Attiva modalità di accessibilità
Disattiva modalità di accessibilità

Ministero della Difesa Test

  • WebTv
  • Facebook
  • Twitter
  • Youtube
  • Instagram
  • Italiano
  • Inglese
  • Francese
  • Home
  • Presidente della Repubblica
  • Ministro della Difesa
  • Sottosegretari
  • Uffici di diretta collaborazione
  • Organismo di Valutazione Performance
  • Commissariato Generale Onoranze ai Caduti
  • Ufficio Centrale Bilancio e Affari Finanziari
  • Ufficio Centrale Ispezioni Amministrative
  • Stato Maggiore della Difesa
  • Segretariato Generale della Difesa
  • Giustizia Militare
  • Area Stampa
  • Organigramma

Skip Navigation LinksHome Page / Giustizia Militare / Rassegna Giustizia Militare / Corte Penale Internazionale / Introduzione

Invia questa pagina a un amico Stampa questa pagina

Introduzione


Il dott. Staffan de MISTURA, Direttore dell'Ufficio O.N.U. per l'Italia, in una intervista del 10.12.1998 al quotidiano Il Messaggero, ha dichiarato che la creazione della Corte penale internazionale è la vera "torta di compleanno" per il cinquantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

 

Il giorno dopo, il prof. Giovanni CONSO ha dichiarato al Corriere della Sera che "una carta dei diritti senza una giurisdizione né sanzioni applicabili con efficacia è zoppa".

 

E' evidente il significato di queste due affermazioni: a cinquanta anni dalla sua approvazione, avvenuta il 10.12.1948, la Dichiarazione Universale, a consuntivo, presenta un bilancio attivo su un versante, negativo sull'altro.

 

Essa, infatti, da un lato, ha dispiegato la sua positiva influenza "didascalica" in senso umanitario in vari campi, ispirando altresì numerose legislazioni internazionali e nazionali. Ma, dall'altro, non essendo cogente, non è riuscita ad evitare il perpetuarsi di massacri, carneficine e atti di genocidio.

 

Da qui l'esigenza di costituire un organo di giustizia, quale supremo garante, in sede penale, per il perseguimento dei più gravi crimini di portata internazionale.

 

Invero, i primi tentativi esperiti per la istituzione di una giurisdizione penale internazionale risalgono ad una ottantina di anni fa, all'indomani della stagione di lutti e devastazioni arrecati dal primo conflitto mondiale.

 

Infatti, nel Trattato di Versailles (firmato il 28 giugno 1919), che decretò la fine della prima guerra mondiale, furono inserite numerose previsioni, miranti a sottoporre a un processo sovranazionale l'Imperatore tedesco, per i crimini da lui commessi contro la pace, e a perseguire penalmente i criminali di guerra ritenuti responsabili di gravi nefandezze.

 

I relativi processi, peraltro, non ebbero mai luogo, per ragioni essenzialmente politiche.

Altri due tentativi per creare una Corte internazionale furono, ancora senza successo, esperiti nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale.

 

Per poter vedere in concreto la effettiva costituzione di un organo giurisdizionale internazionale, dobbiamo giungere all'8 agosto 1945, allorché le nazioni alleate uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale - per reazione agli enormi lutti, eccidi e smisurati atti di barbarie che avevano preceduto e accompagnato la guerra - sottoscrissero il documento noto come Accordo di Londra, a cui venne allegata la Carta del Tribunale Militare Internazionale.

 

Fu questa la prima volta, nella storia moderna, in cui vide la luce un organo giurisdizionale internazionale, competente a svolgere processi per "crimini contro la pace", "crimini di guerra" e "crimini contro l'umanità".

 

Appositi tribunali vennero inoltre istituiti dagli alleati nelle rispettive zone di occupazione del territorio tedesco e l'insieme di tali giudizi è passato alla storia con la denominazione di Processi di Norimberga.

