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Volume 5-6 Settembre - Dicembre 1998

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RIVELLO P. P.: Alcuni problemi della difesa d?ufficio nel procedimento penale militare.


1. Considerazioni generali. 

Un’analisi concernente la difesa d’ufficio nel procedimento penale militare deve porre a proprio fondamento la considerazione in base alla quale non appare ravvisabile alcun elemento che possa giustificare la tesi dell’inapplicabilità in tale settore del criterio, caratterizzante il disposto dell’art. 97 c.p.p., volto a tener conto, come è stato giustamente osservato, della << necessità di escludere interferenze discrezionali dell’autorità procedente allorchè si debba ricorrere al difensore d’ufficio >> [1]. 

Peraltro sono numerosi e non facilmente risolvibili i problemi attinenti alla concreta operatività di tale normativa nel contesto della specialità del rito penale militare. 

I dubbi non concernono dunque la possibilità di recepire nel procedimento innanzi agli organi della giustizia militare le disposizioni relative all’individuazione ed alla nomina del difensore d’ufficio, contenute nel codice di procedura penale, giacchè ad un eventuale quesito al riguardo, anche alla luce di considerazioni che svilupperemo tra breve, deve sicuramente essere fornita una risposta positiva. 

Bisogna invece valutare se una normativa che appare disegnata avendo come riferimento la realtà della struttura giudiziaria ordinaria sia funzionale rispetto alle peculiarità del rito militare e comunque si deve tentare di scorgere i correttivi od aggiustamenti adottabili nella pratica al fine di garantirne l’operatività presso gli uffici giudiziari militari. 

Per sostenere l’utilizzabilità del disposto dell’art. 97 c.p.p. ai procedimenti penali militari non occorre affrontare le delicate questioni connesse al difetto di coordinamento tra i due sistemi processuali. Basta infatti tener conto del principio di complementarietà, in base al quale nel processo penale militare operano le norme riguardanti il processo “comune”, con esclusione delle ipotesi in cui il codice penale militare contenga norme derogatrici [2]. 

Infatti secondo la disciplina fissata dall’art. 261 c.p.m.p. << salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai Tribunali militari >>, trovando così applicazione in virtù di un richiamo codicistico a carattere generale. 

Da tempo è venuta meno la previsione che sottoponeva la nomina del difensore d’ufficio innanzi ai tribunali militari ad una regolamentazione specifica, ispirata ad una logica palesemente distorta. Già l’art. 16 della l. 7 maggio 1981 n. 180 aveva abrogato l’art. 53 ord.giud.mil., in base al quale potevano essere designati quali difensori d’ufficio nei procedimenti militari oltre agli avvocati (e, all’epoca, ai procuratori legali) anche gli ufficiali in servizio, solo in considerazione del grado rivestito [3]. Tale norma, in quanto lesiva dell’effettiva possibilità di garantire il diritto di difesa, venne del resto dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale - relativamente ai procedimenti incardinati anteriormente a tale abrogazione - con la sent. 7 ottobre 1983 n. 320 [4]. 

In assenza di ulteriori specifiche norme derogatrici, quantomeno con riferimento ai procedimenti celebrati innanzi ai tribunali militari in tempo di pace, l’accoglimento dell’affermazione diretta a sostenere la diretta applicabilità della disciplina in tema di nomina del difensore d’ufficio fissata dal codice di procedura penale non implica l’accettazione della tesi volta a ritenere abrogate, a seguito dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, tutte le norme procedurali contenute nel codice penale militare di pace, e dunque l’intero libro terzo di tale codice. 

Ricordiamo solo a fini di puntualità espositiva che, in base ad un’analisi superficiale, a sostegno della tesi dell’abrogazione parrebbe militare il disposto dell’art. 207 delle norme di coordinamento di cui al d. lgs. 28 luglio 1989, n. 271: << le disposizioni del codice si osservano nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali, salvo quanto diversamente stabilito da questo titolo e nel titolo III >>; sembrerebbe infatti che detta norma non lasci spazio ad alcuna sopravvivenza di istituti del processo penale militare regolati in difformità dal rito comune. 

Purtuttavia un’indagine più meditata conduce a rilevare come la legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81, nel delineare il nuovo modello di sistema processuale che avrebbe dovuto essere configurato dal legislatore delegato, si occupasse esclusivamente del processo penale innanzi alla giurisdizione ordinaria, e non coinvolgesse gli organi della giustizia militare [5] . 

Ed in effetti proprio alla luce di quest’ultima considerazione va evitato ogni fraintendimento circa l’ambito di operatività dell’art. 207 norme coord. c.p.p. e, più in generale, delle altre norme di coordinamento che, nel ricondurre la spesso frammentaria disciplina processuale entro lo schema unitario del codice di procedura penale, avevano comunque come unico riferimento il processo “ordinario” [6], proprio perchè una diversa impostazione, volta ad occuparsi anche delle disposizioni contenute nei codici penali militari, avrebbe finito per travalicare l’ambito concesso dalla legge - delega, traducendosi dunque in uno sconfinamento della stessa delega [7].

2. I problemi operativi derivanti dalla palese difformità tra l’ambito delle circoscrizioni degli uffici giudiziari militari e quello dei circondari dei tribunali ordinari. 

