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Cenni Storici

4 novembre 2014 - Giorno dell'Unità Nazionale Giornata delle Forze Armate


Aspetti storici Unità d'Italia


Il 18 febbraio del 1861, in seguito alla seconda guerra d'indipendenza e ai plebisciti nei territori conquistati dal Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II inaugurò a Torino il parlamento italiano formato dai rappresentanti di tutti i territori annessi. Il successivo 17 marzo il re firmò con Cavour la legge che proclamava il Regno d'Italia. Scomparivano i ducati e i granducati in Emilia e Toscana, il dominio pontificio veniva ridotto alla sola zona del Lazio e tramontava il regno borbonico. A completare l'unità mancavano solo il Veneto e Roma. Il Regno d'Italia venne strutturato come un allargamento del Regno di Sardegna, mantenendo la forma istituzionale monarchico-costituzionale e un modello centralista. Il diritto di voto era attribuito - secondo la legge elettorale contenuta nello statuto albertino del 1848 - in base al censo e in tal modo gli aventi diritto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo sistema erano quindi estremamente ristrette.

Nei primi anni di vita dello Stato unitario gli uomini della Destra storica, gruppo politico erede di Cavour ed espressione della borghesia liberal-moderata (composto principalmente da alta borghesia, proprietari terrieri, industriali e militari) si concentrarono sul completamento dell'Unità. Nel 1866, a seguito della terza guerra di indipendenza, al Regno veniva annesso il Veneto, sottratto all'Impero austro-ungarico. L'unificazione italiana veniva perfezionata nel 1870 con la presa di Roma e l'annessione del Lazio, che esasperavano ulteriormente l'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato e contribuiva a rendere tesi i rapporti con il tradizionale alleato francese. Roma divenne ufficialmente capitale d'Italia (prima lo erano state Torino e Firenze).

Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato resero difficili la costruzione di uno Stato unitario. Aree industrializzate ampiamente coinvolte nei processi di modernizzazione furono unite a realtà statiche ed arcaiche del mondo rurale. La neonata Italia si trovò a fronteggiare questi ed altri problemi, dalla creazione di uno Stato unitario con leggi uniformate e una moneta unica, alla lotta contro l'analfabetismo e la povertà diffusa. Un forte elemento di instabilità fu rappresentato dal fenomeno del brigantaggio antisabaudo - represso con la forza - diffuso nelle regioni meridionali, che contribuì a complicare la già complessa questione meridionale.

Eredità delle vicende storiche che l'accelerato processo di unificazione nazionale, con l'adozione di leggi, quali la coscrizione obbligatoria, lontana dalla mentalità delle masse della popolazione rurale, non aiutò a risolvere.
Il tentativo di risanare le finanze tramite la promulgazione di nuove tasse, produsse un diffuso scontento popolare, che servì solamente ad accentuare i fenomeni di illegalità.

Nel 1876 il governo venne esautorato ed iniziò il periodo della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Lo storico cambio alla guida del Paese contribuiva insieme alla morte due anni dopo di Vittorio Emanuele II, a porre fine ad un'epoca ed aprirne un'altra, con Umberto I quale re. La Sinistra avviò politiche di democratizzazione e modernizzazione, investendo nell'istruzione pubblica (di cui fu ribadita l'obbligatorietà), allargando il suffragio elettorale e inaugurando una politica protezionistica e di diretto intervento dello Stato nell'economia (investimenti in infrastrutture e nello sviluppo dell'industria). Depretis avviò una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l'inchiesta Jacini, che rivelarono grande miseria e pessime condizioni. In politica estera il capo del governo abbandonò la tradizionale alleanza con la Francia e nel 1882 L'Italia si alleò con la Germania e l'Impero austro-ungarico, aderendo alla Triplice Alleanza.

Il governo della Sinistra inaugurò anche l'avventura coloniale italiana Nel 1882 l'Italia acquistò la baia di Assab e due anni dopo i diplomatici italiani si accordarono con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua, che presto assunsero la denominazione di Colonia Eritrea italiana. L'interesse coloniale continuò durante i governi di Francesco Crispi e la città di Massaua divenne il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. L'Italia cercò di penetrare all'interno dell'Etiopia, ma la politica di progressiva conquista del Paese trovò una battuta d'arresto con la sconfitta di Adua nel 1896.

