Rilievo dall’indubbio fondamento, ma che sta in piedi e cade a seconda che se ne accolgano o si respingano le premesse donde ripete ragion d’essere e giustificazione logica. Ed a questo punto dovrebbe essere chiaro che quella supposta deroga al fondamentale canone di non punibilità dell’accordo infruttuoso ha fisionomia diversa da quella che per solito le si accredita, come confermato dalla già sottolineata inclusione dei fatti penalmente irrilevanti nell’oggetto dell’accordo.
Tiriamo le fila di quanto sopra evidenziato.
Se la collusione si trasforma in accordo, essa perde per strada buona parte dei suoi caratteri di tipicità e, nell’ineludibile aggancio a qualsiasi illecito scopo, e non solo a quelli costituenti reato, fuoriesce dall’ambito della deroga al fondamentale principio espresso dall’articolo 115 del codice penale.
Non ha alcun senso prevedere l’autonoma, incisiva, punibilità dell’accordo culminato nel delitto finanziario e nel contempo configurare come delitto con identica oggettività – e sottoporlo ad identica pena – anche il solo ed esclusivo fatto di accordarsi per commettere un diverso illecito finanziario. Se questo fosse realmente l’intento della norma, avremmo a che fare con qualcosa d’inutile e paradossale; inutile, perché sarebbe stato molto più semplice elevare a contenuto del reato previsto dalla prima parte del citato articolo 3 qualsiasi illecito finanziario, e non soltanto quelli costituenti delitto, posto che in ogni caso sarebbe stato garantito il risultato di un più severo statuto penale per l’ipotesi di una qualsiasi violazione fiscale realizzata in concorso con il militare della guardia di finanza; paradossale perché, a muoversi in tale ordine di idee, ne deriva che l’accordo inteso a fatti meno gravi, in quanto sempre autonomamente rilevante come collusione, non solo è assoggettato alla stessa pena prevista dell’accordo inteso a commettere un grave delitto, ma addirittura dovrebbe coesistere, diversamente che nel primo caso (sole le sanzioni pecuniarie) e così come realmente asseverato dalla maggioritaria giurisprudenza, con la autonoma ed intera responsabilità per l’illecito finanziario realizzato.
Difficile accreditare razionalità a simile meccanismo, ed ancor più difficile ritenerlo coerente con l’oggettiva realtà espressa dalla struttura delle norme incriminatrici che la compongono.
A questo punto siamo in grado di prospettare una diversa ricostruzione esegetica, frutto dei rilievi svolti in precedenza ed intesa a dare un più ragionevole assetto a questa controversa figura delittuosa.
In primo luogo il reato di collusione sembra non avere molto a che fare con l’accordo inteso alla commissione di un determinato illecito finanziario; in secondo luogo, il dolo specifico che lo anima sembra essere diverso e più ampio di quello che è coessenziale a qualsiasi intesa che abbia come obiettivo la programmazione e la concorsuale realizzazione di un determinato illecito finanziario.
17. Segue: b) Il fine di frodare la finanza. Gli elementi da assumere ad essenziale riferimento sono i seguenti: da un lato, una non meglio specificata condotta di collusione inserita in un contesto che non contempla l’espressa punibilità dell’estraneo concorrente e che non assume rilevanza nel caso in cui abbia come controparte un altro militare della guardia di finanza; dall’altro, un dolo specifico espresso con l’ampia proposizione «al fine di frodare la finanza», privo di qualsivoglia ulteriore connotazione restrittiva o comunque in grado di delimitarne il contenuto.
Diventa quindi necessario soffermarsi ad esaminare il fine specifico di «frodare» la finanza.
Nella norma incriminatrice non figura alcunchè che consenta di interpretare questa formula nel senso di farne coincidere gli estremi con il particolare proposito di commettere un reato finanziario o, a maggior ragione, un delitto d’identica indole.
Per tale ragione appare poco persuasiva la tesi, per altri versi molto interessante, che mutua i connotati del dolo specifico dall’altra fattispecie contemplata dalla norma speciale (violazione costituente delitto) e reputa che anche nel caso dell’accordo collusivo la condotta dell’agente debba essere sorretta dal proposito di commettere un delitto in frode della finanza (71).
In realtà non esiste un reato o una categoria di fattispecie criminose che trovino nel comune denominatore di essere in «frode la finanza» un significativo fattore di tipicità(72). Non esistono neanche reati che, pur nella diversità delle loro componenti, possano affastellarsi in un’oggettività di genere ed essere, con un minimo di rigore, qualificati come reati di frode alla finanza.
Ciò che ha un’indubbia oggettiva realtà è qualcosa di sensibilmente diverso, di diverso e di più ampio. Esistono, in altre parole, molte norme che tutelano l’interesse dello Stato alla riscossione dei tributi ed il generale interesse dello Stato a non subire lesioni nei suoi tipici e variegati attributi di carattere finanziario; norme che non prevedono solo reati finanziari, ma anche - ed oggi soprattutto - illeciti finanziari di diversa specie.