Abbiamo rilevato come anche nel rito penale militare non si possa prescindere dalle indicazioni offerte dal disposto dell’art. 97 c.p.p., il cui secondo comma stabilisce che il consiglio dell’ordine forense, al fine di garantire l’effettività della difesa di ufficio, deve predisporre gli elenchi dei difensori e, d’intesa con il presidente del tribunale, fissare i criteri per la loro nomina sulla base di turni di reperibilità. 

Grazie a tale meccanismo la nomina del difensore d’ufficio da parte del giudice, del pubblico ministero o della polizia giudiziaria può ridursi ad un atto meramente ricognitivo delle generalità del difensore individuato alla luce dei predetti criteri. 

Peraltro l’assenza di una regolamentazione specifica, volta a coniugare l’osservanza della regolamentazione prevista dalla normativa “comune” con la presa d’atto di talune connotazioni del procedimento celebrato innanzi agli organi della giustizia militare, determina indubbie difficoltà. 

Il problema del resto non potrebbe essere superato neppure laddove, con un’arbitraria deroga al dettato letterale, si sostenesse che nel caso in esame l’ “intesa” nella fissazione dei criteri di nomina debba intercorrere direttamente fra il consiglio dell’ordine forense ed il presidente del tribunale militare. 

Nella realtà il meccanismo delineato dall’art. 97 c.p.p., a causa di una serie di concreti ostacoli, non può essere automaticamente trasfuso e recepito nella sua integralità in un modello procedimentale quale quello che caratterizza il rito militare. 

Ogni tribunale militare ha un’area di competenza territoriale estremamente vasta, ed ingloba pertanto nella sua circoscrizione moltissimi circondari “ordinari” [8]. 

Facendo un esempio, nel caso del Tribunale militare di Torino a rigore si dovrebbe sostenere la tesi secondo cui i Consigli dell’ordine forense di Torino, Milano, Genova e degli altri circondari ricompresi nell’ambito di competenza di detto organo giudiziario sarebbero tenuti a fornire distinti elenchi di difensori d’ufficio. Tuttavia si avrebbero in tal caso degli elenchi inutilmente sovrabbondanti e di difficile formazione. 

Nella realtà è stata adottata da molti tribunali militari una soluzione empirica: ritornando all’esempio proposto solo il Consiglio dell’ordine forense di Torino predispone gli elenchi dei difensori d’ufficio innanzi agli uffici giudiziari militari di tale città. 

E’ evidente peraltro come tale criterio finisca con il precludere, relativamente ai procedimenti penali militari, la possibilità di inserimento nell’elenco dei difensori d’ufficio di buona parte degli avvocati, in quanto esclude tutti quelli che esercitano la loro attività professionale in città che non sono sedi di un tribunale militare [9]. 

D’altra parte non appare applicabile il combinato disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 29 norme att. c.p.p. Ai sensi del comma 6 di tale norma nel caso di mancanza o inidoneità della tabella << provvede l’autorità giudiziaria, nell’ambito dell’elenco indicato nel comma 1 e, se anche questo manca o è inidoneo, in base agli albi professionali ovvero designando il presidente o un membro del consiglio dell’ordine fornse >>. A sua volta il successivo comma 7 stabilisce che quando il difensore d’ufficio è designato fuori dell’ambito o dell’ordine della tabella, l’autorità giudiziaria deve indicare le ragioni nell’atto di designazione, informandone il presidente del tribunale e il presidente del consiglio dell’ordine forense. Ritornando all’esempio fatto, qualora un difensore appartenente all’Ordine degli Avvocati di Milano chieda di essere nominato difensore d’ufficio dinanzi agli uffici giudiziari del tribunale militare di Torino, il cui circondario ricomprende anche Milano, non sembra agevole sostenere che l’autorità giudiziaria possa aderire alla richiesta, informandone poi il presidente del Consiglio dell’Ordine forense del tribunale di Torino. 

Va infatti osservato come la regolamentazione fissata dal comma 6 dell’art. 29 norme att. c.p.p. sia stata introdotta al fine di ovviare alle ipotesi di mancanza o di inidoneità delle tabelle da parte di un Consiglio dell’Ordine forense, mentre il successivo comma 7 si occupa della situazione in cui, pur in presenza di tabelle regolarmente formate, l’autorità giudiziaria intenda derogare ai criteri ivi stabiliti; nessuna di tali evenienze è configurabile nel caso in esame, ove le difficoltà discendono dal fatto che l’elenco dei difensori d’ufficio predisposto da ogni Consiglio dell’Ordine forense interessa un circondario che abbraccia solo una minima parte del territorio di competenza di un tribunale militare. 

Nè avrebbe alcun significato la segnalazione volta a comunicare che l’autorità giudiziaria militare ha proceduto a designare quale difensore d’ufficio un avvocato iscritto ad un altro ordine forense, giacchè in tal caso non saremmo in presenza di una deroga, più o meno giustificata, al ricorso all’elenco dei difensori di ufficio, ma all’utilizzo di un elenco predisposto da un altro consiglio dell’ordine, relativamente ad un circondario che peraltro rientra nell’ambito della circoscrizione del tribunale militare. 

