
Breve storia del palazzo
Rione V Ponte, Rione VI Parione, Rione VII Regola: sono sicuramente questi tra i più importanti e significativi rioni nella storia di Roma. La stessa etimologia di tali denominazioni si presta a sottolineare in modo lungimirante ed accorto l'origine e lo strettissimo rapporto con la vita della Città Eterna. Regola deriva, infatti, da "renula", la finissima sabbia dorata che depositata dal Tevere, formava ampi arenili sulle sponde. Parione deve verosimilmente il suo nome, come accrescitivo corrotto del latino paries, ai resti delle mura di uno dei tanti prestigiosi monumenti romani facenti parte della IX Regione Augustea. Il Rione Ponte, infine, prende il nome ed il simbolo, riprodotto nello stemma, dall'antichissimo Ponte Elio, fatto costruire dall'Imperatore Adriano per realizzare un monumentale accesso al suo Mausoleo. Il Ponte Elio, peraltro, venne successivamente denominato Pons Sancti Angeli, per celebrare la miracolosa apparizione, in cima alla Mole Adriana, di San Michele Arcangelo al papa Gregorio Magno, che stava percorrendo il ponte medesimo in processione, in coincidenza con la fine di una terribile pestilenza che aveva colpito la Città di Roma nell'anno 590. Attualmente ponte Sant'Angelo non appartiene più al Rione cui diede il nome - è stato infatti ricompreso nel territorio del Rione Borgo, di successiva costituzione - e non ha più la torre di guardia che appare negli antichi stemmi del rione Ponte.
Nell'ambito di questi Rioni, noi ritroviamo oggi le più preziose gemme artistiche ed architettoniche dell'epoca rinascimentale e barocca di Roma: Campo de' Fiori e Piazza Navona, Piazza Farnese e Via Giulia, i palazzi Farnese (oggi sede dell'Ambasciata di Francia), Spada (sede del Consiglio di Stato), Pamphili, Falconieri, Cisterna, Sacchetti, Massimo, Lancellotti, a suo tempo sontuose residenze di principi e cardinali.
Ed è nel cuore del Rione Ponte, in questo contesto lussureggiante e straordinario, che sorse nei primi anni del '500 l'edificio oggi denominato Palazzo Cesi.
Il Palazzo fu fatto costruire dai Gaddi, ricca famiglia di mercanti fiorentini, già affermatasi in Roma sin dal '400.
L'autore è rimasto, purtroppo, ignoto.
Attraverso una riproduzione custodita nel Museo "Albertina" di Vienna, è possibile farsi un'idea delle mirabili decorazioni, con affreschi a chiaroscuro e graffiti, che impreziosivano la facciata su via della Maschera d'Oro, successivamente andate in rovina e irrimediabilmente perdute in quanto ricoperte con vernice. Esse furono eseguite da due artisti all'epoca molto affermati a Roma: Polidoro da Caravaggio (1495-1546) e Maturino da Firenze (1528), gli stessi che decoreranno subito dopo il prospiciente Palazzo Milesi (che, seppure assai rovinato, consente ancora di ammirare qualche traccia dei decori) così da farci immaginare una sorta di gara tra i proprietari per avere la più bella facciata istoriata. Lo stesso Vasari ebbe a definire tali decorazioni piene di grazia e di fantasia. Vi erano, tra le altre, rappresentate scene di sacrificio, di storia romana, di guerra e di caccia, figurazioni allegoriche e immagini dello sbarco di genti orientali nel Lazio. Sulla porta di ingresso al palazzo (n.21 di Via della Maschera d'Oro) vi era lo stemma di Clemente VII Medici, con accanto quello dei Gaddi e quello dei Gomez, famiglia questa cui apparteneva Caterina, prima moglie di Luigi Gaddi.
Il palazzo passò, successivamente, ai Rossi di San Secondo. Poi, nel 1567, il Conte Sigismondo de ROSSI di Sansecondo lo rivendette ad Angelo Cesi, figlio di Giangiacomo Cesi e di Isabella di Alviano.
Dai CESI venne, quindi, dato in locazione nel 1570 a D. Ugo Boncompagni, che lo occupò fino alla sua elezione al soglio pontificio (col nome di Gregorio XIII), dopodichè tornò nella disponibilità della famiglia Cesi.
Esteriori tracce concrete del possesso da parte dei Cesi sono alcuni stemmi compositi, tuttora esistenti, murati sulle facciate del palazzo.
Le successive vicende dell'edificio, che da allora assunse la denominazione di Palazzo Cesi, lo videro ceduto nel 1798 ad Ulisse Pentini, quindi acquistato dal barone Camuccini (figlio del celebre pittore Vincenzo), che nel 1855 lo rivendette ad un nobile britannico, il duca di Northumberland. Fu poi ceduto ai Santarelli e, infine, nel 1929, al signor Salvatore Buffardi.
Nel palazzo vi fu, per un certo periodo di tempo, durante la proprietà Pentini, la Depositeria Urbana dei pegni di Roma. Trattasi del luogo e dell'ufficio determinato per il deposito generale e per la custodia dei pegni giudiziali, nonchè per eseguirvi gli incanti e le vendite degli oggetti pignorati stessi, successivamente trasferita nel palazzo Palombara in via dell'Impresa.
Nel 1940, in seguito ad esproprio, il palazzo passò al Ministero della Guerra, per essere adibito a sede del Tribunale Militare di Roma.
Dopo aver ospitato per oltre 35 anni il Tribunale Supremo Militare e la Procura Generale Militare, oggi accoglie il Consiglio della Magistratura militare e gli Uffici giudiziari militari superiori.