Con salvezza di quanto si dirà in ordine al puntuale concetto di collusione ed alla realtà che ne fa da sfondo, appare sin d’ora chiaro come tale condotta debba essere correlata alla commissione di qualcosa di diverso, e più ampio, dal semplice reato finanziario: per il decisivo condizionamento che subisce dalla struttura e dall’oggetto del dolo specifico, la condotta di collusione ha modo di manifestarsi anche nel caso in cui siano stato commessi - o si abbia in animo di commettere - illeciti finanziari non costituenti reato.
Fermiamoci per un attimo e proponiamo una lettura della fattispecie, in parte radicata sulla tradizione, in parte conseguente a ciò che si è fin qui esposto.
In primo luogo, commette il reato di collusione il militare che si accorda con estranei allo scopo di commettere illeciti finanziari, anche non costituenti reato. Quest’astratta eventualità, sebbene non esaustiva di tutte le possibili finalità, preclude qualsiasi costruzione che faccia della collusione una deroga al principio di non punibilità dell’accordo (73) e richiede uno sforzo ulteriore, nel cui ambito la collusione, fermo restando l’indubbia origine «pattizia», venga ad accreditarsi per il fatto di tradurre in attività concreta l’intima essenza d’infedeltà che connota l’accordo e per tale ragione assuma una oggettiva ed autonoma configurazione.
In secondo luogo, e con riserva di successive precisazioni, il fine di «frodare la finanza» non coincide con il solo scopo di commettere un illecito finanziario, bensì abbraccia ogni e qualsiasi obiettivo che si proponga la lesione dell’interesse fiscale.
Non è solo l’indispensabile supporto psicologico di un qualsivoglia illecito fiscale; è qualcosa di più ampio, in cui trova collocazione qualsiasi intento di impedire allo Stato di realizzare il suo essenziale interesse fiscale: intento che può manifestarsi sia sotto forma di concorso alla commissione dei fatti di diretta lesione dell’interesse fiscale (illeciti finanziari), sia attraverso la realizzazione di diversi fatti omissivi o commissivi, il cui scopo specifico sia quello di agevolare e favorire gli autori di illeciti fiscali, garantendone la impunità e proteggendone gli ingiusti profitti (74).
Quest’ultimo profilo evidenzia un ulteriore elemento di diversità rispetto alle violazioni finanziarie contemplate dalla prima parte della fattispecie in esame. Il dolo fraudolento che anima la collusione non deve, infatti, necessariamente precedere gli illeciti finanziari e/o essere preordinato alla loro commissione. Ben può radicarsi su illeciti già realizzati e proporsi di garantirne l’impunità ai rispettivi autori, oltre che di rendere definitivi gli ingiusti profitti ed impedire che l’erario ottenga ciò che gli compete (75).
A nostro avviso, quindi, è ineludibile la conclusione che la finalità di «frode alla finanza» esprima qualcosa di più diverso dal semplice proposito di commettere un illecito finanziario. Essa, anche in ragione della specifica menzione del concetto di frode, rinvia ad obiettivi di artefatta dissimulazione e manipolazione del vero; ovvero, ad obiettivi e propositi di occultamento di specifiche realtà illecite e di fraudolenta descrizione di realtà formali diverse da quelle reali ed oggettive.
In questa prospettiva esegetica, l’ampia finalità di «frode alla finanza» si stacca dall’angusto scopo di commettere un particolare illecito e si condensa nel perseguimento di una serie di scopi genericamente truffaldini, tutti glutinati e tipizzati dal comune denominatore di offendere l’interesse fiscale, dissimulare ogni e qualsiasi offesa già eventualmente già consumata e lasciarne impuniti gli autori.
Al riguardo non è il caso di indugiare nella minuziosa enumerazione delle tante tipologie di umano comportamento che la scaltra fantasia di coloro che si propongono simili obiettivi è in grado di partorire.
Ciò che conferisce ai singoli comportamenti l’impronta di fatti di realizzazione del patto collusivo, è proprio questo configurarsi quali componenti del programmato intento di frode, questo essere segmenti di un disegno ben delineato nei propri obiettivi finali ed aperto quanto alle modalità attuative ed alle concrete necessità strumentali.
Da una parte sta il chiaro obiettivo, dall’altra la condotta che ne funge da adeguata premessa e che assume la fisionomia della collusione con estranei. Quest’ultima, altro non è se non un complotto ai danni dell’erario, un convergere di manifestazioni di volontà e di atti preliminari verso il comune obiettivo di impedire all’erario di riscuotere ciò che gli è dovuto e di riscuoterlo, soprattutto, anche nel caso in cui l’attività che quel diritto abbia pregiudicato sia già stata interamente realizzata (76).
18. La materialità della condotta di collusione. Se le cose stanno in questi termini, solleva più di qualche perplessità la tesi che, ai fini dell’integrazione della condotta collusiva, si accontenta di un puro e semplice accordo, ancorchè qualificato dallo scopo di frode.
Riepiloghiamo le linee essenziali dell’impostazione tradizionale.
La collusione è un malizioso accordo tra finanziere ed estraneo, posto in essere allo scopo di frodare la finanza. Ma è un accordo sui generis, in quanto il disvalore dell’intera faccenda non risiede nell’atto con cui le volontà s’incontrano, bensì nell’infedeltà dimostrata dal militare della Guardia di finanza, che non si perita di scendere ad illeciti patti con colui che è sottoposto al suo controllo. Ciò è dimostrato dal fatto che il privato, se non fa nulla oltre quanto richiesto per aderire all’accordo, non è punibile, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, per il reato di collusione.