La dottrina che si è espressamente occupata delle problematiche derivanti dalla mancanza di una disciplina di raccordo volta a tener conto delle peculiarità dell’apparato giudiziario militare ha evidenziato, con riferimento alla formazione degli elenchi dei difensori d’ufficio, la sussistenza di notevoli disagi dal punto di vista operativo [10], giungendo ad affermare che << forse l’inerzia legislativa rispetto al processo militare non è superabile con operazioni ermeneutiche >> [11], e sottolineando giustamente come << senza un intervento legislativo, il problema non sembra suscettibile di logica soluzione >> [12]. 

In effetti in tal caso le varie operazioni interpretative finiscono inevitabilmente con l’assumere un contenuto “creativo” del tutto inammissibile ed arbitrario. 

Va rilevato come la questione abbia costituito oggetto di un apposito quesito al Consiglio della magistratura militare, che ha fornito peraltro una risposta sostanzialmente deludente. 

Era infatti stato richiesto al C.M.M. se << in virtù dell’art. 29 disp. att. c.p.p., innanzi al Tribunale Militare, quale giudice speciale avente competenza su una circoscrizione più ampia di quella del tribunale ordinario della stessa sede, possa essere inserito nell’elenco dei difensori di ufficio un avvocato non appartenente al foro locale ma ad un altro foro, comunque ricompreso nella circoscrizione del Tribunale Militare >>. 

Il caso specifico che aveva dato vita al quesito era il seguente: il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Nocera Inferiore aveva trasmesso al Tribunale militare di Napoli un elenco dei difensori, iscritti nel relativo albo, disponibili ad assumere le difese di ufficio davanti agli uffici giudiziari militari. Il Presidente del Tribunale militare di Napoli, con missiva inviata a detto Consiglio dell’Ordine, affermò invece che potevano essere nominati difensori di ufficio presso detto Tribunale solo gli avvocati appartenenti al Foro di Napoli, dovendosi dunque escludere quelli iscritti presso Ordini forensi di altre sedi della Campania. 

A sostegno di tale conclusione venne addotta l’esigenza di << non gravare l’Erario o l’imputato con le spese di trasferta >> del difensore di ufficio e fu ricordato che, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., il difensore di ufficio va designato solo fra quelli del Foro locale, dovendosi intendere come tale, nel caso di specie, il foro di Napoli. 

In contrapposizione rispetto a queste affermazioni uno dei professionisti interessati alla vicenda, appartenente all’Ordine degli Avvocati di Nocera Inferiore, obiettò che così si finiva per trascurare le peculiarità della giurisdizione militare, e non si teneva conto del fatto che, avendo il tribunale militare di Napoli una competenza comprensiva anche della Provincia di Salerno, non vi era alcuna effettiva giustificazione all’esclusione dall’elenco dei difensori di ufficio di professionisti che facevano parte dell’Ordine forense del circondario di Nocera Inferiore e che avevano assicurato la loro disponibilità a prestare il proprio patrocinio innanzi agli uffici giudiziari militari. 

Su tale questione è intervenuto in maniera insoddisfacente, come già accennato, il Consiglio della magistratura militare, con la deliberazione del 12 settembre 1995 [13]. In primo luogo è stato sottolineato dall’organo di autogoverno della magistratura militare che il disposto dell’art. 29 norme att. c.p.p. risulta ispirato al << criterio formale dello stretto collegamento fra il tribunale ed il Consiglio dell’ordine forense dello stesso circondario >>. 

Tale affermazione peraltro varrebbe semmai a dimostrare la difficoltà di applicazione di detta norma nel rito penale militare ove, proprio in considerazione della diversa ampiezza territoriale dei tribunali militari, simile collegamento non sussiste. 

Più significativo e degno di attenzione è semmai l’ulteriore passaggio argomentativo sviluppato dal C.M.M., volto ad evidenziare, ai fini in esame, una correlazione fra le esigenze del Tribunale militare e quelle della Corte d’appello ordinaria. Si è infatti puntualizzato che gli elenchi e le tabelle predisposte ai sensi dell’art. 29 norme att. c.p.p. devono essere trasmessi anche alla Corte d’appello << senza che alcun rilievo possano assumere le tabelle predisposte dai consigli forensi di altri circondari del medesimo distretto o addirittura, come nel caso di specie, dai consigli forensi di altri distretti >>. 

I componenti del C.M.M. hanno pertanto concluso che << la situazione del tribunale militare, a causa della maggiore ampiezza della sua circoscrizione rispetto a quella del tribunale ordinario, appare assimilabile, sotto lo specifico profilo, a quella della Corte d’Appello: anche per tale via si conferma che per detto ufficio giudiziario militare debbano valere solo l’elenco e la tabella predisposti dal locale consiglio forense >>. 

Ma si sarebbe dovuto tener conto da un lato del fatto che innanzi alla corte d’appello, in virtù del principio dell’immutabilità del difensore d’ufficio, presta il proprio patrocinio l’avvocato già designato nella fase precedente e dall’altro che le esigenze, dal punto di vista delle difese di ufficio, di un organo di primo grado sono profondamente diverse rispetto a quelle della corte d’appello. 