 

Subito dopo, il 19 gennaio 1946, fu promulgata a Tokyo dal Comandante Supremo delle Forze Alleate per il Pacifico (Generale Douglas Mac Arthur) una carta, sostanzialmente identica a quella di Londra, mediante la quale venne istituito il Tribunale Militare Internazionale per l'Estremo Oriente.

 

Questi Tribunali hanno avuto, il primo molto più del secondo, una notevole importanza storica e giuridica, per l'affermazione dei principi del rispetto della pace e della sanzione dei crimini di guerra e contro l'umanità.

 

Su di essi, peraltro, si sono appuntate molte critiche, essenzialmente per la mancata osservanza del principio nullum crimen et nulla poena sine lege, per la connotazione di tribunali "alleati" più che internazionali, e, infine, per avere amministrato una giustizia dei vincitori sui vinti.

 

Nel secondo dopoguerra, esauritasi la fase dei processi di Norimberga, non essendo la società internazionale dotata di validi organi per processare gli individui ritenuti colpevoli di crimini internazionali, furono di nuovo gli Stati ad agire sugli individui in forza del rispettivo ordinamento interno.

 

Tra gli altri, la stessa Germania processò oltre 50.000 tedeschi. In Italia vennero celebrati numerosi processi, in applicazione delle norme del Codice penale militare di guerra, all'epoca all'avanguardia e idonee a sanzionare le gravi violazioni delle regole internazionali e interne di diritto bellico.

 

Contemporaneamente a questa ondata multinazionale di giudizi, le Nazioni Unite intensificavano gli sforzi per istituire un Tribunale internazionale.

 

Con la risoluzione n.177 del 21 novembre 1947, l'Assemblea Generale affidò due incarichi alla Commissione del Diritto Internazionale: l'uno, di predisporre un Codice delle Offese alla Pace e alla Sicurezza dell'Umanità; l'altro, di formulare i principi di diritto internazionale riconosciuti nello Statuto del Tribunale di Norimberga e nelle sue sentenze.

 

Dopo svariate e alterne vicende, su cui esercitò un ruolo negativo l'avvento della guerra fredda, e un lungo periodo di tempo (oltre 20 anni) impiegato per accordarsi sulla definizione del crimine di aggressione, la Commissione anzidetta riprese nel 1982 ad occuparsi del Codice e nel 1992 del progetto di Statuto per la Corte. Quindi, nel 1994 fu approvato il progetto di Statuto e nel 1996 il progetto del Codice.

 

Nel 1995, l'Assemblea Generale istituì un Comitato ad hoc, per l'esame delle questioni relative alla istituzione della Corte internazionale, e, successivamente, su proposta di questo, un Comitato Preparatorio (PrepCom), per l'elaborazione di un "testo consolidato" da sottoporre all'approvazione di una Conferenza diplomatica.

 

Infine, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 51/207 del 17 dicembre 1996, deliberò di tenere, nel 1998, una Conferenza diplomatica di plenipotenziari degli Stati membri delle Nazioni Unite, per formalizzare e adottare la Convenzione sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

L'accelerazione decisiva, tra gli anni 1990-1996, nel lungo itinerario verso una Corte internazionale, è stato determinato dalla constatazione di dover ancora una volta costituire dei tribunali ad hoc, per i gravissimi crimini commessi nei territori della ex Jugoslavia e nel Ruanda, contravvenendo a principi basilari del diritto, recepiti anche dalla nostra Costituzione, quali precostituzione del giudice naturale, "nullum crimen et nulla poena sine lege" e divieto di costituire giudici straordinari e speciali (artt. 25, 1; 25, 2; 102, 2 Cost).

 

Pertanto, l'esigenza di non perpetuare gli "errori" del passato ha agito da catalizzatore per la maturazione di una decisione.