Negli ultimi anni dell'Ottocento l'Italia fu protagonista di un vasto movimento di emigrazione di massa, con milioni di contadini che si trasferirono prevalentemente nelle Americhe. Ebbe anche inizio un ciclo di rapida industrializzazione che contribuì all'affermazione del movimento operaio nel Paese (nel 1892 fu fondato a Genova da Filippo Turati il Partito socialista italiano). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella siderurgia e nella nuova industria idroelettrica, che sembrò risolvere il problema della carenza di materie prime. Anche l'industria continuò a ricoprire una posizione di rilievo, mentre iniziò ad affermarsi quella meccanica. L'economia tuttavia continuava a conservare forti squilibri tra il Nord del Paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e agricolo.

Dopo l'uccisione di Umberto I in un attentato rivendicato per vendicare la strage del 1898 dei manifestanti a Milano presi a cannonate sotto ordine reale, divenne re Vittorio Emanuele III. Dal 1901 al 1914 protagonista della politica italiana fu il capo del governo Giovanni Giolitti, che affrontò il diffuso malcontento provocato dall'autoritarismo di Crispi. Al contrario del suo predecessore, Giolitti preferì il confronto con le parti sociali e l'accettazione delle proteste e degli scioperi, purché non violenti né politici. La linea politica tenuta da Giolitti influenzò anche una svolta all'interno del partito socialista, dove prevalse l'ala riformista che pose in minoranza la massimalista. Tra gli interventi più importanti del capo del governo vi furono la legislazione sociale e del lavoro, le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria. Fu ripresa la politica coloniale e dopo la breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911 l'Italia occupò la Libia e l'anno dopo e il Dodecaneso.

Nella prima guerra mondiale l'Italia prima neutrale, entrò in guerra dopo la firma del Patto di Londra. L'accordo prevedeva lo schieramento dell'Italia al fianco dell'Intesa in cambio - in caso di vittoria - dell'annessione del Trentino, dell'Alto Adige, della Venezia Giulia e dell'Istria - con l'esclusione di Fiume - e una parte della Dalmazia. Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte aperto dall'Italia contro l'Austria-Ungheria ebbe come teatro le Alpi e lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli dell'Isonzo. Nel 1917 gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiando le truppe italiane. La rottura del fronte provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo e la loro ritirata. Conseguenze della disfatta furono la sostituzione di Cadorna con il maresciallo Armando Diaz in qualità di capo di stato maggiore. Gli austro-ungarici lanciarono una nuova offensiva il 15 giugno del 1918, che vide tuttavia gli italiani resistere all'assalto. Con l'Impero vicino al tracollo e l'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico nel lungo termine, l'offensiva italiana partì il 23 ottobre dal Piave e portò rapidamente alla vittoria di Vittorio Veneto. L'Austria-Ungheria a quel punto si arrese. Il 3 novembre a Villa Giusti (Padova) l'esercito imperiale firmò l'armistizio. Alla Conferenza di pace di Parigi l'Italia completò l'unificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni territori del Friuli, le città di Trieste e Gorizia e le isole del Carnaro e Zara.

Le conseguenze sociali ed economiche della guerra furono pesanti. Nell'opinione pubblica si insinuò il mito della "vittoria mutilata" allorché alla conferenza di pace fu negata all'Italia la cessione della Dalmazia e di Fiume, in base al principio dell'autodeterminazione dei popoli. In un clima di delusione ebbero buon gioco i nazionalisti a fare sentire la loro protesta e ad applaudire l'occupazione di Fiume effettuata nel settembre del 1919 dai volontari guidati dal poeta Gabriele d'Annunzio e fiancheggiati da truppe sediziose dell'esercito. Gli operai e i braccianti, sull'onda del successo bolscevico in Russia, scesero in sciopero per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di vita (Biennio rosso), ma il movimento popolare declinò rapidamente. Il sostegno dei ceti medi, degli agrari e degli industriali si indirizzò dunque verso l'emergente fascismo, che il 28 ottobre del 1922 prendeva il potere con la marcia su Roma e inaugurava un ventennio di dittatura, che si sarebbe concluso con gli orrori della seconda guerra mondiale.

