate - sia in Europa orientale che nei Balcani - non verrà condotta con i più brutali mezzi, allora in un periodo di tempo prevedibile le forze a disposizione non saranno più sufficienti a dominare questa plaga. In tal senso la Truppa è quindi autorizzata e obbligata a impiegare in questa lotta ogni mezzo, senza alcuna limitazione, anche contro donne e bambini, sempre che l'azione porti al successo. Attenzioni di qualsiasi tipo esse siano, costituiscono un crimine contro il popolo tedesco e contro il soldato al fronte, che deve sopportare le conseguenze delle aggressioni delle bande armate e che non può avere riguardi di nessun genere per le bande armate e per i loro fiancheggiatori. Tali principi devono anche essere alla base dell'applicazione delle direttive di combattimento nella lotta contro le bande armate in Europa orientale.
2. Nessun tedesco impiegato nella lotta contro le bande armate, può essere chiamato a dar ragione del suo comportamento nella lotta contro queste stesse e contro i loro fiancheggiatori, né da un punto di vista disciplinare, né tantomeno da un punto di vista del diritto di guerra. I Comandanti delle Truppe impiegate nella lotta contro le bande armate, sono responsabili affinché tutti gli Ufficiali delle Unità a loro subordinate, vengano immediatamente istruiti nella maniera più efficace riguardo a tale ordine, che vengano immediatamente informati i loro consiglieri giuridici e che non vengano confermate sentenze che siano in contrasto con questo ordine.
firmato Keitel."
Il perito Prof. Dr. de Zayas è del parere che tale ordine non fosse valido in Italia il giorno in cui venne compiuta l'azione, il 13 ottobre 1943. Egli intanto adduce motivi di limitazioni territoriali, secondo le quali l'ordine fosse espressamente valido in Europa orientale e nei Balcani, mentre nel 1942 e nel 1943 l'Italia era ancora alleata con il Terzo Reich. Lo stesso contenuto materiale relativo alla "lotta contro le bande armate", dimostrerebbe la non validità dell'ordine. Nel periodo, nel quale si verificò l'azione, nel teatro di guerra italiano non esistevano ancora bande armate, ovvero, non esisteva ancora un movimento partigiano. II 12 settembre del 1942 sarebbe stato pubblicato dal Comando supremo della Wehrmacht un foglio istruzioni relativo al comportamento dei soldati tedeschi nei confronti della popolazione civile, nel quale si pubblicizzava un buon rapporto con la popolazione italiana, n 13 ottobre 1943 si ebbe la dichiarazione di guerra del Governo Badoglio al Terzo Reich. Solo a partire dall'autunno del 1944 fino alla primavera del 1945 si sarebbe notata la comparsa di bande armate organizzate, ovvero di cellule partigiane nel teatro di guerra italiano. Inoltre si dovrebbe osservare anche una limitazione personale: Solo le Unità impiegate nella lotta contro le bande armate, avrebbero potuto richiamarsi a tale ordine. La 3^ Divisione meccanizzata, alla quale apparteneva l'imputato, non era tra queste Unità, bensì in qualità di Truppa combattente, sarebbe stata in primissima linea al fronte.
Il perito Prof.dr. de Zayas giunge quindi alla conclusione, che se già in caso di saccheggio perpetrato nei confronti della popolazione civile italiana fossero state adottate dalla Corte marziale severe misure, a maggior ragione nel caso dell'uccisione di Caiazzo ciò sarebbe avvenuto nel senso del mantenimento della disciplina della Truppa. In linea di massima le cognizioni di causa del perito Prof. Dr. de Zaya sono indubitabili agli occhi di questa Camera. Tuttavia Io stesso perito ha dovuto ammettere di non essere un esperto del teatro di guerra italiano, per cui questa Camera non ha potuto, né voluto basare la propria opinione solo ed esclusivamente sulla sua perizia.
