Dopo la battaglia di arresto sul Piave e sul Grappa, a fine ’17, il fronte italiano si stabilizza per circa sei mesi. In questo periodo, sotto Diaz, l’esercito ha modo di riorganizzarsi negli uomini e negli armamenti. L’artiglieria, ad esempio, riesce a rimpiazzare i pezzi perduti dopo Caporetto.
L’Impero austro-ungarico, invece, sfuggitagli la vittoria risolutiva, comincia ad avvertire al suo interno le prime crepe. La popolazione risente degli effetti del blocco alleato con la penuria di viveri, ciò che alimenta nelle minoranze nazionali lo scontento e l’avversione per il potere centrale, che si esplicitano in ambito militare con numerosi casi di renitenza alla leva e di diserzioni sia al nemico che all’interno, fino all’ammutinamento di parte della flotta, a Spalato, nel febbraio del ’18.
L’esercito, tuttavia, è ancora solido, ma occorre servirsene finché si è in tempo per infliggere all’Italia il colpo definitivo. Il piano di attacco austriaco viene elaborato sin dal mese di marzo, ma subisce per numerose volte importanti modifiche, anche per le gelosie dei vertici militari. La versione finale, anziché concentrare gli sforzi in un solo settore, con un’azione a cuneo, prevede un’offensiva lungo un fronte di 130 chilometri, fino al mare.
L’esercito nemico dispone di 58 divisioni, 48 delle quali parteciperanno all’offensiva, con 5.000 cannoni, contro 40 divisioni italiane e 5 alleate (3 britanniche e due francesi), dotate di quasi altrettanta artiglieria, ma con altre 12 di riserva. L’obiettivo finale è lo sfondamento verso Venezia e la pianura padana così da costringere l’Italia ad uscire dalla guerra. Ai soldati, malnutriti, è fatto intravedere un ricco bottino, con la promessa, anche, di poter spedire a casa parte delle derrate alimentari.
Il Comando Supremo italiano è al corrente dell’offensiva. Disertori e servizi di informazione hanno comunicato notizie precise - si sa quando il nemico attaccherà - e stavolta ci si è adeguati. Tenendo a mente la lezione di Caporetto, Diaz munisce al massimo le linee sugli Altipiani e sul Grappa, rafforza il fondo valle dell’Astico e del Brenta e appresta un sistema difensivo non rigido sul Piave e sul Montello. La consegna per le artiglierie d’Armata è quella di controbattere se non di prevenire il fuoco avversario.
Alle 3 in punto del mattino del 15 giugno inizia il bombardamento austriaco dall’Astico al mare, anche con un limitato uso di gas lacrimogeni ed asfissianti, prontamente contrastato dal nostro fuoco di contropreparazione, che talvolta lo anticipa, mirando alle zone di radunata ed alle vie di afflusso delle fanterie nemiche, arrecando perdite non trascurabili. Alle 9 inizia l’attacco veemente dell’avversario, in particolare da parte della Divisione Edelweiss. Inizialmente questo permette alcuni guadagni territoriali sugli altopiani, prontamente contrastati con il sostegno dell’artiglieria, e sul Grappa, dove la nostra linea corre maggiori pericoli, ma entro la giornata la situazione torna sotto controllo.
Più a rischio sono le nostre linee sul Piave. Anche se il fiume è gonfio per la piena, le truppe dell’Isonzo Armée riescono ugualmente a passarlo, raggiungendo il Montello, una collina che si estende parallela al Piave, e costituendo altre due teste di ponte a Musile e a Fagarè.
Nonostante l’accorrere delle prime riserve la situazione, specie sul Montello, rimane grave. Fortunatamente la piena del fiume, il fuoco dell’artiglieria, che si concentra sui ponti gettati dal nemico, e l’intervento aereo (dopo la sua trentaseiesima vittoria, Francesco Baracca cadrà sul Montello il 21 giugno durante un mitragliamento a bassa quota) rendono difficile l’alimentazione dello sforzo offensivo e lo sfruttamento del successo iniziale delle truppe austriache, che rimangono a corto di munizioni e di viveri.
Dopo due giorni di combattimento dall’esito incerto, sul Piave, con l’afflusso di adeguate riserve inizia la controffensiva italiana. È di quei giorni la scritta comparsa su un muro diroccato di una casa di San Biagio di Callalta: “tutti eroi! o il Piave o tutti accoppiati". Gli austriaci si battono con estrema determinazione il 19 ed il 20, contrastando ferocemente i nostri attacchi.
Continua intanto la piena del fiume, già gonfio, che travolge ogni cosa specie all’altezza dei restringimenti, dove è stata gittata la maggior parte dei ponti (“e insieme ai fanti combattevan l’onde” ricorderà poi la Canzone del Piave).
Il 21, resosi conto dell’inutilità, se non dell’impossibilità, di proseguire l’azione, il comando austriaco ordina la ritirata oltre il fiume. Questa si svolge tra il 21 ed il 23 in maniera ordinata, anche se sotto la minaccia dell’artiglieria e dell’aviazione italiane, lasciando indietro, sul Montello, 6.000 uomini destinati a cadere prigionieri degli Italiani.
Il giorno 24 la seconda battaglia del Piave è terminata: per i giorni in cui si è svolta sarà chiamata da D’Annunzio “la battaglia del solstizio” e come tale è comunemente ricordata.
di Paolo Crociani