La Prima Guerra Mondiale

Nel linguaggio comune la Prima Guerra Mondiale è conosciuta semplicemente come la "Grande Guerra", nome rimastole nonostante poco più di vent'anni dopo ne venne combattuta un'altra più lunga e feroce. Il conflitto del 1914-1918 iniziò come uno scontro "locale" ma assunse, in breve tempo, la connotazione di un conflitto prima europeo e poi mondiale poiché vi parteciparono, più o meno direttamente, governi e popoli di tutti i cinque continenti anche se i campi di battaglia veri e propri rimasero quasi interamente circoscritti all'Europa continentale e all'Asia minore. Dopo un lungo travaglio interno tra neutralisti e interventisti, la neutralità e un complesso negoziato con il Patto di Londra (1915), l'Italia entrò in guerra al fianco delle potenze dell'Intesa, dopo aver fatto parte della Triplice Alleanza con Germania e Austria per più di trent'anni. Nel 1917 si giunse a una sorta di crisi generalizzata che trovò la sua massima espressione in Russia con la rivoluzione bolscevica, mentre l'ingresso in guerra degli Stati Uniti contribuì a volgere l'esito della guerra a favore dell'Intesa. Nelle fasi finali della guerra emersero rivalità e fragilità interne alle compagini statali multinazionali, sulle quali molto ha indagato la storiografia nel corso del'900.

Con le nostre truppe a Trento e a Trieste le generazioni di allora ritennero completato il processo di unità nazionale, grazie al raggiungimento dei confini naturali e alla definitiva scomparsa dell'Impero asburgico, che nel corso dell'Ottocento era stato il tradizionale nemico dei nostri ideali nazionali. La guerra produsse tra gli italiani un'unificazione non più semplicemente amministrativa e politica, ma reale, effettiva, di popolo, un sentimento di unità nazionale e patriottismo dato dal comune sacrificio, dalla convivenza nelle trincee di italiani di tutte le regioni, dalla vita in comune nel fango, nella neve o negli angusti spazi delle navi. Per la prima volta milioni di italiani si trovarono a condividere un'esperienza comune ed uno stesso obiettivo, forse non scelto, imposto, ma comunque comune.

Il sacrificio collettivo portò alla vittoria, pagata con l'altissimo prezzo di quasi 700.000 vite umane, e non c'è paese italiano che non commemori tal sacrificio con un monumento ai caduti, rappresentazione dell'intera società rurale dell'Italia di allora, ancora profondamente legata all'universo contadino. Tra i caduti troviamo tenenti e figli della borghesia locale, figli di contadini e sottufficiali, artigiani e soldati semplici. Vennero mobilitati più di sei milioni di italiani e attraverso le loro lettere e le notizie - accuratamente filtrate - sui giornali, tutta la nazione partecipò al conflitto, e non solo emotivamente. La sofferenza e il dolore non furono solo delle famiglie dei caduti, dei mutilati e dei dispersi, ma di tutto il Paese, che li fece suoi. Quando il Milite Ignoto venne portato a Roma, in una nazione travagliata da profondi conflitti sociali, il treno con la salma attraversò mezza penisola tra due ali di folla silenziosa e prostrata, persino nelle provincie politicamente più difficili.

Questo ha rappresentato la Grande Guerra sotto l'aspetto politico e sociale, con un prezzo altissimo in vite umane e con le conseguenze che ben conosciamo. L'Europa e il mondo ne uscirono stravolti. Per l'estensione territoriale dei campi di battaglia, per l'imponenza delle forze armate in conflitto, delle ricchezze sacrificate e per i risultati finali ottenuti, il primo conflitto mondiale rappresentò una svolta storica epocale, in quanto scardinò completamente il "sistema" internazionale, modificò comportamenti e assetti sociali, lanciò parole d'ordine di rilevante impatto psicologico: autodeterminazione dei popoli, Stato nazionale, redistribuzione della ricchezza. La delusione per gli obiettivi non realizzati, l'emergere di un nazionalismo esclusivo sempre più duro e irrazionale, il successo e l'affermazione della rivoluzione bolscevica in quella immensa e in parte sconosciuta aggregazione di popoli ed etnie quale era l'Impero zarista, i molteplici e non involontari equivoci dei trattati di pace, la riproposizione dell'isolazionismo degli Stati Uniti d'America e dunque la sostanziale esclusione dalla gestione del processo di pace aprirono in Europa un periodo lungo un ventennio di instabilità e di conflittualità, conclusosi con la deflagrazione di un nuovo conflitto mondiale. Il nuovo assetto europeo stabilito a Versailles non poté che prendere atto dei nuovi equilibri e proprio in sede di conferenza di pace si decise di sostenere le nuove compagini statali sorte sulle rovine dei grandi Imperi multinazionali, benché spesso queste apparissero altrettanto deboli e frammentate dei loro predecessori.