Quindi, il baricentro dell’illiceità penale risiede esclusivamente nel contegno del finanziere e la norma è in sostanza indifferente al ruolo del privato, sempre che questi si sia limitato ad accogliere l’illecito mercanteggiamento del militare e non abbia fatto nulla per istigarlo o agevolarlo.
A ben vedere, siffatta ricostruzione svela una sostanza notevolmente diversa da quanto comunemente si ritiene. Pur essendo la collusione accreditata come un accordo, è evidente come l’intero disvalore risieda nella proposta (o comunque iniziativa) del militare della Guardia di finanza. Tant’è vero - si ribadisce - che nella versione fisiologica il reato non contempla la punibilità dell’estraneo, che entra in gioco come soggetto assoggettabile a pena solo se faccia qualcosa di diverso dall’indispensabile adesione all’illecita proposta del militare, e cioè se prenda lui l’iniziativa e, soprattutto, la coltivi in modo da profilarsi come istigatore o comunque concorrente ex art. 110 codice penale.
Qualcosa, però, non convince, derivandone la stranezza di un reato che ha l’involucro di un accordo, ma la sostanza di un unilaterale atto d’infedeltà. E, soprattutto, la stranezza di un reato che sta tutto nel contegno del militare e che ciò nonostante si perfeziona, attingendo vertici di insolita gravità per un reato-accordo, in virtù del determinante apporto-adesione del privato. Apporto decisivo per la sussistenza del reato, ma dal tutto privo di significato e conseguenze sotto lo specifico profilo sanzionatorio.
Il tutto, infine, condito dalle note incertezze su quel che accade nel caso in cui il finanziere - che ha dato fondo a tutta l’infedeltà che la norma richiede per la consumazione del reato – vada ad impingere contro il rifiuto del privato.
Oggi, colmato il vecchio vuoto normativo che aveva generato non poche perplessità, dovrebbe trovare applicazione, ricorrendone gli ulteriori elementi, la norma sull’istigazione alla corruzione (art. 322 commi 3 e 4 c.p.); oppure rimarrebbe da scegliere tra una problematica figura di tentativo di collusione ed il penalmente irrilevante.
La soluzione, però, non è certo appagante. Sembra quasi che il sussulto d’onestà del privato, che interviene ad infedeltà già consumata, produca l’effetto di estinguerne o attenuarne la rilevanza penale. Se egli dice di sì, il finanziare risponde di un gravissimo delitto (77); se dice di no, il rifiuto impedisce il perfezionarsi del reato ed assume quasi la fisionomia di una sua sostanziale causa di estinzione.
Evidente come tutto concorra ad evidenziare l’errore iniziale, consistente nell’aver trasformato in accordo (78) un’entità che ha ricevuto diversa denominazione e che coesiste, aspetto questo non trascurabile, con norme penali che incriminano il semplice accordo – per incisiva e preliminare tutela di interessi esiziali per la vita dello Stato - e che pur tuttavia hanno cura di circoscriverne l’autonoma rilevanza all’ipotesi in cui lo scopo dell’accordo non abbia avuto attuazione, oltre che porre vistosi limiti alla concreta espansione sanzionatoria, prevedendo che in ogni caso non possa darsi pena pari o superiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale l’accordo si riferisce (art. 304 c.p.). Nulla del genere è dato ravvisare nel nostro caso, ove comunemente si sostiene che l’accordo collusivo coesiste con gli illeciti scopo e, nel diverso caso in cui l’accordo rimanga sterile, non registra alcuna clausola di salvaguardia, nè in ordine alla punibilità, né in ordine alla misura della pena, così da contemplare come fisiologica la eventualità che le devastanti sanzioni previste per la collusione scattino anche nel caso in cui essa abbia prodotto il nulla o un lieve illecito finanziario.
S’impone pertanto una rettifica. Bisogna togliere il contegno collusivo dalle secche del puro e semplice accordo e trasformarlo in un’entità dotata di connotati più pregnanti e tali da rivelare, sul piano dell’oggettività comportamentale e quindi non nell’esclusiva dimensione dei fenomeni psichici o delle intelligenze criminose, la sua natura di un atto di incisiva e peculiare offesa all’obbligo di tutelare, in assoluta fedeltà agli impegni istituzionali, gli interessi finanziari dello Stato.
Il disegno riacquista un minimo di coerenza se si muove dal diverso presupposto che la collusione, pur consistendo in un accordo tra finanziere ed estraneo, non si esaurisce tutta in tale patto, ma richiede il compimento d’atti di per sé idonei a rivelare la circostanza che il servitore dello Stato è venuto meno al suo obbligo di tutelarne gli interessi finanziari, ha tradito la fiducia di cui era stato investito e si è schierato a favore degli illeciti interessi di coloro che aveva il dovere di controllare e smascherare.
Non è collusione il disinteresse per l’altrui illecito finanziario, l’indolente compimento dei propri compiti di vigilanza, il tollerare che altri evada e faccia contrabbando. Sarà qualcos’altro, ma non collusione.