 

Quindi, l'Assemblea Generale della Nazioni Unite, con ulteriore risoluzione n.52/160 del 15 dicembre 1997, ha deliberato di far svolgere la Conferenza dal 15 giugno al 17 luglio 1998, e, accogliendo l'offerta del Governo italiano, ha presecelto la città di Roma come sede della stessa.

 

Le riunioni della Conferenza si sono svolte presso la sede della F.A.O., sotto la Presidenza di Giovanni CONSO.

 

Hanno partecipato ai lavori i rappresentanti di 160 Stati.

 

La Jugoslavia non è stata ammessa alla Conferenza.

 

Sono state, inoltre, presenti ai lavori, tramite un rappresentante in qualità di osservatore, 15 Organizzazioni governative e intergovernative, 14 Agenzie specializzate delle Nazioni Unite , nonché 133 Organizzazioni non governative.

 

Lo Statuto è stato approvato solo a maggioranza, seppure larghissima (120 favorevoli, 7 contrari, 21 astenuti, 12 non partecipanti al voto) dopo un lungo e difficoltoso negoziato, il cui esito è rimasto incerto fino all'ultimo.

 

Tra gli Stati contrari, ve ne sono tre (Cina, India e Stati Uniti) che rappresentano, nel loro insieme, circa il 44% della popolazione mondiale. Inoltre due di essi sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e uno di loro è la prima potenza del pianeta sia nel campo militare, che in quello economico. Non è facile prevedere quali potranno essere gli effetti futuri di tale voto.

 

Tra i problemi più spinosi rimasti irrisolti vi è, ancora una volta, quello della definizione del crimine di aggressione, rinviato a sette anni dopo l'entrata in vigore dello Statuto e quello dei crimini di guerra, se riferiti a violazioni commesse in occasione di conflitti non internazionali, per i quali ogni Stato Parte potrà sottrarsi alla giurisdizione della Corte per sette anni.

 

Vincendo le resistenze di molti Stati, è stato respinto il tentativo di far dipendere la giurisdizione della Corte dalla richiesta del Consiglio di Sicurezza o da una accettazione specifica caso per caso.

 

E' stata altresì per ora accantonata la questione dell'inserimento tra i crimini di guerra dell'uso delle armi nucleari, su cui insisteva l'India.

 

L'Italia, favorevole alla istituzione di una Corte penale internazionale, ha svolto nel corso della Conferenza di Roma un ruolo positivo e determinante.

 

La Corte avrà sede all'Aia (Paesi Bassi), ma potrà riunirsi anche altrove.

 

La sua competenza è limitata a crimini particolarmente gravi: genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra (per i crimini di aggressione si rinvia a quanto detto sopra), commessi dopo l'entrata in vigore dello Statuto, nonché a una serie di reati contro l'amministrazione della giustizia.

 

La sua giurisdizione è complementare rispetto a quella degli Stati, che conservano tale potestà in via primaria, ed è condizionata dall'accettazione dello Stato Parte tramite la ratifica dello Statuto, o dall'accettazione per un caso specifico di uno Stato non Parte.

 

L'azione penale può essere esercitata dal Procuratore di sua iniziativa, o su segnalazione di uno Stato Parte, ovvero su richiesta del Consiglio di Sicurezza (in tal caso non è necessario che lo Stato abbia ratificato lo Statuto). Il Consiglio, peraltro, può in qualsiasi caso richiedere la sospensione per un anno delle indagini.

 

Viene recepito il principio del ne bis in idem, ma lo stesso non è ritenuto valido nei casi in cui i processi statuali siano stati usati come espedienti per evitare la giurisdizione della Corte.

 

Vengono altresì recepiti i principi basilari del diritto penale (nullum crimen sine lege, divieto di analogia, favor rei, nulla poena sine lege, irretroattività ratione personae).

 

Non sono soggetti alla giurisdizione della Corte i minori di anni 18.

 

E' esclusa qualsiasi immunità per Capi di Stato o di governo.