Per l'Italia, da poco annoverata tra le grandi potenze, quella guerra ebbe una grandissima importanza anche dal punto di vista militare. In tre anni e mezzo di durissima lotta era stato creato il migliore Esercito della nostra storia che di fatto riuscì a sconfiggere l'impero Austro Ungarico, con una Marina perfettamente all'altezza dei suoi compiti ed una nascente arma aerea dai promettenti sviluppi. Tutta l'Italia aveva concorso a questo risultato, da Guglielmo Marconi al bracciante analfabeta. La selezione imposta dal fronte fu pesante, buona parte di una generazione andò perduta e chi superò la prova si sentì poi cittadino di una patria comune, erede di un'esperienza che lo accompagnò per il resto della sua vita: ancora a mezzo secolo di distanza il Presidente Pertini ricordava i suoi mitraglieri e Papa Giovanni chiedeva, per il suo funerale, la bandiera del suo vecchio reggimento.

Nonostante le difficoltà durante la guerra l'Esercito cercò, riuscendovi, di trovare le migliori intelligenze per far fronte ai compiti sempre crescenti. Scorrendo i nomi degli ufficiali - assai spesso di complemento - ammessi in quegli anni ai corsi pratici di Stato Maggiore possiamo trovare, accanto ai futuri generali della Seconda Guerra Mondiale, i futuri capitani di industria, i futuri politici, un Presidente del Consiglio (Parri) e un futuro Presidente della Repubblica (Gronchi). Anche questo fu un merito, pur quasi sconosciuto, dell'Esercito di Vittorio Veneto. La disfatta dell'esercito austro-ungarico portò alla firma dell'armistizio di Villa Giusti che poneva fine alla guerra sul fronte italiano. L'anniversario della conclusione vittoriosa della Grande Guerra può costituire oggi un'occasione, una preziosa opportunità, per richiamare alla mente e ricordare cosa ha rappresentato nella storia d'Italia, nella nostra storia, quel 4 novembre.

Quattro novembre

Il 4 novembre 1918 terminava la I Guerra Mondiale. Con l'entrata delle truppe italiane vittoriose a Trento e Trieste, dopo quasi tre anni e mezzo di combattimenti accaniti, terminava quella che venne allora definita " la Grande Guerra ". Questo nome che, nonostante tutte le vicende e le guerre successive, è sopravvissuto fino ad oggi, a distanza di quasi un secolo, non può avere per tutti lo stesso richiamo immediato, non può provocare in tutti le stesse reazioni, le stesse sensazioni. Oggi non c'è più alcun superstite di quel conflitto né, probabilmente, c'è qualcuno che abbia un ricordo diretto di quegli avvenimenti. Tutti noi lo conosciamo, oggi, attraverso i libri, i musei, le foto, i filmati ed i più vecchi tra noi anche attraverso i ricordi, i racconti di padri e di nonni, che però non avevano sempre piacere nel ricordare quei giorni.

Di quella guerra, quindi, ne abbiamo un'idea non originale, ma mediata, diversa a seconda del mezzo attraverso il quale ce la siamo formata, diversa a seconda del nostro interesse per la storia, delle nostre convinzioni politiche, del nostro luogo di residenza a seconda anche della nostra età, per i giovani sono quasi esclusivamente i media - specie la televisione - a fornire un supporto alle schematiche nozioni che i programmi scolastici consentono.