E’ collusione l’atto che esprima una scelta di campo opposta a quella istituzionale, nello specifico settore di propria competenza e sposando, in un patto di reciproca consapevolezza, gli illeciti scopi di coloro che ben altro avrebbero dovuto fare, e proprio grazie al fedele impegno di vigilanza e controllo del finanziere.
Quindi, ferma restando la necessità di un patto con gli estranei e di un comune obiettivo di frode alla finanza, la collusione matura quando viene posto in essere un atto che esprime, nella sua concretezza ed univocità, l’avvenuta violazione di uno qualsiasi degli specifici doveri istituzionali del militare della guardia di finanza.
Diventa a questo punto evidente che il contengo di collusione può consistere in una varietà di tipologie di condotte e che il più delle volte queste integreranno la materialità di diverse fattispecie criminose: abuso di ufficio, rivelazione di segreti di ufficio ed altre di analoga natura.
Cioè a dire, reati in cui si materializza il contegno di infedeltà e di violazione dei doveri di ufficio, i quali perdono la loro specifica individualità e diventano parte costitutiva della più ampia e specifica fattispecie delittuosa della collusione; fattispecie diversa e nuova e rispetto alla quale la posizione dell’estraneo varia in ragione del suo concreto comportamento. Se questi si è limitato ad aderire all’accordo prospettatogli dal militare della guardia di finanza, egli non risponderà di concorso nel più grave reato di collusione integrato dagli atti di violazione dei doveri istituzionali. Se, al contrario, ha preso l’iniziativa ed istigato il militare a venire meno al suo vincolo di fedeltà all’interesse fiscale, allora concorre nella collusione eventualmente realizzata, in applicazione della fondamentale norma di cui all’articolo 117 del codice penale ed ancorchè il contegno posto in essere risulti diagnosticabile, nelle sua nuda materialità, nei termini di un’istigazione a commettere i meno gravi reati di abuso di ufficio e rivelazione di segreti di ufficio.
In questa prospettiva, dunque, gli unici reati che rifluiscono nel delitto di collusione, e rispetto ai quali si profila un concorso apparente di norme, sono soltanto quei reati in cui ha trovato puntuale realizzazione la condotta di violazione o dolosa elusione degli obblighi istituzionali; mentre non vi è alcuna ragione per farvi confluire anche gli eventuali, e del tutto distinti, fatti di corruzione propria, connotati da un profilo di lesività ulteriore rispetto a quello che qualifica la collusione-violazione di doveri di ufficio e per tale ragione da dedurre nella globale risposta sanzionatoria..
Tirando le fila di quanto siamo venuti esponendo e componendo il tutto secondo termini non estranei al sistema, che configura il reato come offesa di un bene e ripudia l’opzione che ne ravvisa il disvalore in un atteggiamento interiore, appare chiaro che la collusione è cosa ben diversa da un semplice accorso e si presenta come una variante specifica della violazione di precisi doveri istituzionali. Violazione che si innesta su un precedente accordo tra militare ed estraneo, ne attua il contenuto ed è sorretta dal comune dolo specifico di frodare la finanza. Violazione, infine, che assume un più pregante disvalore proprio per il fatto che trae origine da un puntuale patto di infedeltà (79) ed è posta in essere, in attuazione di tale patto, dal militare investito della delicata, ed antitetica, missione di «impedire, reprimere e denunziare» qualsiasi illecito finanziario (80).
Ci rendiamo conto di quanto questa conclusione diverga dalla solita impostazione (81).
A nostro avviso, però, essa ha il pregio di consentire una coerente ricostruzione dell’intero impianto di tutela predisposto dalla speciale disposizione e di porre più razionali premesse per la soluzione del problema del concorso dei reati e di quello della punibilità dell’estraneo concorrente.
Quest’ultimo, infatti, non è più la quasi superflua appendice di un accordo dall’impalpabile struttura; ma si profila come possibile coautore di una concertata condotta di aggressione a beni dotati di oggettiva realtà e preordinata al finale obiettivo di frodare lo Stato.
In tale ricostruzione, inoltre, non solo la collusione concorrerà con gli illeciti finanziari non costituenti delitto eventualmente realizzati, ma essa potrà coesistere anche con la speciale figura delittuosa prevista dalla prima parte della legge speciale in esame (violazione finanziaria costituente delitto), non potendosi sempre e con successo opporre il rilievo che l’accordo donde questa ha tratto origine abbia esaurito la sua funzione dell’ambito della fattispecie concorsuale.
Ciò sarà indubbiamente esatto nell’ipotesi in cui vi sia stata solo e soltanto la violazione finanziaria costituente delitto. Ma l’assunto diventa erroneo nell’ipotesi in cui siffatta violazione sia stata preceduta o seguita da un accordo collusivo, segnato e caratterizzato da una inottemperanza agli obblighi istituzionali (per esempio,omesso controllo alla frontiera e conseguente commissione di contrabbando).
In quest’ultima evenienza, infatti, oltre e prima della violazione costituente delitto, si staglierà il più ampio e qualificato accordo collusivo, dotato di proprio disvalore e per tale determinante ragione meritevole di autonoma sanzione, da infliggere in aggiunta a quella prevista per il grave illecito finanziario (82).