Si pensi in particolare al problema dei numerosi interrogatori delegati alla polizia giudiziaria, da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 370 c.p.p., che talvolta devono essere effettuati in località molto lontane dalla sede del tribunale militare. 

In questo caso, ove non avrebbe senso sostenere che la polizia giudiziaria sia tenuta a designare quale difensore d’ufficio un professionista iscritto negli elenchi predisposti dal Consiglio dell’ordine forense della città ove è ubicato il tribunale militare, si opera nella realtà in modo diverso e più razionale, e cioè mediante il ricorso agli elenchi predisposti dal Consiglio dell’ordine forense del luogo ove l’atto deve essere espletato. 

Va osservato tuttavia come il difensore così designato si vedrebbe poi costretto, nella successiva fase processuale, a prestare la sua assistenza, per la celebrazione dell’udienza preliminare e poi del dibattimento, presso una sede giudiziaria esterna rispetto al circondario del proprio ordine forense. 

Per ovviare a quest’ultimo problema appare estremamente razionale la soluzione accolta ad esempio dal Consiglio dell’ordine forense di Torino che, constatato come l’adempimento da parte del difensore d’ufficio degli incombenti processuali connessi all’espletamento del mandato al di fuori del circondario di appartenenza spesso risulti particolarmente oneroso, costringendo il professionista a lunghe e costose trasferte, ha deliberato, in data 1° giugno 1998, che gli avvocati nominati difensori d’ufficio per un atto da compiersi in una località compresa nel circondario di un altro Tribunale possano chiedere di essere sostituiti da un collega, appartenente al circondario del Tribunale del luogo in cui deve svolgersi l’atto, che risulti di turno nel giorno in cui viene espletato l’atto. 

La questione tuttavia, per quanto concerne gli organi giudiziari militari, è assai più generale e complessa, a prescindere dalla possibilità di singoli interventi volti ad attenuare i disagi più evidenti, ed attiene alla necessità di dover fare riferimento all’art. 29 norme att. c.p.p. che, come già accennato, appare disegnato per un contesto giudiziario nettamente differente; del resto << nella filosofia del “delegato” alla redazione delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. un dato risulta palese: quello - appunto - della neutralità degli interventi rispetto al codice penale militare di pace >> [14].

3. Le tesi volte a sostenere l’opportunità di predisporre meccanismi atti a garantire che l’elenco dei difensori d’ufficio tenga conto della specificità della materia costituente oggetto dei processi penali militari. 

A prescindere dai problemi sovraesposti, l’utilizzo nei processi celebrati innanzi all’autorità giudiziaria militare degli stessi elenchi formati in riferimento ai procedimenti “ordinari” potrebbe senza dubbio accentuare il rischio, comunque immanente, che il difensore d’ufficio, lungi dall’essere l’ “io formale dell’accusato”, il “suo orecchio e la sua bocca giuridica” [15], si limiti ad una presenza meramente formale [16]. 

E’ logico supporre che, in assenza di elenchi differenziati, un difensore nell’esprimere la propria disponibilità ad assumere le difese d’ufficio non valuti la possibilità di essere chiamato a patrocinare innanzi ad un tribunale militare, in un contesto giudiziario spesso a lui del tutto ignoto. 

Fatti salvi i casi di professionisti particolarmente scupolosi, chi si trovi di fronte alla necessità di patrocinare innanzi ad un tribunale militare, per effetto della sua inclusione nell’elenco dei difensori d’ufficio, ritenendo che ben difficilmente dovrà reiterare una simile esperienza, risulta assai poco incentivato a quell’approfondimento della materia che costituirebbe un presupposto essenziale per garantire una difesa davvero efficace. 

Del resto l’individuazione dei patrocinanti davanti all’autorità giudiziaria militare, effettuata sulla base di elenchi di professionisti che nel manifestare la disponibilità ad assumere le difese d’ufficio avevano inteso fare riferimento ai procedimenti di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, può essere considerata alla stregua di una designazione autoritativa, non ricollegabile ad alcuna specifica dichiarazione di consenso da parte dei professionisti interessati, e non rappresenta certo la premessa migliore per veder effettivamente garantita l’assistenza difensiva. 

Oltretutto tale assistenza nei processi penali militari spesso dovrebbe essere espletata tenendo conto della necessità di accertare la verificazione di una serie di situazioni di carattere amministrativo, direttamente incidenti sulle sorti processuali (si pensi alla posizione matricolare dell’imputato in relazione ai reati di assenza, quali la mancanza alla chiamata o la diserzione); una simile necessità può non essere ravvisata da un avvocato che, non avendo mai avuto occasione in passato di occuparsi di reati militari, verosimilmente si asterrebbe dal compiere tutta una serie di attività, aventi una valenza non strettamente giuridica ma tuttavia di estrema importanza in un contesto quale quello in esame, anche alla luce dei loro riflessi sulle sorti del processo; si pensi all’opera di sollecitazione nei confronti di un militare in stato di perdurante assenza, diretta a prospettare i vantaggi derivanti dalla immediata ripresentazione al Reparto; si pensi parimenti all’opportunità di un accertamento concernente l’eventuale sussistenza dei presupposti per un provvedimento di dispensa. 