Tuttavia anche le perizie fornite dai periti Dr. Schreiber e Dr. Klinkhammer (entrambe gli esperti sono stati messi a disposizione della Camera in qualità di esperti storici della guerra d'Italia) non sono riuscite a convincere la Camera del fatto che nel presente caso non si sia avuta con certezza la punizione relativa all'uccisione di 15 donne e bambini nella casa colonica ai piedi della collina il 13 ottobre 1943.
L'esperto Dr. Schreiber ha definito l'uccisione dei 22 civili come un caso (storico) unico e chiuso in sé stesso, di lotta ai Partigiani ("lotta alle bande armate"); di conseguenza egli fa rientrare tale caso nel suddetto "Decreto sulle bande armate" e nelle conseguenti "direttive di combattimento per la lotta alle bande armate in Europa orientale" dell'11 novembre 1942. La disposizione appena menzionata tra l'altro così recita:
" 83. Nel trattamento di banditi e di coloro che lì aiutano volontariamente, è d'obbligo procedere con estrema durezza (anche nel testo originale è stata messa in risalto l'espressione). In tale questione deve essere considerato irresponsabile ogni cedimento di carattere sentimentale. La durezza delle misure e il timore delle punizioni, devono di per sé trattenere la popolazione dall'appoggiare o proteggere le bande armate.
84. I banditi catturati - a meno che non siano stati coinvolti nell'azione del combattimento della loro banda armata in via eccezionale (...) - devono essere impiccati o fucilati; i disertori dovranno essere trattati, a seconda delle circostanze, come dei prigionieri al fronte. Di norma i prigionieri devono essere fucilati immediatamente dopo un breve interrogatorio. (...). Ogni Capo di un gruppo è responsabile del fatto che banditi e civili catturati (incluse le donne), sorpresi durante la lotta attiva, vengano fucilati o meglio impiccati. Solamente in motivati casi eccezionali egli ha la facoltà di non attenersi a tale principio, con l'obbligo di comunicarne la particolare ragione.
85. Colui che appoggia la bande armate, offrendo un nascondiglio o il vitto, occultando il luogo di permanenza o attraverso qualsiasi altra misura, è meritevole di morte. Se si tratta di popolazione maschile, in grado di lavorare, di cui è dimostrato che è stata obbligata con la forza ad appoggiare le bande armate, in tal caso è d'obbligo l'impiego di queste persone nel lavoro forzato, per cui è prevista la traduzione in Germania ai fini dell'impiego di mano d'opera. (...).
86. Nei confronti di paesini, nei quali le bande armate avranno trovato un appoggio di qualsiasi genere, di norma dovranno essere adottate misure collettive. A seconda della gravita della colpa, tali misure collettive possono addirittura consistere nel dover consegnare o nel togliere una parte o l'intera quantità di bestiame, nella traduzione in Germania di uomini in grado di lavorare, ai fini dell'impiego di mano d'opera o addirittura nella distruzione dell'intero paesino. L'ordine di adottare misure collettive può essere dato solamente da Ufficiali col rango di Capitano. In genere tali misure di punizione sono giustificate se gli abitanti hanno appoggiato volontariamente le bande armate. Tuttavia la popolazione civile attraverso le nostre misure non deve essere messa in una situazione senza via d'uscita, per la quale essa si veda minacciata da entrambe le parti da una spietata distruzione. In tal modo verrebbero solamente ingrossate le file delle bande armate con l'afflusso della popolazione. In ogni caso la popolazione deve sapere perché tali misure collettive vengono adottate. Una tale spiegazione è di fondamentale importanza."