19. La collusione nel D.Lg. 26 ottobre 1995, n. 504. Di recente il legislatore ha mostrato un certo interesse verso le tante critiche rivolte alla norma sulla collusione e ha ritenuto doveroso interloquire (D. Lg. 26 ottobre 1995, n. 504) in merito, prevedendo espressamente che tale norma incriminatrice non si applichi in determinate ipotesi di corruzione del militare della Guardia di finanza. Solo che il congegno tecnico prescelto, lasciando sopravvivere altrove ciò che in limitato settore viene rimosso, pone in realtà più problemi di quanti ne risolva e, come se non bastasse, denuncia una vistosa incongruenza, riproponendo al proprio interno, e con caratteri ancora più inaccettabili, l’annoso problema che cerca di risolvere.
La legge sopra accennata costituisce il nuovo testo unico delle imposte sui consumi e nell’articolo 45, dopo aver previsto la pena della reclusione da 4 ad 8 anni, oltre la multa, per il personale della Guardia di finanza che si sia lasciato corrompere ed abbia in tal modo concorso in alcuni illeciti fiscali, ha espressamente statuito che in tal caso non trovano applicazione le fattispecie di collusione per frodare la finanza e di violazione di legge finanziaria costituente delitto previste dall’articolo 3 della legge 1383/41 (83).
Forse perché fuorviato dagli specifici precedenti normativi, che sia pure in modo anomalo contemplavano una speciale figura di corruzione, o forse per rimuovere in radice qualsiasi dubbio in merito alla applicabilità di ulteriori fattispecie sanzionatorie, il legislatore del 95 non ha ritenuto di raccogliere le indicazioni fornite dalla dottrina in merito all’assorbimento del reato di corruzione nel più grave reato di collusione (84) ed ha, capovolgendo il sollecitato auspicio ed a guisa di oggettiva ratifica del tradizionale indirizzo, fatto scomparire il secondo nel primo, di cui ha disposto la applicabilità a titolo esclusivo. Con ciò, oltre a perdere una utile occasione per indirizzare verso approdi più ragionevoli una prassi giudiziaria disseminata da pronunce di eccessiva severità, ha finito con il complicare la già tormentata vita delle fattispecie delineate dalla legge del 41 ed ha altresì, per un probabile difetto di coordinamento su cui torneremo in seguito, diversificato in maniera del tutto incongrua il trattamento penale dei fatti contemplati nell’ambito dello stesso testo normativo, assoggettando alla disciplina innovativa i reati più gravi e lasciando in balia della risalente, più severa, impostazione quelli meno gravi e finanche i fatti che non costituiscono reato.
Gli articoli 40, 41 e 43 di detto decreto, infatti, prevedono i reati di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sugli oli minerali, di fabbricazione clandestina di alcole e bevande alcoliche e di sottrazione all’accertamento ed al pagamento dell’accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche. L’articolo 45, dopo aver previsto un aumento della pena per il caso che i predetti reati siano stati commessi con il mezzo della corruzione del personale della Guardia di finanza, al secondo comma stabilisce che “il personale della Guardia di finanza che concorre nei reati di cui al comma 1 è punito con la reclusione da quattro a sei anni, oltre la multa. L’applicazione della presente disposizione esclude quella dell’articolo 3 della legge 9 dicembre 1941,n. 1383”.
Con un incisivo intervento viene rimosso in radice quel presupposto che aveva dato luogo a tanti problemi e si costruisce una particolare fattispecie di corruzione (verosimilmente propria), la cui configurabilità preclude, per vero e proprio divieto normativo, la contestuale sussistenza dei reati di collusione e violazione finanziaria costituente delitto.
In sé considerata, la norma parrebbe ripristinare ragionevolezza sanzionatoria e ovviare a quei tanti inconvenienti che la prassi aveva licenziato sul punto del concorso tra corruzione, collusione e violazione di legge finanziaria costituente delitto.
Sta di fatto, però, che l’innovazione ha un circoscritto ambito di applicabilità; e ciò rende ancora più intollerabile che nella restante ampia categoria di reati finanziari o di fatti in frode alla finanza possa continuare ad applicarsi la più severa disciplina prevista dalla legge del 41.
Ben si comprende l’intento che il legislatore ha tenuto presente e di certo se ne deve apprezzare la ragione ispiratrice. Ma la tecnica seguita, nell’attimo in cui risolve uno specifico problema, ne crea di ulteriori e forse maggiori di quello che elimina (85).
Non solo si assiste alla singolare realtà di un’ingiustificata disparità di trattamento di situazioni che talvolta rivelano identico disvalore e talaltra ne rivelano - si pensi agli illeciti non costituenti reato o di natura solo contravvenzionale - uno minore, con la conseguenza che il congegno punitivo, reso inefficace nel caso specifico, continua a funzionare altrove. Ma addirittura si assiste ad un vero e proprio paradosso all’interno dello stesso contesto normativo: da un lato si paralizza l’efficacia dell’art. 3 della legge 1383/41 nei confronti dei più gravi reati contemplati; dall’altro, per un evidente difetto di coordinamento, si lascia immutato l’intero dispositivo della legge del 41 in riferimento ai residui – rilevanti come punto d’approdo dell’accordo collusivo - reati contravvenzionali ed illeciti amministrativi.