Nel processo penale militare, al pari di quanto avviene con riferimento al procedimento minorile, un difensore non può infatti evitare di confrontarsi con una serie di problematiche più vaste, concernenti la complessiva posizione del suo assistito. 

Va osservato che nei procedimenti penali militari concernenti reati di non eccessiva gravità, quali ad esempio i delitti di assenza, i soggetti, nella carenza di un’idonea difesa tecnica, spesso non riescono neppure a comprendere esattamente di essere di fronte ad un meccanismo giudiziario, giacchè confondono il procedimento disciplinare innanzi all’Autorità militare con l’instaurazione del procedimento penale, e quindi sottovalutano le conseguenze derivanti da un’eventuale pronuncia di condanna; solo un’adeguata attività di consulenza da parte del legale può permettere all’imputato di valutare esattamente la propria posizione. 

Con riferimento alla difesa di militari “di carriera”, il legale dovrebbe invece essere in grado, ad esempio, di prospettare compiutamente all’interessato se, alla luce dei riverberi sullo stato di servizio, possa o meno essere ritenuta conveniente l’opzione per un determinato rito alternativo. 

A titolo di esempio paradigmatico va ricordato che proprio per scongiurare il pericolo di un’assistenza non adeguata, inidonea a sviluppare tutte le potenzialità connesse all’esercizio della funzione difensiva, a causa della specificità della materia costituente oggetto del giudizio e della sua mancata conoscenza da parte del professionista, il legislatore ha introdotto nel rito minorile una apposita previsione; infatti ai sensi dell’art. 11 disp. proc. min. << fermo quanto disposto dall’articolo 97 del codice di procedura penale, il consiglio dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto minorile >>. 

In tal modo, come è stato puntualmente rilevato, si è inteso assicurare << una effettiva e specifica preparazione e professionalità di tutti i soggetti istituzionali che operano nel processo minorile >> [17]. 

Nella sostanziale incertezza che avvolge gli istituti del processo penale militare, a causa della già lamentata mancanza di una normativa di coordinamento, taluno ha creduto di poter ravvisare nelle disposizioni sul procedimento minorile un significativo spunto di raffronto, sostenendo che quelle stesse esigenze di specifica preparazione evidenziate da tale normativa dovevano valere anche con riferimento ai procedimenti celebrati innanzi agli organi della giustizia militare. 

Conseguentemente presso alcune sedi di tribunali militari sono stati predisposti dei cicli di lezioni o conferenze concernenti il diritto e la procedura penale militare, e si è previsto che solo i frequentatori di tali corsi potessero chiedere l’inserimento negli elenchi dei difensori d’ufficio innanzi agli organi giudiziari militari, sull’esempio di quanto stabilito dal disposto dell’art. 15 commi 2 e 4 del d. lgs. 272/1989. 

Va infatti ricordato che, in base al secondo comma del predetto art. 15, si considera in possesso di una specifica preparazione, ai sensi dell’art. 11 del d.p.r. 448/1988, chi abbia frequentato corsi di perfezionamento e aggiornamento per avvocati nelle materie attinenti il diritto minorile. 

Il quarto comma della norma prevede che il Consiglio dell’Ordine forense dove ha sede il Tribunale per i minorenni, d’intesa con il Presidente del Tribunale per i minorenni e con il Procuratore della Repubblica per i minorenni, debba organizzare annualmente corsi di aggiornamento per avvocati nelle materie attinenti il diritto minorile. 

Peraltro il Consiglio della magistratura militare ha espresso un parere contrario nei confronti delle iniziative volte ad estendere tale meccanismo con riferimento agli uffici giudiziari militari, sottolineando come esse prescindano da ogni effettivo aggancio normativo, nulla essendo stabilito sul punto per quanto concerne la giustizia militare. 

Del resto il problema non è tanto quello di garantire che i difensori d’ufficio risultino aggiornati sulle tematiche concernenti il diritto penale militare, potendo detto aggiornamento essere comunque realizzato autonomamente da ogni singolo professionista, e non essendo la conoscenza del diritto penale militare più ostica rispetto a quella di altri settori del diritto penale; la vera esigenza consiste invece nel garantire che la difesa d’ufficio costituisca anche in tal caso il frutto di una libera scelta dell’interessato, e non rappresenti l’imprevista conseguenza derivante dal fatto che un soggetto, magari ignaro della stessa esistenza dei tribunali militari, abbia chiesto di essere inserito negli elenchi, pensando di dover patrocinare soltanto davanti agli organi della giustizia ordinaria. 

Una soluzione a tale questione, indubbiamente rilevante, sembra scaturire dal disposto dell’art. 29 terzo comma norme att. c.p.p., laddove si prevede la possibilità di fissazione di una tabella << differenziata per i diversi uffici giudiziari >>. 