Come prova della validità particolare del "Decreto sulle bande armate", che stabiliva la non perseguibilità di reato, l'esperto Dr. Schreiber, ha citato una disposizione del Comando supremo della 14A Armata - nuovamente ricostituita in Italia nell'autunno del 1943 -, nella quale si afferma che "per un chiarimento dei dubbi che sempre nuovamente vengono formulati in relazione al trattamento di sabotatori catturati...", i relativi ordini impartiti precedentemente, devono essere resi noti alla Truppa. Secondo il parere del perito Dr. Schreiber, tale affermazione non lascia alcuno spazio a dubbi sul carattere vincolante della citata disposizione relativa alla lotta alle bande armate nel teatro di guerra italiano. Nel frattempo il Dr. Schreiber, esaminando gli atti ancora esistenti, non è riuscito a dare un prova della validità dei decreti in Italia. La Camera ha dei dubbi nell'attenersi ad una tale argomentazione, che si basa unicamente su una interpretazione letterale e che riguarda un altro Reparto. Da una parte tale formulazione può benissimo significare che prima vi fosse una situazione di comando non chiara e che quindi "l'ordine del Fiihrer" e le "direttive di combattimento" per l'appunto non avessero una chiara validità. D'altro canto l'esperto Dr. Schreiber, si serve precisamente di quel metodo (di interpretazione), che egli stesso ha criticato nei confronti dell'esperto Prof. Dr. de Zayas, e cioè di dedurre dal testo la validità della diposizione, relativa allo spazio, alla persona ed all'oggetto. L'esperto Dr. Klinkhammer, considerando a posteriori la data del 13 ottobre 1943, ha in effetti espresso determinati dubbi, riguardo alla formula adottata nell'ordine, ossia "per un chiarimento", dalla quale si potrebbe facilmente dedurre che nella 14A Armata precedentemente regnasse una situazione di comando non chiara.
In ultima analisi la Camera è dell'opinione che, ai fini di una valutazione della sospensione dei termini di prescrizione, non è decisivo il definitivo chiarimento della questione relativa alla validità della direttiva sulla lotta alle bande armate e sul combattimento per il teatro di guerra italiano. A determinare la convinzione della Camera è il fatto che dalla semplice astrattezza della situazione di comando non si può dedurre in via assoluta la certezza della non perseguibilità o non punizione, prevista dalla più volte menzionata sentenza della Corte di Cassazione. A tal proposito è necessario ricordare le dichiarazioni dei testimoni dell'epoca Henrich e Dr. Scimeli, i quali - benché svolgessero funzioni relativamente minori -sulla base della loro esperienza concreta, hanno fatto dichiarazioni che contrastano con la suddetta "certezza".
Per la Camera non è decisivo il fatto che il perito Dr. Schreiber, con il conteggio di numerosi massacri non perseguiti, perpetrati a partire dal 1944 nei confronti della popolazione civile italiana, abbia tentato di dare una valutazione a posteriori del momento in cui avvenne l'azione, il 13 ottobre 1943. Storicamente ciò potrà anche costituire un'impostazione metodica giusta, che però da un punto di vista giuridico non riesce a convincere la Camera del fatto che il reato all'epoca (ottobre 1943) non sarebbe stata punito nell'ubbidienza della legge (Corte di Cassazione loc.cit.).
In conclusione l'esperto Dr. Schreiber - nonostante le deduzioni storiche da lui addotte - non è riuscito ad escludere la possibilità che se l'azione dell'imputato fosse stata denunciata, non sarebbe stata avviata un'istruttoria.
Nell'ambito della sua analisi storica il perito Dr. Klinkhammer ha affermato che eccessi individuali "dovuti a motivi personali", sarebbero sicuramente stati puniti, al fine di mantenere la disciplina nella Truppa. Se l'imputato, nell'ambito di una procedura di diritto di guerra avesse affermato che l'uccisione delle 15 donne e bambini fosse risultata necessaria nel corso di una operazione militare di lotta ai Partigiani, ossia alle bande armate, molto probabilmente egli sarebbe stato in grado di "salvare la sua testa"; egli avrebbe solamente dovuto fare uso di questo modello di giustificazione, per riuscire a mettere sotto una luce più clemente la sua azione nell'ambito di una procedura penale.
La Camera è dell'opinione che avrebbe potuto essere tutt'altra cosa se i testimoni May, Lella, Sikorski e Ligmanowski avessero fatto le loro qui presenti deposizioni. Resta a livello di speculazione la questione relativa al fatto se essi avrebbero fatto anche davanti a un Tribunale di guerra tedesco, le stesse deposizioni, come quelle fatte davanti agli americani. La Camera a tal riguardo non è in grado di avere una "certezza" nell'una o nell'altra direzione.