L’articolo 45, infatti, dopo aver previsto la figura speciale di corruzione del finanziere ed aver statuito che essa inibisce la applicazione della legge 1383/41, espressamente dispone (comma 3) che le predette disposizioni «non si applicano nei casi previsti dagli articoli 40, comma 5, e 43, comma 4». Cioè a dire, nel caso di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa punita, per la sua lieve entità, con la sola pena della multa e nell’ulteriore caso di sola detenzione, senza materie prime e prodotti, d’apparecchi per la fabbricazione clandestina di bevande alcoliche, punita con una sanzione amministrativa.
Lasciamo perdere il secondo fatto, di più problematico assetto e rilevante soltanto nell’ambito della collusione, e poniamo attenzione al primo. Ha i chiari connotati del delitto e per tale ragione - come dei più gravi contemplati dalla stessa norma e assoggettati alla più mite disciplina - è perfettamente concepibile sia una realizzazione concorsuale, sia una realizzazione mediata dalla collusione. Orbene, il fatto che per esso non funzioni la norma speciale significa solo che continueranno ad applicarsi le disposizioni ordinarie e quindi quelle che prevedono la violazione di legge finanziaria costituente delitto e l’ulteriore fattispecie della collusione (86).
Anche questa recente vicenda conferma, ove ve ne fosse ancora bisogno, che non è pensabile risolvere il problema dell’applicazione della speciale legge del 41 con iniziative sporadiche e prive d’agganci con l’intero sistema di tutela(87).
In attesa di un intervento di globale ripensamento delle figure criminose previste dall’articolo 3 della legge 1383/41, riteniamo che la cosa più saggia da farsi sia quella di interpretarle in maniera la più restrittiva e rigorosa possibile.
La prospettiva che noi abbiamo indicato, per quanto non priva di approcci problematici e di difficoltà di concreto accertamento, appare più coerente rispetto all’astratta configurazione delle fattispecie e presenta il pregio di consentire soluzioni capaci di coniugare severità e ragionevolezza di tutela.
Sta di fatto, però, che proprio di recente il legislatore sembra avere interrotto l’opera di revisione critica timidamente affiorata nella citata legge del 95.
Non solo non vi è nulla di simile nel recente testo normativo sul contrabbando di tabacchi lavorati esteri (legge 19 marzo 2001, n. 68), ma nulla altresì è dato riscontare nella fondamentale legge che ha ridisegnato le incombenze istituzionali della Guardia di finanza - approvata con decreto legislativo del 19 marzo 2001 - e che ha attribuito al predetto Corpo nuovi e delicati compiti.
In particolare è stato espressamente menzionato il compito di «prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di tributi di tipo locali» e si è sottolineato che la Guardia di finanza «assolve le funzioni di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, degli enti locali e dell’unione europea» (art. 2).
Se si ripensa alla genesi ed alla collocazione topografica della norma in esame, non si tarderà a comprendere che l’adeguamento dei compiti della Guardia di finanza avrebbe potuto rappresentare l’occasione ideale per voltare pagina ed apprestare un più ragionevole dispositivo di tutela degli interessi dello Stato e di altri enti pubblici.
Invece è successo l’esatto contrario. E’ aumentato l’ambito applicativo della risalente norma sulla collusione – che sembra estendersi sino ad abbracciare ogni violazione ai tributi locali ed al bilancio comunitario - ed i nuovi e capillari compiti della Guardia di finanza continuano ad essere presidiati, nell’era dell’Europa unita e delle forti autonomie locali, da una norma nata in tempo di guerra e, secondo taluni, profondamente legata a quell’eccezionale e patologica contingenza (88).
Dott. Vincenzo Santoro
Magistrato militare
Note
* (*) Il presente lavoro riproduce, con notevoli ampliamenti ed integrazioni, la relazione tenuta al Convegno nazionale dei magistrati militari su “I reati propri del militare della Guardia di finanza” (Frascati, 24-25 maggio 2001).
(1) Sul punto, G. CIARDI, I reati speciali per i militari della Guardia di finanza, in Rivista della Guardia di finanza, 1958, 163 –184; ANTONIONI, «Collusione», in Enc. dir. VII, Milano, 1960, 452; LONGO, L’art. 3 della l. 9-12-1941, n. 1383:questioni di politica legislativa e di costituzionalità, in Rass. giust. mil. 1976, 285; MELCHIONDA, interesse protetto e ratio di tutela nella «collusione» del finanziere, in Giust. pen. 1985, II, 230; ZANOTTI, Profili problematici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985; MARTINI, Collusione, in Dig. disc. pen., II, Utet, 1988, 290 e ss.; SANTORO, Il reato di collusione. Rapporti con le altre violazioni finanziarie, in Rivisita della Guardia di finanza, 1998, 941 ss.; RIVELLO P.P., L’incriminazione del militare della Guardia di Finanza responsabile dei reati di cui all’art. 3 L. 9 dicembre 1941, n. 1383, in Cass. pen. 1999, 3294 e ss..
(2) In merito al peculato del militare della guardia di finanza ci permettiamo rinviare, anche per la bibliografia in merito, a V. SANTORO, Peculato e malversazione militare, in Digesto delle discipline penalistiche, 1995, vol. IX. Pagg. 362-365. Inoltre, M. NUNZIATA, Il delitto di peculato del militare della guardia di finanza (art. 3 l. 9 dicembre 1941, n. 1383): configurazione attuale e prospettiva futura, in Cass. pen.1998, 194.