Al riguardo appare significativo il Parere espresso dal Consiglio della magistratura militare, con deliberazione del 5 marzo 1996 [18]. L’organo di autogoverno della magistratura militare, chiamato ad esprimersi, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.p.r. 24 marzo 1989, n. 158, sul disegno di legge, d’iniziativa dei senatori Manis ed altri, comunicato alla Presidenza del Senato il 2 agosto 1995, avente ad oggetto “ Norme di coordinamento tra il codice di procedura penale e la legislazione penale militare di pace”, ha valutato negativamente il dettato dell’art. 2 di tale disegno di legge che, al fine di permettere il funzionamento della giustizia militare, prevedeva l’istituzione di un albo specializzato dei difensori di ufficio innanzi agli organi giudiziari militari, mediante il rinvio alle disposizioni che regolano la materia con riguardo al tribunale dei minorenni, e cioè al già citato art. 11 del d.p.r. 448/1988 ed all’art. 15 commi 2 e 4 del d.lgs. 272/1989. 

E’ stato infatti sottolineato che, ai fini del patrocinio innanzi agli uffici giudiziari militari, l’attenzione non deve essere focalizzata sulla necessità di una “specifica preparazione” in diritto penale militare, assimilabile a quella in diritto minorile e desumibile tra l’altro dalla frequenza a determinati corsi di perfezionamento e aggiornamento. 

Si è invece rilevato che poteva ritenersi adeguato il metodo << che, a quanto risulta, viene comunemente adottato presso gli ordini forensi, di inserire negli albi dei difensori di ufficio per gli uffici giudiziari militari i professionisti che a tal fine abbiano presentato istanza o manifestato disponibilità >>. 

Risulta così garantita l’esigenza che l’attività svolta dal difensore d’ufficio innanzi agli organi della giustizia militare costituisca la conseguenza di una preventiva libera scelta del professionista.

4. L’individuazione del difensore d’ufficio innanzi ai tribunali militari aventi una competenza territoriale estesa ad aree ove risultano insediate delle minoranze linguistiche riconosciute. 

Estremamente disagevole appare altresì l’applicazione nel rito militare della normativa concernente l’individuazione del difensore d’ufficio nelle ipotesi delineate dall’art. 109 comma 2 c.p.p., in cui il procedimento si svolge innanzi ad un’autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta e l’imputato faccia parte di detta minoranza. 

In base all’art. 26 comma 2 norme att. c.p.p., qualora ciò serva ad assicurare l’effettività della difesa, l’autorità giudiziaria nell’individuare l’avvocato di ufficio o nel designare il sostituto a norma dell’art. 97 comma 4 c.p.p. deve tener conto dell’appartenenza etnica o linguistica dell’imputato. 

Si è osservato, nell’esaminare il disposto dell’art. 26 norme att. c.p.p., che tale disposizione << per la prima volta garantisce un diritto all’assistenza del difensore commisurato alle ‘esigenze linguistiche’ dell’interessato >> [19]; questa garanzia si affianca così alla tutela di natura “autodifensiva” già predisposta dal codice di rito per quanto riguarda l’uso della lingua minoritaria. 

In ordine all’individuazione del difensore d’ufficio nei procedimenti relativi ad appartenenti a minoranze linguistiche il secondo comma del citato art. 26 [20] mira infatti ad << assicurare l’effettività della difesa >> [21], conformemente al dettato dell’art. 2, direttiva n. 105, legge-delega c.p.p., garantendo un rapporto davvero “sintonico” tra il difensore ed il proprio assistito [22]. 

Proprio per questo è stato disposto dal legislatore che l’autorità giudiziaria debba tener conto dell’appartenenza etnica o linguistica dell’imputato, non essendo sufficiente in tal caso il rispetto dell’art. 29 comma 6 norme att. c.p.p., volto a prevedere che l’avvocato di ufficio sia individuato sulla base di tabelle di difensori all’uopo predisposte. 

Peraltro in ordine al rito penale militare appare evidente come ad esempio non possa essere interamente recepito, nel suo dettato letterale, il disposto codicistico volto a fare riferimento all’autorità giudiziaria avente competenza nel grado di appello su un territorio ove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta. 

Bisogna infatti ricordare che, ai sensi dell’art. 3 della l. 7 maggio 1981 n. 180 la Corte militare d’appello è unica su tutto il territorio nazionale, ed ha sede in Roma, mentre quelle di Verona e di Napoli sono semplicemente due sezioni distaccate della stessa Corte [23]. 

Per quanto concerne il giudizio di primo grado va osservato come anche in tal caso insorgano difficoltà nei procedimenti militari. Infatti, mentre innanzi agli uffici giudiziari ordinari di Bolzano è agevole l’individuazione, all’interno dell’apposito elenco, di difensori appartenenti alla minoranza linguistica tedesca, o comunque aventi perfetta conoscenza di tale idioma, e lo stesso vale, rispetto alla lingua francese, per l’area della Val d’Aosta, cosicchè appare immediato il reperimento di un difensore d’ufficio idoneo, anche dal punto di vista linguistico, a garantire l’effettività della difesa, gli organi giudiziari militari utilizzano invece generalmente gli elenchi dei difensori d’ufficio formati da consigli degli ordini forensi situati presso sedi di Tribunali ordinari nel cui circondario non sono allocate minoranze linguistiche. 

