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Pillole di storia

12 marzo 2021

Francesco Faà di Bruno – “Un Beato al servizio dell’Intelligence”


Francesco Faà di Bruno
Gran Carta del Mincio

Uno degli episodi più importanti del nostro Risorgimento è rappresentato dalla Battaglia di Novara, combattuta dall’esercito del Regno di Sardegna contro quello asburgico: anche se fu un insuccesso, “preparava i decisivi trionfi di dieci anni dopo, mentre l’esercito piemontese manteneva, pur nella sconfitta, il proprio onore e il proprio prestigio 1 . Durante la Battaglia di Novara, che rappresenta l’epilogo della Prima guerra d’indipendenza, si distinse Francesco Faà di Bruno, la cui competenza in materia di cartografia ad “uso d’intelligence” fu decisiva nelle attività belliche che seguirono, per conquistare i territori occupati dagli austriaci.

Francesco Faà di Bruno nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825, da una famiglia di ricchi nobili piemontesi ed era fratello minore di Emilio Faà di Bruno (Medaglia d'Oro al Valor Militare, morto nel 1866 nella battaglia di Lissa, durante la Terza guerra d’indipendenza); nel 1840 si arruolò nell’esercito frequentando l’Accademia Militare di Torino, completò gli studi nel 1846 con il grado di Luogotenente di Stato Maggiore. Il 23 marzo 1848, pochi giorni dopo la promulgazione dello Statuto albertino, venne dichiarata guerra all’Austria, e Francesco Faà di Bruno vi partecipò con grande fervore patriottico. Durante la Battaglia di Novara fu a fianco del giovane principe Vittorio Emanuele, futuro primo re d’Italia, del quale era ufficiale d’ordinanza. Per il coraggio da lui dimostrato sul campo di battaglia, il re Carlo Alberto, il 10 marzo 1849, lo promosse capitano.

Al giovane e rigoroso ufficiale non sfuggì il fatto che gli strateghi sabaudi, pur preparandosi da anni a invadere il Lombardo-Veneto, non possedevano alcuna carta dettagliata della zona. Francesco iniziò a disegnare la cosiddetta “Gran Carta del Mincio”, realizzata in dieci tavole, che si rivelò fondamentale anni dopo, durante le vittoriose battaglie di Solferino e San Martino, per la necessaria conoscenza dell’ambiente operativo e la localizzazione delle posizioni avversarie; in particolare vennero mappate le zone di: Desenzano, Medole, Peschiera del Garda, Volta, Pastrengo, Villafranca, Verona, Vigasio e Goito. Ciò consentì all’esercito sabaudo di sfruttare l’orografia del terreno per trarne il massimo vantaggio sull’avversario, proprio in ragione dell’acquisita conoscenza del territorio.

Francesco, sulla scorta dell’esperienza acquisita, individuò tre importanti vulnerabilità dell’esercito sabaudo. La prima era la scarsa conoscenza del territorio sul quale si operava, cosa cui pose rimedio con la costruzione della “Gran Carta del Mincio”; in secondo luogo evidenziò la mancanza di segretezza nella pianificazione delle operazioni: proprio per tale ragione, le truppe avversarie non avevano difficoltà ad anticipare le mosse dell’esercito piemontese; infine, ritenne un fattore di debolezza che le truppe piemontesi non consolidassero le posizioni conquistate durante le prime vittoriose battaglie, infatti, a differenza dell’esercito austro-ungarico, che si ritiravano presso posizioni fortificate in attesa dell’arrivo dei rinforzi, i piemontesi puntavano tutta la loro strategia sulle forze di proiezione logorandosi oltre modo. Questa modalità di condotta si rivelò infatti fatale per l’esito infausto della Prima guerra d’indipendenza.

Francesco, dopo esser stato ferito in battaglia ad una gamba, fu decorato con menzione d’onore; Vittorio Emanuele, non dimenticando mai il coraggio e il valore del suo ufficiale d’ordinanza, gli propose di diventare il tutore dei suoi figli. Tuttavia non ottenne tale incarico, in quanto era un fervente cattolico e la componente anticlericale, che gravitava intorno alla Real Casa, non lo vedeva di buon occhio come educatore.

Faà di Bruno si appassionò agli studi scientifici, iniziati in Francia alla Sorbona quando prestava servizio nell’esercito e dal quale si congeda nel 1853. L’intenso studio culminò con il conseguimento del Diploma di Dottore all’Università della Sorbona, con tutti i diritti e gli onori annessi a quel titolo onorifico. Nel 1857 pubblicò la “formula di Bruno”, ancora oggi impiegata nei calcoli informatici, e iniziò a impartire lezioni universitarie, libere e non retribuite, di analisi ed astronomia fisica. Nel 1860 venne eletto dall’Università di Torino, per acclamazione, Dottore aggregato alla facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e il 3 ottobre 1871 ne divenne insegnante fino alla sua morte. Scrisse libri tecnici di matematica, fisica, meteorologia e chimica, ammirati dai dotti d’Europa e America, che furono tradotti in francese ed in tedesco.

In quegli anni, invita le autorità ad istituire i “fornelli economici” sul modello francese, iniziativa umanitaria tesa a offrire un pasto caldo per i poveri: ne organizzò a Torino alcuni in prima persona. Istituì nel 1859 la Pia Opera di Santa Zita dove accoglieva gratuitamente le donne in cerca di servizio, curando la loro formazione, preoccupandosi di assicurarle in famiglie dai sani principi in cui dovevano essere “strumento di pace e di concordia”. Alla passione per la scienza si associò quella spirituale che culmina il 22 ottobre del 1876 quando venne ordinato sacerdote. Morì il 27 marzo 1888 a 63 anni. Il 25 settembre 1988 Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato solennemente beato.

Per i suoi meriti in ambito militare, religioso, scientifico, musicale e sociale l’Ordinario Militare, mons. Giuseppe Mani, ha eletto, nel 1996, il beato Francesco Faà di Bruno celeste Patrono presso Dio del Corpo Tecnico dell’Esercito, oggi Corpo degli Ingegneri, fissandone la celebrazione il 25 settembre di ogni anno.

1

"Storia militare del Risorgimento", Piero Pieri, Torino, Einaudi, 1962