 

Particolarmente rilevanti i principi della responsabilità dei capi militari e di altri superiori gerarchici per eventuali crimini commessi da forze alle loro dirette dipendenze e della irrilevanza ai fini della responsabilità penale di aver agito per ordini superiori.

 

I reati di competenza della Corte sono imprescrittibili.

 

Gli organi della Corte sono: un Ufficio di Presidenza, una Sezione di appello, una Sezione di primo grado, una Sezione dei giudizi preliminari, un Ufficio del Procuratore, una Cancelleria.

 

La composizione della Corte prevede 18 giudici, per i quali sono prescritti particolari requisiti e garanzie di indipendenza. Essi vengono eletti dalla Assemblea degli Stati Parti, a scrutinio segreto. Il Presidente e il Primo e Secondo vicepresidente sono eletti dalla maggioranza assoluta dei giudici. L'esercizio delle funzioni giudiziarie è svolto, nell'ambito di ciascuna Sezione, dalle Camere. In particolare, per la Camera processuale (primo grado) sono previsti tre giudici.

 

E' previsto che il Procuratore disponga di uno o più Vice procuratori e che il suo Ufficio operi indipendentemente. Egli viene eletto dall'Assemblea degli Stati Parti.

 

Sono previste lingue ufficiali (inglese, arabo, cinese, spagnolo, francese, russo) e lingue di lavoro (inglese e francese).

 

Normalmente il processo ha luogo nella sede della Corte.

 

E' prescritta la presenza dell'imputato.

 

Sono recepiti i principi di presunzione di innocenza, di onere della prova a carico dell'accusa e di pubblicità del processo.

 

Sono previsti una serie di diritti riconosciuti all'imputato e accorgimenti di protezione per le vittime e i testimoni.

 

E' prevista, altresì, la possibilità di eccepire il pregiudizio di interessi di sicurezza nazionale, per proteggere informazioni e documenti.

 

La sentenza deve essere preferibilmente adottata all'unanimità; in mancanza, deve contenere i pareri di maggioranza e minoranza. Di essa è data lettura in pubblica udienza.

 

Lo Statuto prevede le seguenti pene: a)reclusione a termine, per un massimo di 30 anni (non è fissato un minimo) ; b)ergastolo.

 

Resta esclusa la pena di morte.

 

Sono previsti casi di appello e di revisione della condanna.

 

Sono dettagliatamente e articolatamente stabilite svariate forme di cooperazione internazionale e di assistenza giudiziaria, cui gli Stati Parti sono obbligati a dare la massima adesione, ivi comprese le richieste di arresto e consegna di persone.

 

Le pene detentive sono scontate in uno Stato prescelto dalla Corte, tra quelli dichiaratisi disponibili.

 

La Corte è competente in via esclusiva in ordine alla esecuzione delle pene e alla loro eventuale riduzione.

 

E' prevista, poi, la istituzione di un' Assemblea degli Stati Parti, dotata di un Ufficio di presidenza.

 

Per il finanziamento della Corte è previsto un sistema misto, comprendente i contributi degli Stati Parti (sulla base del tariffario O.N.U.), le risorse fornite dall'O.N.U., nonché eventuali contributi volontari. E' prevista l'adozione di un Regolamento finanziario da parte dell'Assemblea.

 

Richieste di emendamenti potranno essere avanzate dopo sette anni dalla data di entrata in vigore dello Statuto. E' prevista, per l'approvazione di emendamenti, una procedura particolarmente gravosa. Più semplice l'introduzione di emendamenti di carattere esclusivamente istituzionale.

 

Verrà al più presto convocata una Commissione preparatoria, di cui faranno parte i rappresentanti di tutti gli Stati che hanno firmato l'Atto finale allegato allo Statuto, per l'elaborazione di progetti dei testi dei Regolamenti e Accordi ivi specificati.