In sintesi il perito Dr. Klinkhammer giunge alla conclusione, che è "estremamente improbabile che a seguito di una relativa informazione, sarebbe stato avviato un procedimento e che quindi vi sarebbe stata una condanna dell'accusato", benché anche il perito non sia stato in grado di escludere, che se l'azione fosse stata denunciata essa non sarebbe invece stata punita.
il perito Dr. Klinkhammer, ed in particolar modo il perito Dr. Schreiber, sono giunti al loro risultato anche in base a un'analisi delle sentenze del Tribunale di guerra della 10^ Armata nel teatro di guerra italiano, nel periodo in questione.
Nell' ufficio centrale delle documentazioni dell'Archivio federale di Coblenza ad Aquisgrana-Komelimi!, si trovano più di mille sentenze del Tribunale di guerra, emesse in Italia dall'inizio di settembre del 1943 fino al maggio del 1945. Dopo accurate ricerche e valutazioni, l'esperto Dr. Schreiber ha sostenuto che tra queste sentenze non ne figura un'unica, dalla quale emerga che un appartenente alla Wehrmacht sia stato oggetto di una sanzione disciplinare o punito di diritto a causa di una prepotenza, ed in particolar modo a causa di un omicidio perpetrato nei confronti della popolazione civile italiana.
A tale riguardo è necessario osservare che il materiale d'archivio, per quanto concerne le sentenze del Tribunale di guerra, presenta delle lacune. Solamente per 32 delle 45 Divisioni tedesche impiegate in Italia nell'arco di tempo che va da settembre 1943 fino a maggio 1945, sono documentate sentenze del Tribunale di guerra, suddivise per singole Divisioni. A tal proposito il perito Dr. Schreiber ritiene importanti, in quanto documenti di ripiego, i rapporti compilati dai relativi giudici militari, nel periodo dì tempo che va dal settembre 1943 al maggio 1944. Anche in questo caso tuttavia è necessario sottolineare che non esiste una registrazione completa di questi rapporti dei giudici militari. Secondo lo studio effettuato dal perito Dr. Schreiber, le sentenze vennero emanate per diserzione, viltà, omicidio, maltrattamento di subalterni, violenza carnale, spionaggio, ecc. Nei documenti citati manca un riferimento diretto relativo a un'inchiesta della Corte marziale, riconducibile al comportamento di soldati nella lotta contro i Partigiani. Dalla deduzione storica - sicuramente ineccepibile da un punto di vista metodico - del perito Dr. Schreiber, alla quale si è aggiunto anche il perito Dr. Klinkhammer, ne deriva che, nel caso di denuncia del crimine perpetrato dall'accusato, probabilmente non avrebbe fatto seguito una punizione.
Pertanto alla Camera sono restate oscure le circostanze che nel marzo del 1944 fecero sì che un Tenente venisse condannato a nove mesi di reclusione per negligenza e insubordinazione, e che nel periodo che va dal 1 maggio al 31 luglio 1944 un Ufficiale venisse condannato a un anno dì reclusione per insubordinazione colposa. In entrambi i procedimenti del Tribunale di guerra non è stata ricostruita precisamente la fattispecie, sulla quale è stata pronunciata la sentenza. In questo caso potrebbe essersi effettivamente trattato - cosa che non può essere esclusa e che andrebbe a favore dell'accusato - di un eccesso di un appartenente alla Wehrmacht nei confronti della popolazione civile italiana, paragonabile all'accusa odierna. I procedimenti non sono documentati in maniera così esauriente, che la Camera avrebbe potuto basare su di essi la propria convinzione, secondo la quale l'azione dell'accusato sarebbe sicuramente stata punita, senza lasciare inosservato il principio "in dubio prò reo". Solo a scopo di completezza può essere evidenziato il fatto che i periti Dr. Klinkhammer e Dr. Schreiber hanno anche analizzato la questione, se il comportamento dell'imputato eventualmente possa armonizzare con la situazione di comando che prevedeva "l'evacuazione di zone di combattimento occupate". La prassi in uso all'epoca prevedeva che intanto venisse dato l'ordine di evacuazione da una zona di comando.
