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Atti dei processi contro i criminali di guerra
Commissione ONU per i Crimini di Guerra
Vol. VIII, Londra, Libreria dello Stato, 1949
TRIBUNALE MILITARE BRITANNICO A VENEZIA ITALIA
17 Febbraio - 6 Maggio 1947
A. Descrizione del procedimento
I capi di imputazione
L'imputato è stato accusato di "coinvolgimento nell'uccisione, per rappresaglia, di circa 335 cittadini italiani" presso le Fosse Ardeatine (primo capo di imputazione), e di "aver incitato e ordinato ... alle forze ... sotto il suo comando di uccidere civili italiani per rappresaglia, cosa per cui numerosi civili italiani sono stati uccisi " (secondo capo di imputazione).
Le prove
(i) Prove relative al primo capo di imputazione
La maggior parte delle prove sono state concordate tra l'Avvocato della Difesa e il Pubblico Ministero.
Le prove della bomba esplosa in Via Rasella il 23 marzo 1944 e del massacro presso le Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944 sono state fondamentalmente le stesse fornite al riguardo nell'ambito del Processo Mackensen (pp.1-8 di questo volume). L'imputato era rientrato al suo Comando dal fronte la sera del 23 e gli avvenimenti di Via Rasella gli erano stati riferiti immediatamente. Poi c'erano state due conversazioni telefoniche. Un Ufficiale di Stato Maggiore del Comando di Hitler aveva parlato con il Capo di Stato Maggiore di Kesselring e l'aveva informato che il Führer aveva ordinato che, in rappresaglia per l'esplosione della bomba, dovevano essere uccisi 10 ostaggi italiani per ogni poliziotto tedesco morto a causa di quell'attacco.
Con riferimento alla seconda conversazione telefonica, intercorsa tra il Capo dell'SD (Servizio di Sicurezza) a Roma e l'imputato, le prove dell'Accusa e quelle della Difesa discordano. Il Capo dell'SD ha testimoniato di aver informato l'imputato di avere a disposizione un numero di persone "meritevoli di morte" sufficiente ad eseguire la rappresaglia. Ciò significava, ha spiegato egli, persone condannate a morte o accusate di reati per i quali poteva essere comminata la pena di morte. L'imputato ha confermato di essere stato informato dal Capo dell'SD, nel corso della conversazione telefonica, che egli aveva a disposizione persone in effetti condannate a morte nelle prigioni di Roma. L'imputato allora aveva impartito i seguenti ordini al Generale Mackensen, Comandante della 14^ Armata, che era una delle Armate sotto il comando dell'imputato:
"Uccidere 10 italiani per ogni tedesco. Eseguire immediatamente."
In seguito, nel corso della notte, era arrivato al Comando di Kesselring un secondo ordine del Comando del Führer. Esso ribadiva il primo ordine e aggiungeva che "l'esecuzione doveva essere affidata all'SD." L'ordine fu trasmesso alla 14^ Armata dal Capo di Stato Maggiore dell'imputato, il quale ne informò anche l'imputato.
La fattispecie per l'Accusa, sulla base di queste prove, era che l'imputato aveva ordinato le rappresaglie in un rapporto di dieci a uno, eccessivo, e che, (p.10) dal momento che era stato lui a trasmettere gli ordini alle formazioni dell'Armata alle sue dipendenze, era lui il responsabile delle modalità con cui tali ordini erano stati eseguiti. La fattispecie per la Difesa era che, ricevuta la notizia dell'attacco esplosivo, l'imputato aveva accertato che c'era un numero di persone già condannate a morte sufficiente ad eseguire la rappresaglia senza uccidere degli innocenti.
I due principali argomenti della Difesa erano: (1) che, nel trasmettere alla 14^ Armata l'ordine ricevuto dal Führer, l'imputato aveva deliberatamente [o]messo la parola "uccidere ostaggi condannati a morte", in modo da evitare qualunque persona non condannata a morte. Egli quindi aveva eseguito gli ordini che gli erano stati impartiti nel modo più umano a lui possibile. (2) Che il secondo ordine incaricava dell'esecuzione l'SD, e quindi sollevava l'imputato da ogni responsabilità nei confronti dell'esecuzione dell'ordine, e che per questo l'imputato, dopo aver trasmesso il secondo ordine, non indagò mai in quale modo esso fosse stato eseguito.