Tanto per fare un esempio, innanzi al tribunale militare di Verona, la cui circoscrizione ricomprende anche la provincia di Bolzano, caratterizzata dalla presenza della minoranza etnica di lingua tedesca, vengono designati a difensori d’ufficio gli avvocati menzionati nell’elenco formato dal consiglio dell’ordine forense di Verona, con riferimento dunque ad un circondario ove, non essendovi minoranze linguistiche, non v’è ragione per prevedere espressamente l’inserimento di professionisti idonei, per le loro capacità linguistiche, ad occuparsi delle difese concernenti gli appartenenti a dette minoranze. 

Nè potrebbe certo sostenersi che il problema della tutela linguistica di tali minoranze risulti irrilevante nel processo penale militare; l’applicabilità dell’art. 109 comma 2 c.p.p. anche innanzi agli organi giursdizionali militari è stata infatti confermata recentemente dalla stessa Corte costituzionale, con la sent. n. 213 del 1998 [24]. 

Al contempo, non sembra neppure pienamente soddisfacente la soluzione in base alla quale i tribunali militari competenti territorialmente su aree ove risultano insediate delle minoranze linguistiche dovrebbero ricorrere agli elenchi formati presso le sedi dei tribunali ordinari nei cui circondari sono ubicate dette minoranze; in tal modo, per quanto concerne la minoranza linguistica francese, il tribunale militare di Torino dovrebbe ricorrere agli elenchi formati dal consiglio dell’ordine forense di Aosta; il tribunale militare di Verona, relativamente alla minoranza etnica di lingua tedesca, a quelli predisposti dal consiglio dell’ordine di Bolzano; il tribunale militare di Padova, per la minoranza slovena, agli elenchi formati dai consigli dell’ordine forense di Trieste e di Gorizia. 

L’utilizzazione di tali elenchi, oltre a comportare un indubbio disagio per i professionisti così designati, costretti a lunghi spostamenti dal luogo ove esercitano la propria normale attività professionale, imporrebbe comunque il ricorso all’opera di avvocati che non hanno espresso la loro disponibilità a patrocinare innanzi agli uffici giudiziari militari.

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[1] G. FRIGO, Sub art. 97 c.p.p., in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio - O. Dominioni, vol. I, Milano, 1989, p. 625. 

[2] Sulla portata di tale principio cfr. V. GARINO, I tribunali militari e il nuovo codice di procedura penale, in Riv. Guardia di Finanza, 1990, p. 45 e 46; G. RICCIO, Premesse metodologiche e linee d’indirizzo per l’applicazione e la riforma della legge processuale penale militare, in Rass. giust. mil., 1991, p. 176; P.P. RIVELLO, Profili di procedura penale militare, Torino, 1995, p. 38; ID., Il processo penale militare nell’impatto con il codice del 1988, in Giust. pen., 1990, III, c. 614. 

[3] Per un’analisi della previgente disciplina concernente la difesa dell’imputato nel processo penale militare v. R. VENDITTI, Il processo penale militare, IV Ed., Milano, 1997, p. 70 ss. 

[4] Corte cost., sent. 7 ottobre 1983, n. 320, in Rass. giust. mil., 1983, p. 586. Va sottolineato come la Corte costituzionale avesse così ribaltato la propria precedente impostazione, con cui era stata dichiarata infondata l’eccezione concernente la legittimità della normativa volta a prevedere la figura dei difensori-militari: v. Corte cost., 22 giugno 1963, n. 108, in Giur. cost., 1963, p. 352, con nota critica di JEMOLO, In tema di limitazione del patrocinio nel processo penale. Bisogna altresì ricordare che, in caso di guerra, dovrebbe invece operare il disposto dell’art. 90 r.d. n. 1022 del 1941 (ordinamento giudiziario militare di guerra). Detta norma dispone che innanzi ai tribunali militari territoriali il difensore possa essere scelto, oltre che tra gli avvocati, tra gli ufficiali presenti nel luogo ove ha sede il tribunale; davanti ai tribunali diversi da quelli territoriali la scelta deve essere necessariamente limitata all’ambito degli ufficiali in servizio. Risulta palese come in tal modo non sia affatto garantita la competenza tecnica, dal punto di vista giuridico, del difensore-ufficiale. Per ulteriori considerazioni al riguardo si rinvia a V. GARINO, voce Difesa (diritto di) nel diritto processuale penale militare, in Dig. disc. pen., vol. III, Torino, 1989, p. 496. Vanno comunque pienamente condivise le osservazioni di R. VENDITTI, Il processo penale militare, cit., p. 73, laddove si rileva che, sebbene la sentenza costituzionale n. 320 del 1983 non abbia ricompreso nella pronuncia di illegittimità il disposto del citato art. 90, << le considerazioni svolte dalla Corte in quella sentenza valgono a far ritenere per certo che anche la normativa di guerra in tema di difesa dell’imputato sia in contrasto con l’art. 24 Cost. >>. 

[5] V. in tal senso E. MARZADURI, Sub art. 207 disp. coord. c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, La normativa complementare, vol. II, Torino, 1992, p. 19 ss.; G. RICCIO, Premesse metodologiche, cit., p. 163 ss., il quale in particolare osserva (ivi, p. 173 e 174) che << se si è stimata necessaria una delega specifica per la riforma del rito minorile (art. 3 L. 8/87), che pure è ordinario, a maggior ragione non avrebbe potuto mancare espressa delega per la riforma del rito speciale militare >>; analogamente P.P. RIVELLO, Il processo penale militare nell’impatto con il codice del 1988, cit., c. 616 ss.; R. VENDITTI, Il processo penale militare, cit., p. 49 ss. 