 

Lo Statuto entrerà in vigore, trascorsi sessanta giorni dalla data di deposito della sessantesima ratifica o strumento similare, il primo giorno del mese successivo.

 

Assai rilevanti sono i riflessi dello Satuto sulla normativa giuridica nazionale.

 

Il primo atto che il nostro Paese deve compiere per diventare Stato Parte è, evidentemente, il deposito dello strumento di ratifica dello Statuto stesso.

 

A tal fine, risulta che il Governo italiano ha presentato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione n.3594, comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 23 ottobre 1998.

 

L'articolo 1 di detto d. di l., prevede l'autorizzazione al Presidente della Repubblica per la ratifica dello Statuto.

 

L'articolo 2 prevede il conferimento di delega legislativa al Governo per l'emanazione, entro il termine di sei mesi, di uno o più decreti legislativi, per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto.

 

Il ricorso alla delega legislativa è giustificato dalla complessità della normativa da emanare.

 

Essa può essere brevemente accennata nei termini seguenti, seguendo lo stesso ordine del disegno di legge:

 

a) adeguamento della normativa interna per le ipotesi contenute nello Statuto (artt.3, 3; 62), che prevedono la possibilità per la Corte, la cui sede è all'Aia (Paesi Bassi), di riunirsi "in qualsiasi altro luogo" e, quindi, anche nel nostro territorio nazionale.

 

b) individuazione dei soggetti che devono agire e dei procedimenti da seguire, nei numerosi casi in cui lo Statuto prevede lo svolgimento di una attività relazionale politica, giurisdizionale e/o amministrativa tra la Corte e lo Stato nazionale; occorre regolamentare molteplici attività, tra le quali: le segnalazioni di reato al Procuratore (art.14), le informazioni che lo stesso può richiedere (art.15), la comunicazione allo Stato denunciante di mancato esercizio di azione giudiziaria (art.53, 2), la richiesta di riesame di tale decisione da parte dello Stato denunciante (art.53, 3), gli interventi per la tutela della riservatezza di atti, documenti e notizie che possano pregiudicare gli interessi di sicurezza nazionale (art.72).

 

c) introduzione delle disposizioni penali occorrenti per la punibilità di tutti i fatti penalmente illeciti secondo lo Statuto: è l'operazione legislativa più complessa e delicata connessa con la ratifica dello Statuto.

 

d) nel caso di previsione di nuovi reati, determinazione delle pene in modo che risultino proporzionate a quelle comminate per gli altri reati analoghi. Particolare attenzione dovrà essere posta nella graduazione delle pene da infliggere per le nuove tipologie di reato, al fine di evitare disparità di trattamento e conseguenti questioni di legittimità costituzionale.

 

e) definizione delle regole di giurisdizione e di competenza e delle altre regole processuali applicabili. Le norme dell'ordinamento interno dovranno essere adeguate, in modo da definire i criteri di attribuzione della competenza giurisdizionale, per materia e per territorio, agli organi giudiziari dello Stato per le fattispecie criminose previste dallo Statuto, onde consentire l'individuazione del giudice ordinario o del giudice speciale (tribunale militare) competente.

 

f) previsione delle misure di protezione per le persone indicate nell'art.68 dello Statuto, che si trovino nel territorio dello Stato: le vittime e i testimoni sono oggetto di particolare tutela, al fine di proteggerne la sicurezza, il benessere fisico e psicologico, la dignità e la riservatezza.

 

g) dare attuazione alle disposizioni sulla cooperazione e sull'assistenza giudiziaria: è una materia, questa, di notevole ampiezza e complessità. Si tratta di regolamentare svariate ipotesi contemplate da numerosi articoli (da 86 a 102) del Capitolo IX dello Statuto.

 

h) prevedere che, a norma dell'art.103 dello Statuto, l'esecuzione della pena detentiva possa avvenire nello Stato, con applicazione delle norme dell'ordinamento penitenziario, in modo compatibile con le prerogative riconosciute alla Corte dallo Statuto.