Eppure ci dovrebbe essere - e c'è - un ricordo comune, condiviso, di quella guerra e di quella data e di ciò che hanno significato,non solo nella storia delle nostre Forze Armate, ma anche in quella della nostra patria, in definitiva in quella di tutti noi.

Quel giorno del 1918 si completò il processo dell'unificazione italiana, un processo lungo, difficile, che aveva avuto i suoi albori con l'età napoleonica e si era sviluppato nei decenni successivi attraverso cospirazioni, movimenti politici, moti rivoluzionari e guerre. Un processo che avrebbe fatto nascere, dagli otto stati pre-unitari, una nazione indipendente. Dai moti del 1820-21 a quelli del 1831, dalle insurrezioni del 1848 alla campagna dello stesso anno ed a quella dell'anno successivo, poi la II Guerra d'Indipendenza, i plebisciti, la spedizione dei Mille, l'Esercito Meridionale, l'intervento nelle Marche e nell'Umbria fino alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. E poi i successivi tasselli per completare l'unità, con la guerra del 1866 e la presa di Roma. Pur tenendo ben presente che dietro a tutti questi avvenimenti ci sono la volontà politica e le idee di politici come Cavour e Mazzini, solo per fare due nomi, ci si deve ricordare anche che tutti questi avvenimenti - ed il loro risultato finale - si sono realizzati, sul campo, grazie all'operato delle Forze Armate, volontarie e regolari nella prima fase e quasi esclusivamente regolari nella seconda.

Un ruolo, dunque, quello delle Forze Armate, fondamentale per l'unità e l'indipendenza della nazione, che si vedrà in seguito ulteriormente confermato con la I Guerra Mondiale, che all'epoca venne vista da molti come la IV Guerra di Indipendenza.

La I Guerra Mondiale, al di là degli effettivi risultati conseguiti, segnò il raggiungimento della completa unità nazionale e rappresentò il massimo sforzo collettivo mai compiuto nel nostro paese. Se il "fronte interno" resse anche nei momenti difficili, con l'opinione pubblica a sostenere l'operato del governo, le fabbriche a mantenere alti i livelli di produzione e le famiglie a sopportare i sacrifici legati alla guerra ed all'assenza degli uomini validi, lo sforzo maggiore fu sostenuto dalle Forze Armate.

Oltre cinque milioni di mobilitati, appartenenti a ben 27 classi di leva, di cui oltre quattro milioni assegnati all'esercito operante, 680.000 caduti, 270.000 mutilati, oltre un milione di feriti, 600.000 prigionieri, 64.000 dei quali morti per stenti in mano nemica, queste le cifre nude e crude e solo le foto non censurate o i cimiteri militari ci possono oggi dare un'idea, ma solo un'idea, di ciò che queste cifre rappresentano.

Morti e feriti nelle trincee del Carso, sui monti del Trentino, nei cieli, in Adriatico, o all'estero, dove pure furono impegnate le nostre truppe, in Francia, in Albania, in Macedonia, in Palestina.

In tutti questi luoghi la mobilitazione mise insieme italiani provenienti da ogni regione, da ogni provincia, appartenenti a tutte le classi sociali, con i contadini che costituivano il grosso delle fanterie e gli studenti che, inizialmente,fornivano il grosso degli ufficiali di complemento. Per tre anni e mezzo tutti questi italiani vissero e lottarono, spalla a spalla, accomunati dalle " stellette " nelle sofferenze: Sofferenze che ai nostri giorni parrebbero - ed erano - ai limiti, ed oltre, dell'umana sopportazione e che anche a quei tempi portarono a qualche caso di insubordinazione (represso con estrema decisione). Eppure, anche attraverso queste sofferenze condivise quotidianamente, nacque un nuovo sentimento di affratellamento, di condivisione, che andava al di là dello spirito di corpo e, poi, della vittoria finalmente conseguita. In quegli anni ed in quella guerra l'unificazione italiana passò dal piano meramente istituzionale a quello della condivisione di un destino. Italiani di ogni provenienza e di ogni ceto si amalgamarono.

Ecco perché il 4 novembre, nato come "Festa della Vittoria" (semplicemente "la Vittoria", per antonomasia) è con il tempo divenuta la "Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate".

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