Il Pubblico Ministero ha affermato: "La vera difesa del Feldmaresciallo è: 'Non ho mai eseguito alcun ordine; tutto quello che ho fatto è stato trasmettere, lungo la catena di comunicazione, un messaggio all'SD'".
( I ) Prove relative al secondo capo di imputazione
Il 1 maggio 1944 il Feldmaresciallo Keitel, Comandante in Capo di tutte le forze tedesche, aveva emanato un ordine che assegnava all'imputato, in quanto Comandante in Capo di tutte le forze tedesche in Italia, il comando generale e la direzione della guerra contro i partigiani italiani, che erano diventati una seria minaccia per la sicurezza delle forze tedesche in quel teatro. Per questo particolare scopo tutte le SS e le forze di polizia in Italia, così come i servizi combattenti, erano state messe sotto il suo comando. Il 17 giugno 1944 l'imputato aveva diramato alle sue truppe un ordine riguardante le "nuove regole contro la guerra partigiana", che conteneva il seguente passaggio: "La lotta contro i partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò qualunque Comandante che, nella scelta e nella severità dei mezzi adottati nella lotta contro i partigiani, ecceda rispetto a quella che è la nostra abituale moderazione. Vale al riguardo il vecchio principio per cui un errore nella scelta dei mezzi per raggiungere un obiettivo è sempre meglio dell'inazione o della negligenza ... i partigiani devono essere attaccati e distrutti."
Il 28 giugno 1944 l'imputato aveva lanciato via telegrafo un appello alla popolazione italiana in cui condannava il metodo di lotta adottato dagli alleati in Italia. Egli accusava i Comandanti alleati di aver emanato una serie di proclami nei quali si incitava la popolazione italiana ad assalire le postazioni militari tedesche, ad attaccare le sentinelle pugnalandole alle spalle e ad uccidere quanti più tedeschi potevano. Egli continuava: "Fino ad ora ho dimostrato che per me il rispetto dei principi umani è questione di normale logica ... Tuttavia, come Comandante responsabile, non posso più esitare a prevenire, con i mezzi più repressivi, questo deprecabile e medievale metodo di lotta. Avverto che da ora in poi utilizzerò questi mezzi. I seguaci degli alleati e gli elementi sovversivi sono ammoniti a non persistere nel comportamento dimostrato finora."
Il 1 luglio 1944 l'imputato aveva diramato un secondo ordine alle sue truppe, in cui sottolineava che l'annuncio diramato via etere non era una vuota minaccia. L'ordine diceva che "laddove c'erano numeri considerevoli di gruppi partigiani, una parte della popolazione maschile di quell'area doveva essere arrestata. Nel caso in cui fossero stati commessi di atti di violenza, questi uomini sarebbero stati uccisi.
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La popolazione doveva essere informata di ciò. Nel caso in cui le truppe, ecc. fossero state fatte oggetto di attacchi di fuoco da un villaggio, quel villaggio sarebbe stato bruciato. Gli esecutori dell'azione o i leader che guidavano il gioco sarebbero stati impiccati pubblicamente." L'ordine finisce con la frase: "Tutte le contromisure devono essere dure ma giuste. Lo richiede la dignità del soldato tedesco."
Nei mesi di luglio e agosto erano state compiute dalle forze tedesche in Italia molte azioni punitive, sia contro i partigiani che contro la popolazione civile, e nel corso di esse oltre mille italiani, tra i quali donne e bambini, erano stati uccisi. L'Accusa presentava prove in affidavit di oltre venti casi di uccisioni indiscriminate di italiani da parte delle truppe tedesche durante il periodo in questione. Il 21 agosto 1944 l'imputato ammetteva questi fatti in un ordine alle sue truppe in cui sottolineava che "si erano verificati nelle ultime settimane casi che arrecavano il più grave danno alla dignità e alla disciplina delle forze armate tedesche, e che non avevano nulla a che fare con le misure punitive."
Il 24 settembre 1944 l'imputato, in un altro ordine alle sue truppe, aveva dichiarato: "Il Duce mi ha riferito di casi recenti che risultano rivoltanti per il modo in cui sono stati condotti e che stanno inducendo anche gli elementi pacifici della popolazione a passare dalla parte del nemico o dei partigiani."