 

Sono poi previste le modalità per l'emanazione dei decreti legislativi delegati (art.3), un'ulteriore delega al Governo (art.4) per l'emanazione delle disposizioni che si renderanno necessarie a seguito dell'adozione delle regole di procedura e di prova, degli elementi di reato e degli altri strumenti previsti dall'Atto finale, l'esecutività dello Statuto (art.5) e, infine, norme di copertura finanziaria (art.6).

 

Nel disegno di legge, peraltro, non risultano espressamente richiamati due profili di non trascurabile entità.

 

Il primo di essi riguarda l'imprescrittibilità dei crimini soggetti alla competenza della Corte, prevista dallo Statuto (art.29). Sembra, pertanto, necessaria l'introduzione di una norma ad hoc nel nostro codice penale.

 

Il secondo profilo presenta, a sua volta, aspetti di particolare delicatezza.

 

Ricordiamo che lo Statuto (art.27) esclude tassativamente per la sua applicazione qualsiasi distinzione basata sulla qualifica ufficiale delle persone; neanche la qualifica ufficiale di Capo di Stato o di governo, di membro di governo o di parlamento esonera in alcun caso dalla responsabilità penale personale, né può costituire motivo di riduzione della pena.

 

Tale previsione, ovviamente, rende necessario adeguare il nostro ordinamento interno, in relazione alla perseguibilità delle persone per i reati di competenza della Corte. Senonché, la nostra Costituzione prevede un regime di "irresponsabilità" del Presidente della Repubblica (art.90 Cost.), per modificare la quale occorrerà una legge di revisione costituzionale.

 

Sarebbe, peraltro, opportuno che le iniziative legislative che dovranno essere assunte siano improntate a criteri di organicità e di completezza, in modo da definire anche altri aspetti strettamente connessi, che attendono da moltissimi anni di essere adeguati alla evoluzione della normativa internazionale nel frattempo intervenuta.

 

E' necessario approfittare dell'occasione, per rendere conforme il diritto italiano al nuovo diritto internazionale in tale materia, quale si è venuto sviluppando non solo per la via delle convenzioni, ma anche per quella delle consuetudini.

 

Nel 1941 la legislazione italiana poteva essere considerata all'avanguardia quanto a recepimento dei principi di diritto umanitario bellico. Oggi, invece, il nostro Paese è considerato "renitente" rispetto agli obblighi che derivano dal diritto internazionale.

 

Ci si riferisce, in particolare, all'adeguamento delle norme del codice penale militare di guerra, per il quale giace al Senato della Repubblica dal 9 gennaio 1998 il disegno di legge governativo n.2984.

 

Ci si riferisce, altresì, alla necessità, sempre più avvertita, che vengano emanate norme ad hoc applicabili alle operazioni che le nostre Forze Armate sempre più frequentemente svolgono all'estero in supporto della pace, costituendo tali operazioni un tertium genus al quale non si attagliano efficacemente ed esaurientemente né il codice penale militare di pace, né quello di guerra, prevedendosi anche che siano qualificate come reato militare le fattispecie criminose dello Statuto se commesse da personale militare impiegato in missioni all'estero.

 

L'entrata in vigore dello Statuto non sembra, invece, comportare diretti riflessi sui regolamenti del Ministero della Difesa riguardanti le attività delle Forze Armate nella condotta della difesa nazionale e delle operazioni in supporto della pace.

 

Invero, le ipotesi di crimini rientranti nella competenza della Corte, tutte di rilevante gravità, dispiegheranno i loro effetti diretti, come già detto, sulla normativa penale nazionale, ordinaria e/o speciale, con obbligo cogente per tutti i cittadini, militari e non.