[6] E. LEMMO, Introduzione alle norme di coordinamento e transitorie, in Il nuovo codice di procedura penale, a cura di G. CONSO - V. GREVI - G. NEPPI MODONA, vol. II, Tomo II, Padova, 1989, p. 11, così osserva: << il testo delle norme di coordinamento rappresenta il punto d’incontro di ... diverse esigenze. Anzitutto, quella di restituire al codice di procedura penale, dato il tempo trascorso dalla precedente codificazione, il ruolo che storicamente gli compete di inglobare l’intera disciplina del processo penale davanti all’autorità giudiziaria ordinaria (corsivo nostro), ruolo seriamente compromesso dalle numerose leggi speciali intervenute >>. 

[7] Cfr. E. LEMMO, op. cit., p. 13; a sua volta G. RICCIO, Premesse metodologiche, cit., p. 173, osserva che << l’argomento principe >> volto a comprovare la tesi dell’estraneità dell’art. 207 norme coord. c.p.p. rispetto alle previsioni del codice penale militare di pace è rappresentato proprio dalla << mancanza di delega al Governo anche per la riforma di questo codice o, almeno, della sua parte processuale >>; viene infatti sottolineato che in base ai princìpi costituzionali << l’intera disciplina della legge delegata deve risultare dalla legge di delega >>, risultando inammissibili deleghe “tacite” o “presunte”. 

[8] Va ricordato che le circoscrizioni degli uffici giudiziari militari sono indicate nella tabella allegata al d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 199. La circoscrizione del tribunale militare di Torino abbraccia tutte le province del Piemonte, nonchè la Valle d’Aosta ed alcune province della Lombardia e della Liguria, e precisamente Bergamo, Como, Cremona, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Genova ed Imperia; il tribunale militare di Verona ricomprende le province di Belluno, Bolzano, Brescia, Mantova, Trento, Verona; le altre province del Veneto e quelle del Friuli sono invece ricomprese nella competenza del tribunale militare di Padova; il tribunale militare di La Spezia, oltre ad Ancona, Pesaro e la stessa La Spezia si estende alle province dell’Emilia Romagna e della Toscana; il tribunale militare di Roma ricomprende le province del Lazio, dell’Umbria, dell’Abruzzo e le province delle Marche non rientranti nell’area di competenza del tribunale militare di La Spezia; il tribunale militare di Napoli abbraccia, oltre a tutte le province della Campania, quelle di Campobasso, Catanzaro, Cosenza, Isernia e Potenza; il tribunale militare di Bari ricomprende le province della Puglia, nonchè Matera; il tribunale militare di Palermo quelle siciliane, oltre a Reggio Calabria. Il tribunale militare di Cagliari è competente territorialmente per le province della Sardegna. 

[9] Cfr., volendo, P.P. RIVELLO, Profili di procedura penale militare, cit., p. 43; ID., Il processo penale militare nell’impatto con il codice del 1988, cit. , c. 621; nonchè R. VENDITTI, Il processo penale militare, cit., p. 72. 

[10] G. RICCIO, Premesse metodologiche, cit., p. 167. 

[11] G. RICCIO, Premesse metodologiche, cit., p. 178. 

[12] R. VENDITTI, Il processo penale militare, cit., p. 72. 

[13] Il testo di tale deliberazione è riportato in Notiziario C.M.M., 1995, n. 3/4, p. 38 ss. 

[14] G. RICCIO, Premesse metodologiche, cit., p. 172. 

[15] G. BELLAVISTA, Voce Difesa giudiziaria penale, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, p. 458. 

[16] Sulla sussistenza di tale rischio v. per tutti G. FRIGO, Sub art. 97 c.p.p., cit., p. 624. 

[17] Rel. prog..prel. proc. min., in Gazz. uff., 24 ottobre 1988, n. 250, Suppl.ord. n. 2, p. 210. 

[18] Il testo di tale parere è riportato in Notiziario C.M.M., 1996, n. 1/2, p. 27 ss. 

[19] G. ROSSETTO, Sub art. 26 norme att. c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, cit., La normativa complementare, vol. I, Norme di attuazione, Torino, 1992, p. 98. 

[20] Tale comma, concernente la difesa d’ufficio, è stato definito << speculare >> rispetto al comma precedente, relativo alla difesa d’ufficio: v. al riguardo Oss. gov. prog. prel. norme att. c.p.p., in Doc. giust., 1990, n. 2-3, p. 46. 

[21] Cfr. G.P. VOENA, Atti, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. Conso - V. Grevi, IV Ed., Padova, 1996, p. 132. 

[22] G. ROSSETTO, Sub art. 26, cit., p. 100. 

[23] V. l’analisi di R. VENDITTI, Il processo penale militare, cit., p. 133. 

[24] Corte cost., sent. 19 giugno 1998 n. 213, in Gazz. uff., I Serie speciale, 1° luglio 1998, n. 26, p. 17.

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