(3) MESSINA R., I reati speciali contro l’amministrazione militare, Velletri, 1979
(4) in tal senso MESSINA, op. cit., 38
(5) ROSIN R., Alcune riflessioni sul cosiddetto «peculato speciale del militare della guardia di finanza », in Rass. Giust. mil. 1977, 466.
(6) ROSIN, op. cit., 466.
(7) Con decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001, si è provveduto all’adeguamento dei compiti del Corpo della Guardia di Finanza, in ottemperanza all’articolo 4 della legge 31 marzo 2000, n. 78. Ne è derivato un notevole ampliamento delle competenze istituzionali, con superamento dei limiti fissati dall’art. 1 della legge n. 189 del 23 aprile del 1959 e con espressa previsione di compiti di prevenzione e repressione estesi a tributi locali, a «risorse proprie nonché uscite del bilancio statale» ed «ogni altro interesse economico-finanziario nazionale o dell’Unione europea».
(8) MICHELI, Diritto tributario e diritto finanziario, in Enc. del diritto, XII, 1125; SECHI, Diritto penale e processuale penale finanziario, Milano, 1960.
(9) Buona parte del contenuto della legge 7 gennaio 1929, n. 4, è stata abrogata dal d.lg. 18 dicembre 1997, n. 472, e dal l’art. 24 del d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507.
(10) Cass., Sez. I, Sent. 04126 del 08/09/1997, in C.E.D .Cass .In merito si veda l’esauriente lavoro di FLORA, Reati finanziari, in Dig. disc. pen.,Utet, 1996, Vol. XI, 93 e ss.
(11) Cass., sez. I, sentenza 06297 del 29/01/1996, in C.E.D. Cass.. Sul reato tributario, MAMBRIANI, Reati tributari, in Dig. disc. pen., Utet, 1996, vol. XI, 121 ss.
(12) TSM, 20 febbraio 1973, Cresci, in Massimario della giurisprudenza del Tribunale supremo militare, a cura di G. SCANDURRA, 156, 14, ove appunto si sottolinea che siffatta continenza della fattispecie comune in quella militare potrebbe essere sufficiente, per quanti aderiscono alla teoria così nominata, per designare il reato militare come reato complesso (art. 84 C.p.). Negli stessi termini anche T.S.M., 22 giugno 1973, Paolucci.
(13) Corte mil. di appello, Sez. dist. di Verona, 16 dicembre 1988, Ferrucci, confermata da Cass,, 8 novembre 1989, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, 20002, in corso di pubblicazione, p. 61, m. 18.
(14) Sul punto, FLORA G., Contrabbando doganale, in Dig. disc. pen., vol. III, Utet, 1989, p.133
(15) Se sembra plausibile, infine, che non debba trovare applicazione la pena criminale della multa tutte le volte che essa coesista con ulteriori sanzioni preordinate ad assicurare allo Stato il ristoro del danno finanziario subito (pagamento di una sopratassa, come previsto in via generale dall’art. 5 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), è certo più delicata la faccenda allorquando la norma incriminatrice non contempli alcuna ulteriore sanzione pecuniaria e si limiti a graduare la multa in funzione dell’entità del tributo evaso. Si pensi, per fare un esempio, alla nuova formulazione dell’art. 291 del Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, come modificato dall’articolo 1 della legge 19 marzo 2001, n. 92, che prevede per l’ipotesi più grave (contrabbando di prodotti lavorati esteri superiori a dieci chilogrammi) la reclusione da due a cinque anni e la multa di lire diecimila per ogni grammo convenzionale di prodotto; mentre per l’ipotesi meno grave (contrabbando di tabacco lavorato fino a dieci chilogrammi convenzionali) la sola pena della multa di lire diecimila per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque non inferiore ad un milione. In un precedente lavoro, SANTORO, ll reato di Collusione, cit., p. 957 –958, si era prospettato che siffatte pene pecuniarie, in considerazione della loro peculiare fisionomia e della indubbia finalità di garantire il ristoro del danno subito dall’erario, dovessero affiancarsi alle pene detentive previste per il reato militare. A pensarci meglio, però, ci sembra più corretta la soluzione opposta, in ragione del fatto che le pene pecuniarie progressive assolvono alla identica funzione di quelle pecuniarie tout court e quindi debbono sottostare al medesimo regime normativo, nella globalità delle loro implicazioni. In merito si veda anche Cass., 8 novembre 1989, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 61, m. 19, per la quale il delitto in esame è punito con la sola pena detentiva, ai sensi dell’articolo 22 C.p.m.p., esclusa la pena pecuniaria, una volta assodato che le infrazioni finanziarie hanno formato oggetto di definizione amministrativa.
(16) Un’emblematica previsione di aggravanti ad effetto speciale ed aggravanti comuni è offerta dal nuovo articolo 291-ter del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, come modificato dall’articolo 1 della legge 19 marzo 2001, n. 92, su tabacchi lavorati esteri. In questo specifico ambito il tutto è poi complicato dalla norma secondo cui le circostanze attenuanti generiche non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a due particolari aggravanti ad effetto speciale - lettere a) e b) del nuovo secondo comma dell’articolo 291-ter -, con la conseguenza che la eventuale diminuzione di pena che ad esse consegua deve operare sulla pena scaturente dalle predette aggravanti (da tre a sette anni). Sul punto, PINNA e TURRIZIANI, La nuova normativa in materia di repressione del contrabbando di t.l.e., in Rivista della Guardia di finanza, 2001, fasc. n. 6, pag. 2559, in particolare 2563-2567.