 

Peraltro, sarà sicuramente opportuno l'inserimento di specifici richiami circa la nuova normativa (una volta entrata in vigore) - di cui, si ribadisce, è implicito l'obbligo di osservanza in quanto norma penale - nei manuali contenenti norme regolamentari per l'impiego delle Forze Armate italiane nelle operazioni in supporto della pace (si citano, ad esempio, la pubblicazione SMD-G-015 "Manuale interforze per le operazioni di pace" e quella dello SME "La dottrina dell'Esercito Italiano").

 

Appaiono però meritevoli di attenzione altri due aspetti.

 

Il primo di essi riguarda l'opportunità di attivare un'opera di divulgazione e di sensibilizzazione sulla nuova normativa, a tutti i livelli, soprattutto, ma non solo, in occasione dello svolgimento di attività di formazione e di aggiornamento professionale.

 

L'impegno delle Forze Armate italiane in operazioni all'estero in supporto della pace sembra destinato in futuro non solo a continuare, ma ad intensificarsi.

 

E' oltremodo evidente quanto sia necessario che tutto il personale militare, potenzialmente impiegabile all'estero nelle PSO, sia reso consapevole di un tal insieme di nuove norme, invero piuttosto complesso, le cui fattispecie incriminatrici possono, seppure per remota ipotesi, concretizzarsi proprio in occasioni di impiego di tal genere.

 

Recentemente, in occasione di missioni all'estero di nostri militari, si sono verificati due episodi, che, seppure enfatizzati dalla stampa, con eco internazionale, e non sicuramente accertati, costituiscono un motivo di allarme e di riflessione.

 

Il solo sospetto che la deontologia militare di una parte anche minima del personale impiegato in tali missioni abbia mostrato qualche lacuna, deve convincerci a fare di tutto per colmarla e prevenirne altre eventuali, attraverso attività di istruzione, di formazione e di aggiornamento a tutti i livelli, seppure modulata in relazione al grado di responsabilità.

 

Il secondo aspetto riguarda la sempre maggiore difficoltà, per i Comandanti, di operare in un contesto normativo vieppiù complesso e intricato.

 

Inoltre, con l'entrata in vigore dello Statuto della Corte penale internazionale, l'operato dei Comandanti potrà formare oggetto di apprezzamento, in sede penale, non solo da parte dell'autorità giudiziaria nazionale, ma anche da parte del Procuratore della Corte (art.15 dello Statuto).

 

A questo proposito vengono subito in evidenza le problematiche connesse con l'adozione e l'applicazione delle regole d'ingaggio (ROE).

 

Le rules of engagement, com'è noto, costituiscono direttive impartite alle Forze Armate per definire, tra l'altro, la circostanza, il grado e le condizioni in cui può farsi ricorso all'uso della forza. In pratica, esse costituiscono l'unico strumento per autorizzare l'uso della forza in tempo di pace e in situazioni di crisi. Esse, inoltre, devono essere conformi ai principi di diritto internazionale e non contrastanti con quelli del diritto nazionale.

 

Sin qui sembra tutto chiaro. Ma, trovandosi ad operare sul campo, eventualmente in condizioni di estremo rischio, sotto l'urgenza di una decisione da prendere in poco tempo, ci si chiede se il Comandante sia posto in grado di valutare esaurientemente sotto il profilo giuridico la propria decisione di far uso della forza, nelle molteplici e imprevedibili situazioni ipotizzabili.

 

Tutti i casi in cui sia previsto l'uso della forza o di altre forme di coercizione, per le quali sia configurabile uno sconfinamento in fattispecie considerate come criminose non solo dal nostro ordinamento, ma in futuro anche dallo Statuto della Corte internazionale, dovranno essere poste sotto una lente di ingrandimento ed esaminate con molta attenzione e competenza.

 

Tra l'altro, lo Statuto prevede espressamente la responsabilità, in determinate condizioni, dei capi militari per eventuali crimini commessi da forze poste sotto il loro effettivo controllo (art.28).