Sulla base di questi fatti, la Pubblica Accusa ha dichiarato: "Gli ordini del 17 giugno e del 1 luglio erano contrari alle leggi e alle usanze di guerra. L'ordine del 17 giugno era un incitamento alle truppe sotto il comando dell'imputato a commettere eccessi, e l'Accusa ovviamente si basa sull'espressione 'proteggerò qualunque Comandante', ecc. Dico solamente che ciò costituisce incitamento; ma nell'ordine del 1 luglio l'imputato va oltre e ordina alle sue truppe di effettuare rappresaglie, e soltanto il 24 settembre egli dice 'ciò deve cessare'. E' questo il gravamen di questa accusa."
La Pubblica Accusa ha continuato a sostenere che questi ordini da un lato e le atrocità che si dice siano state commesse dalle truppe tedesche in Italia dall'altro erano gli uni causa e le altre effetto, e che l'imputato deve pertanto essere ritenuto responsabile delle azioni delle truppe sotto il suo comando.
La tesi della Difesa era che gli ordini del 17 giugno e del 1 luglio non erano illegali e che essi, in effetti, dicevano ai soldati tedeschi: "Voi dovete essere duri, dovete effettuare molte azioni dure, ma nei limiti consentiti dalla legge". La Difesa ha sostenuto che nel primo ordine l'assicurazione, nei confronti degli Ufficiali, che essi sarebbero stati protetti se avessero attaccato i partigiani era necessaria, perché in passato alcuni Comandanti erano stati chiamati a rispondere di azioni contro i partigiani in quanto politicamente indesiderabili. Il ribadire il "vecchio principio" che per un secolo era stato presente nei pamphlet addestrativi dell'Esercito tedesco, in queste circostanze era appropriato.
Per quanto riguarda il secondo ordine, la Difesa ha mantenuto la tesi secondo cui esso descriveva la presa di ostaggi e l'imposizione di rappresaglie, entrambe legittime perché tutto quanto era espresso nell'ordine era condizionato all'ultima frase, che diceva che tutte le misure prese "dovevano essere dure, ma giuste." Per quanto concerne i casi di uccisioni illegittime da parte delle truppe tedesche, la Difesa ha negato alcune di queste istanze in toto, attaccando la credibilità delle prove portate dall'Accusa, che nel caso specifico erano prevalentemente prove in affidavit, e accettandone altre sostenendo che si trattava di eventi accaduti non a seguito
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degli ordini dell'imputato, ma a seguito di azioni indipendenti compiute dalle truppe o dai Comandanti locali.
La questione su cui la Corte era chiamata a decidere era, pertanto, nella formulazione del Pubblico Ministero, se gli ordini dell'imputato fossero stati "un preciso incitamento ad uccidere italiani o se non fossero stati invece semplicemente ordini mal formulati, che erano stati redatti senza troppa cura," e se tutti o alcuni dei casi di uccisione indiscriminata di italiani da parte delle truppe tedesche fossero diretta conseguenza di questi ordini.
CONCLUSIONI E SENTENZE
L'imputato era stato giudicato colpevole di entrambe le imputazioni ed era stato condannato a morte mediante fucilazione. La pena di morte era stata poi commutata dagli Ufficiali di Conferma [confirming officers] in una condanna all'ergastolo.
B. Annotazioni sul caso
1. Legittimità dell'uccisione di persone innocenti per rappresaglia
Nel presentare la tesi dell'Accusa riguardo al primo capo di imputazione, l'Accusa ha ammesso che l'imposizione di rappresaglie da parte delle Autorità tedesche era giustificata, dopo la bomba di Via Rasella. Dopo aver citato alcune fonti autorevoli in materia (pienamente esposte alle pp.3-7 di questo volume) Essa aveva sottolineato che se c'era autorità di distruggere la proprietà e di incarcerare cittadini del territorio occupato per rappresaglia, non c'era però autorità di togliere la vita. La Difesa ha obiettato che in circostanze estreme il togliere la vita nel corso di rappresaglie era legittimo. Un commento al Diritto Militare Tedesco, pubblicato nel corso della II Guerra Mondiale, era stato citato dall'Avvocato della Difesa in questo contesto. L'autore affermava: "Gli ostaggi sono tenuti in una specie di custodia a fini di sicurezza. Essi garantiscono con la loro vita della giusta condotta dell'oppositore. Secondo le usanze di guerra, si deve annunciare sia che si prendono degli ostaggi sia la ragione per cui essi sono presi. Soprattutto, la presa di ostaggi deve essere portata a conoscenza di coloro della cui legittima condotta gli ostaggi sono garanzia. Se si verifica l'evento per garantirsi contro il quale gli ostaggi sono stati presi, se per esempio la parte avversaria persiste nella sua condotta contro legge, gli ostaggi possono essere uccisi" (Waltzog, Recht der Landkriegführung (Leggi della guerra terrestre) 1941, p.83). L'Avvocato della Difesa ha sostenuto che "la prima misura di una rappresaglia è la presa di ostaggi. Egli ha sostenuto che "qualunque Comandante militare nel corso di una rappresaglia è autorizzato ad arrestare civili per il caso in cui i partigiani dovessero attaccare le sue truppe o le sue strutture militari. Se in una fase successiva fossero stati commessi atti di ostilità violenta contro le truppe della potenza occupante, i prigionieri appartenenti al gruppo detenuto in ostaggio avrebbero potuto essere uccisi in corso di rappresaglia". A supporto di questa tesi, l'Avvocato della Difesa ha citato la sezione 358(d) del testo americano sulle Rules of Land Warfare (Norme relative alla guerra terrestre) (FM 27/10, Rules of Land Warfare, 1940)".