I Comandanti locali avevano poi il compito di stabilire un termine, entro il quale la popolazione civile doveva essersi allontanata dalle rispettive zone. L'ordine di evacuazione della zona di combattimento nei pressi di Caiazzo, venne dato il 12 ottobre 1943. Secondo quanto esposto dal perito Dr. Schreiber -esposizione peraltro completamente condivisa da questa Camera - a prescindere dal fatto che le autorità locali avessero stabilito dei termini di evacuazione adeguati, non si può comunque supporre che il 13 ottobre 1943 la zona attorno a Caiazzo fosse già stata completamente evacuata. Inoltre non è certo che quel giorno l'ordine fosse già pervenuto alle Unità. In base alla situazione di comando dell'epoca, l'imputato in questo caso avrebbe avuto il diritto di uccidere civili che malgrado il divieto si intrattenevano nella zona di combattimento vietata.
I testimoni Henrich e Dr. Schnell non sono stati in grado di fornire informazioni riguardo alla questione dell'evacuazione della zona di combattimento attorno a Caiazzo.
Benché questa Camera condivìda l'opinione dell'esperto Dr. Schreiber, secondo il quale il 13 ottobre del 1943 l'operazione di evacuazione della zona di combattimento attorno a Caiazzo non sarebbe ancora stata compiuta - anche nel caso che i termini per una evacuazione completa fossero già scaduti - l'omicidio compiuto dall'imputato - facendo riferimento alla situazione di comando - non potrebbe essere classificata come uccisione avvenuta per motivi abietti, come stabilito dal paragrafo 221 del c.p., in quanto l'imputato pensava di agire conforme alla situazione di comando; in questo modo verrebbe messo in dubbio - almeno da un punto di vista soggettivo - l'ipotesi relativa a motivi abietti. In questo caso sarebbe stato necessario partire dall'ipotesi dell'omicidio caduto in prescrizione.
In sintesi la Corte è giunta alla conclusione che per quanto concerne l'azione dell'imputato, trattasi di un eccesso - qualificabile di omicidio ed assolutamente non giustificabile da nessuna necessità di carattere militare - compiuto da un giovane Sottotenente. D'altra parte la convinzione di questa Camera deriva anche dall'insieme del dibattimento, per cui non si è trattato di un crimine, la cui perseguita Ìli tà fosse di per sé in contrasto con l'ideologia nazionalsocialista, come p.e. nel caso di uccisioni per motivi razzistici. E' alquanto pensabile che il crimine in tempo di guerra non sarebbe stato né perseguito, né tanto meno espiato; benché sulla base delle cognizioni oggi acquisite, non sia possibile asserirlo con certezza.
A seguito della relativa sentenza della Corte di Cassazione federale del 29 ottobre 1969 - sentenza, alla quale questa Camera si attiene pienamente da un punto di vista del contenuto - la sola possibilità o probabilità che l'azione, in caso di denuncia presso gli organi giudiziari competenti, non sarebbe stata punita, non è sufficiente. Non è altresì sufficiente che persone, che all'epoca erano a conoscenza dei fatti, per questo motivo non abbiano sporto una denuncia, eventualità che in questo caso non viene presa in considerazione). Con molta più sicurezza deve poter essere affermato che l'azione non sarebbe stata punita. In casi limite, nei quali fin da principio non sussiste una tale certezza, fa quindi una grande differenza sapere se nel periodo del Nazionalsocialismo sia stato avviato un procedimento penale o se all'epoca l'autorità giudiziaria non fosse a conoscenza del fatto.