 

Risalta, quindi, la necessità di affiancare al Comandante delle forze che operano fuori area un Consigliere giuridico (Legal Adviser), che sia effettivamente in grado di fornire il proprio qualificato supporto riguardo alle implicazioni giuridiche delle decisioni strategico-tattiche da adottare.

 

Né, sembra utile, a tal fine, la previsione dell'art.52 dell'ord. giudiz. mil., essendo la consulenza del Procuratore militare della Repubblica configurata più come attività "a posteriori", non in via preventiva.

 

D'altronde, consiglieri giuridici sono presenti nell'ambito NATO, ad esempio, nelle Forze Armate di Stati Uniti, Regno Unito e Germania. In quest'ultimo Paese essi sono dei funzionari civili dell'Amministrazione della Giustizia, mentre nel Regno Unito essi sono inquadrati nei ranghi militari come Ufficiali e sono promossi esclusivamente nell'ambito della loro specialità, ossia il Servizio Legale, fino al grado di Generale di divisione. Negli Stati Uniti, infine, oltre ad Esperti civili (circa 1000) esiste il Corpo Generale degli Esperti Legali (Judge Advocate-circa 3500), che vengono reclutati per Forza Armata dalle Università, tra i laureati in giurisprudenza. Circa un decimo di essi viene selezionato per l'avviamento all'incarico di Consigliere giuridico e inviato a frequentare corsi presso Università americane specializzate nel diritto umanitario internazionale o presso la Army Judge Advocate General School in Charlotte, Dopo la specializzazione, essi svolgono il loro incarico presso Comandi intermedi, poi presso i Comandi principali. Il massimo grado che possono raggiungere è quello di Maggior Generale/Ammiraglio di divisione (6 nell'Esercito, 2 nella Marina, 5 nell'Aeronautica).

 

Nelle Forze Armate italiane è appena previsto, almeno a quanto risulta, un corso per Ufficiali dell'Esercito, della durata di sole due settimane, presso il Centro Studi D.U.C.A., nell'ambito della Scuola di guerra di Civitavecchia. Peraltro, per la partecipazione a tali corsi non risulta sia richiesta una qualificazione specifica, tanto che essi sono per lo più frequentati da Ufficiali d'Arma.

 

Pur non disconoscendo l'utilità di tali corsi come arricchimento di conoscenze, non sembra che essi siano idonei alla formazione di validi Consulenti giuridici, in grado di affrontare e risolvere le sempre più complesse normative connesse con lo svolgimento di operazioni all'estero.

 

Non sembra neanche che a tale necessità possano sopperire compiutamente, data la sempre maggiore specialità della materia, gli Uffici giuridici esistenti presso Stati Maggiori e Alti Comandi.

 

Quindi, al pari di quanto già praticato nei paesi NATO sopra citati, che da tempo dispongono nel settore di "gente del mestiere", si ritiene non più rinviabile la soluzione di tale problema, da affrontare e risolvere in modo organico e compiuto.

 

Certo, quello adottato negli Stati Uniti sembra senz'altro il migliore modello formativo e organizzativo da prendere come esempio, adattandolo ovviamente ad una realtà di dimensioni di gran lunga inferiori. Ma i primi risultati potrebbero essere conseguiti solo dopo diversi anni.

 

In alternativa, non resta, per ora, che programmare una seria e duratura specializzazione in diritto umanitario, in diritto internazionale e in diritto della guerra di ufficiali laureati in giurisprudenza, i quali potrebbero essere poi impiegati secondo il sistema del doppio incarico.

  • Premessa
  • Introduzione
  • Bibliografia
  • Appendice di aggiornamento
  • Note Legali
  • PEC
  • Privacy
  • Mappa sito
  • Contatti
  • Dichiarazione di accessibilità
  • Accesso civico
  • Esercizio Del Potere Sostitutivo
  • Credits
  • Intranet
© 2015 Ministero della Difesa V.4.0.0 - 19 giugno 2015