Gli ostaggi, presi e tenuti allo scopo dichiarato di garantirsi contro atti contro legge delle forze nemiche o di gente nemica, possono essere puniti o mandati a morte se, ciononostante, tali atti contro legge vengono compiuti".
Il Pubblico Ministero nella sua requisitoria ha detto: "Sono arrivato alla conclusione che sembra esserci da parte dei giuristi un deliberato tentativo di non venire allo scoperto e di non rispondere al quesito per il quale la Corte chiede sia data risposta, vale a dire "se sia possibile, in talune circostanze, sparare ad una persona innocente per rappresaglia". ... Il Diritto Internazionale rimane generalmente ad un livello alto. Riguarda ciò che una parte belligerante può fare contro un'altra parte belligerante; ma quel che il Feldmaresciallo Kesselring doveva gestire non era rappresentato da Paesi organizzati con i loro Governi, ma da persone irresponsabili in generale, con cui non era possibile negoziare; persone rispetto alle quali egli non poteva dire a leader responsabili 'Voi dovete controllare i vostri seguaci'. Perciò suggerisco che se mai ci sono state circostanze in cui si sarebbe dovuto far ricorso alla rappresaglia nel caso in cui non si fosse riusciti, pur applicandosi in modo adeguato, a scoprire il vero colpevole, quelle circostanze rappresentano il tipo di caso in cui la rappresaglia deve essere considerata appropriata. ... Sono giunto alla conclusione che non c'è nulla che renda assolutamente chiaro che non c'è circostanza -soprattutto nelle circostanze su cui credo si concordi in questo caso-, in cui una persona innocente, presa espressamente allo scopo di rappresaglia, non possa essere condannata a morte. Io credo che se vi è un qualche dubbio nella legge, il beneficio di quel dubbio debba essere concesso al Feldmaresciallo, e perciò non sono disposto a porre il caso nei termini per cui, se voi accettate la tesi che il Feldmaresciallo ha deliberatamente sparato ad innocenti per rappresaglia, questa azione debba considerarsi di per sé un crimine di guerra per il quale egli debba essere incriminato".
Le questioni di fronte alla Corte per il primo capo di imputazione erano queste:
Le forze armate tedesche, rappresentate dall'imputato, o il Servizio di Sicurezza, rappresentato dal Capo dell'SD di Roma, sono responsabili delle uccisioni?
L'uccisione di 335 italiani è stata una legittima rappresaglia o è stata invece un crimine di guerra?
Per quanto riguarda la prima domanda, il Pubblico Ministero ha suggerito alla Corte nella sua requisitoria che "se riteneva che, sulla base delle prove in generale, le uccisioni fossero state chiara responsabilità del Servizio di Sicurezza e che tutta la responsabilità fosse stata trasferita dalla Wehrmacht, allora, secondo la sua opinione, essa era tenuta a prosciogliere l'imputato". E la Corte appare aver ritenuto l'imputato responsabile di queste uccisioni. Con riferimento al secondo quesito, la Corte ha ritenuto in effetti le esecuzioni un crimine di guerra, ma ciò non risolve in realtà il quesito se sia lecito o meno togliere la vita per rappresaglia; perché le conclusioni della Corte potrebbero essere supportate sia sostenendo che il rapporto di 10 a 1 era eccessivo che adducendo il fatto che sono state uccise 335 persone invece che 330, come era stato ordinato. Il Pubblico Ministero, nella sua requisitoria, ha affermato: "Comunque la pensiate sul Diritto Internazionale e sulle rappresaglie, chiaramente cinque di questi 335 italiani sono stati assassinati. E' stato un crimine di guerra, e da qui non si sfugge. Non c'erano ordini del Führer a coprirlo, ed era al di fuori di qualunque rappresaglia."