In base a quanto esposto dalla Corte di Cassazione, nel primo caso la sospensione della prescrizione sarebbe diventata effettiva solamente quando l'autorità giudiziaria rinunciava ad attuare un procedimento con relative motivazioni o se per questi motivi avesse sospeso il procedimento, adducendo -eventualmente anche in una errata o eccessiva interpretazione di una direttiva - in contrasto con il diritto, considerazioni di coloro che detenevano il potere durante il Nazionalsocialismo.
Invece in casi come questo, nel quale l'autorità giudiziaria è venuta a conoscenza dei fatti solamente dopo la fine della dittatura nazionalsocialista, viene automaticamente a mancare l'applicazione della norma sulla sospensione della prescrizione, poiché resta aperta la questione, se una denuncia invece non avrebbe potuto portare a un procedimento penale e quindi a una condanna.
Di conseguenza questa Camera - senza voler assolutamente sminuire il valore dell'approccio fornito dagli esperti storici Dr. Schreiber e Dr. Klinkhammer, corretto dal punto di vista storico e metodico - per motivi giuridici non è riuscita a convincersi totalmente del fatto che l'omicidio compiuto non sarebbe certamente stato punito.
Per cui, a seguito dell'improbabile sospensione della prescrizione al momento in cui entrava in vigore la 16A legge di emendamento al diritto penale, con la quale veniva abolita la prescrizione in caso di omicidio, per quanto concerne l'azione dell'accusato, il procedimento era già caduto in prescrizione.
Di conseguenza l'interruzione del procedimento doveva essere pronunciata tramite una sentenza. Non si è giunti a una assoluzione dell'imputato, poiché questa Camera, sulla base delle considerazioni fatte, è convinta della colpevolezza dell'imputato nell'uccisione, in nessun modo giustificabile, di 15 donne e bambini.
VII
La decisione relativa alle spese si basa sul paragrafo 467, comma 1 del C.p.p.. Non esiste alcun motivo, per il quale questa Camera non dovrebbe dichiarare a carico della Tesoreria di Stato gli esborsi per l'imputato. Non esistono motivi eccezionali, ai sensi del paragrafo 467, comma 3, nr. 1 e 2 del C.p.p.. In realtà l'imputato non è stato condannato solamente, perché sussiste l'incidente procedurale della prescrizione. In questo caso si può fare a meno di addossare gli esborsi per l'imputato alla Tesoreria di Stato. Questo caso eccezionale dovrebbe però essere preso in considerazione solamente, se l'incidente procedurale fosse stato addotto dall'imputato stesso, p.e. invocando la sua incapacità a fare sentire le proprie ragioni, n presente incidente procedurale della prescrizione non è stato addotto dall'imputato in questi termini. Inoltre non c'è alcun obbligo per l'imputato che abbia commesso un reato, di presentarsi davanti agli organi giudiziari, prima che l'azione cada in prescrizione. In tal senso sarà necessario attenersi alla regolamentazione legislativa generale, di cui al paragrafo 467, comma 1 del C.p.p., in base alla quale, nel caso di assoluzione dell'accusato o di una interruzione, non riconducibile a una archiviazione non discrezionale, le spese del procedimento e gli esborsi per l'imputato sono da attribuire alla Tesoreria di Stato.
Ai sensi dei paragrafi 1 e 2, comma 1 del legge introduttiva al C.p., l'imputato dovrà essere risarcito per la custodia cautelare subita. Non esistono motivi di esclusione ai sensi del paragrafo 5 della legge introduttiva al C.p., ossia non esistono motivi di rifiuto ai sensi del paragrafo 6 della legge introduttiva al C.p.. In particolar modo non può essere ipotizzato il motivo di rifiuto ai sensi dei paragrafo 6, comma 1, nr. 2 della legge introduttiva ai C.p., in base al quale un risarcimento può anche essere rifiutato per intero o parzialmente, poiché dovuto solamente a un impedimento al procedimento, non si giunge a una condanna dell'azione penale. L'affermazione qui fatta è valida nell'ambito della decisione relativa alle spese.
Dietrich Dr. Hetger Hennrichs