La questione di fronte alla Corte, riguardo al secondo capo di imputazione, non era semplicemente se le misure ordinate dall'imputato fossero o meno legittima rappresaglia, ma, come ha sottolineato il Pubblico Ministero nella sua requisitoria: "L'accusa è molto più seria e grave ed è che il Feldmaresciallo deliberatamente, e consapevolmente, quando ha prodotto quegli importanti ordini, li aveva prodotti in forma tale che sapeva quali sarebbero stati i loro risultati e che, nel redigere questi ordini, egli intendeva
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produrre questi risultati. Questo è ciò che la Pubblica Accusa deve provare, con riferimento a questo capo di imputazione".
Così, il verdetto della Corte su entrambe i capi di imputazione lascia aperta la questione della legittimità o meno dell'uccisione di persone innocenti per rappresaglia.
2. Ostaggi e rappresaglie
Le uccisioni di cittadini italiani di cui l'imputato era stato accusato erano, in entrambe le imputazioni, descritte come rappresaglie. Le uccisioni alle Fosse Ardeatine, oggetto del primo capo di imputazione, furono senza dubbio rappresaglia, e come tale furono rappresentate dalle Autorità tedesche. L'ordine del 1 luglio, che costituisce l'oggetto principale del secondo capo di accusa, ordina sia la presa di ostaggi (... "una proporzione di popolazione maschile dell'area sarà arrestata e, nel caso in cui siano commesse delle violenze, questi uomini saranno uccisi") che l'inflizione di rappresaglie (... "nel caso in cui le truppe, ecc. fossero fatte oggetto di fuoco da qualunque villaggio, il villaggio sarebbe bruciato"). La Pubblica Accusa ha descritto entrambe le parti dell'ordine come rappresaglia; il Consiglio di Difesa ha considerato la presa di ostaggi come il primo passo verso l'inflizione di una rappresaglia. Il Pubblico Ministero non ha fatto riferimento a tale distinzione nella sua requisitoria finale. Questa distinzione è stata fatta invece nella sentenza della Corte Governativa Militare americana negli Stati Uniti contro List e altri: (v. p.61 di questo volume) "Ai fini di questo parere il termine 'ostaggi' sarà considerato indicare quelle persone, tra la popolazione civile, che sono prese in custodia affinché garantiscano, con la loro vita, della futura buona condotta del gruppo di popolazione da cui esse sono prese. Il termine 'prigionieri per rappresaglia' sarà considerato indicare quegli individui che sono presi dalla popolazione civile per essere uccisi in rappresaglia per i reati commessi da ignoti all'interno dell'area occupata; ... casi in cui innocenti cittadini sono catturati e puniti per una violazione delle leggi di guerra che è già avvenuta; qui non è questione di ostaggi. E' soltanto l'inflizione di una rappresaglia. ... In tutte le prove di questo caso troviamo il termine 'ostaggi' applicato laddove si è trattato invece solo di 'rappresaglia'".
Il Professor Lauterpacht (Oppenheim-Lauterpacht, International Law (Diritto Internazionale), Vol.II, p.460) sottolinea che la presa di ostaggi "non deve essere confusa con l'uso, ancora praticato, di catturare singoli nemici al fine di renderli oggetto di rappresaglia".
Si è soliti parlare di "ostaggi" nei territori occupati quando le forze occupanti imprigionano membri della comunità del territorio occupato annunciando al contempo che essi saranno trattati come ostaggi se la comunità non si asterrà da determinate attività contro le forze occupanti. Il termine "rappresaglia" è utilizzato in connessione con ciò per le misure adottate dalle forze occupanti per ritorsione contro la condotta illegittima di membri non identificati della comunità del territorio occupato. Gli ostaggi, dunque, sono presi prima che l'atto illegittimo di guerra sia compiuto dai nemici, mentre le rappresaglie sono inflitte dopo un atto di questo tipo. (V. anche p.79).