(17) Sul punto, si vedano le interessanti considerazioni di G. LABIANCA, Prime riflessioni sulla possibile depenalizzazione del contrabbando doganale, in Rivista della Guardia di finanza, gennaio - febbraio 1995, n.1, pagg. 125 - 150.
(18) Per una esauriente panoramica si veda, FLORA, Reati finanziari, cit., in particolare pagg. 100 - 102. In ordine a tale complessa problematica, di particolare rilevanza sono le norme (articolo 29 primo comma D.Lg. 18 dicembre 1997, n. 472 - (disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie – e art. 24 del d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507 – depenalizzazione dei reati minori -) che hanno abrogato l’intero contenuto dell’articolo 20 della legge 4/29 (ultrattività delle norme penali finanziarie). Su quest’aspetto, CARACCIOLI I., Il principio di ultrattività finisce in soffitta, in Guida al Diritto, Dossier mensile n. 11 del dicembre 1999, p. 128 e ss.
(19) T.S.M. 25 novembre 1969, in Massimario della giurisprudenza del Tribunale Supremo Militare 1952-1977, cit., 154. m. 8.
(20) Naturalmente la depenalizzazione concerne le fattispecie incriminatrici – punite con la sola multa - in vigore al momento in cui essa è intervenuta e non esclude in alcun modo che il legislatore possa crearne di nuove, rispetto alle quali, quindi, continuerà a produrre effetti il rinvio operato dalla norma incriminatrice contenuta nel testo del 41. Si pensi, per avere un esempio di sopravvenienza di nuova norma penale finanziaria punita con la sola multa, alla fattispecie prevista al comma 4 dell’art. 43 del d.lg. 26 ottobre 1995, n. 504 (testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali ed amministrative), che sanziona con la multa pari al doppio del decuplo dell’imposta evasa la detenzione di alcole e prodotti alcolici detenuti in condizioni diverse da quelle prescritte.
(21) In tal senso, con affermazione di rilevanza generale, Tribunale Supremo Militare, 22 ottobre 1963, in Massimario del Tribunale supremo, cit,, 154, m. 6. Allo stesso modo non potrà trovare applicazione la procedura di definizione amministrativa contemplata, in riferimento al contrabbando semplice di tabacchi lavorati esteri, dall’articolo 2 della recente legge 92 del 2001. Su quest’ultima causa di estinzione del reato, in generale, PINNA e TURRIZIANI, La nuova normativa in materia di repressione del contrabbando di t.l.e., in Rivista della Guardia di finanza, cit., p. 2580.
(22) Nel senso della inapplicabilità del principio di ultrattività delle disposizioni penali finanziarie si è più volte pronunciata la Suprema Corte, sulla base del rilievo che il predetto principio è stato derogato espressamente dalle disposizioni transitorie della legge 689/81(artt. 40 e 41). Da ultimo, Cass. Sez. V. sentenza n. 00809 del 4 febbraio 1997; Cass. Sez. II, sentenza 03377 del 9 aprile 1997, entrambe in C.E.D. CASS..
(23) A. MARTINI, Osservazioni sul rapporto strutturale tra collusione e corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1981, 381 ss.; nonché la voce Collusione, in Dig. disc. pen., cit., in particolare p. 293.
(24) VICO, Diritto penale militare, Milano, 1917, pag. 371
(25) VICO , op. cit. pag. 371
(26) MONTINI, Il contrabbando e gli altri reati doganali, Roma, 1935, 256.
(27) Per la problematica in generale si rinvia agli autori citati nella nota n.1. In giurisprudenza è ricorrente l’affermazione secondo cui il delitto di collusione è un reato formale che si realizza con il semplice accordo ed è punibile, in deroga all’art. 115 C.p., indipendentemente dall’effettiva attuazione di una frode o di un suo tentativo (Cass., sez. III, 13 luglio 1982); Si aggiunge che si tratta di reato istantaneo e non permanente e si puntualizza che esso si perfeziona in virtù del solo accordo, dato che l’intervenuto incontro tra le due volontà ha già comportato,di per sé, la definitiva e non più riparabile rottura del rapporto di fiducia tra il militare della Guardie di Finanza e la pubblica amministrazione e, quindi, la lesione del particolare interesse protetto dalla norma (Cass., sez. III, 1° giugno 1987; Cass., sez. III, 5 febbraio 1991;), massime riportate in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, 2002, cit., p. 58, 59, 63, m. 5, 7, 11, 29.
(28) Cass. Sez. VI, 2 dicembre 1982, in Giust. pen. 1983, II, 273; Cass. Sez. VI, 29 settembre 1988, in C.E.D. Cass., rv. 179272; Cass. Sez. VI, 5 maggio 1992, C.E.D. Cass., rv. 190774; Cass. Sez. I, 2 marzo 1999, sentenza n. 44392/1998.
(29) Cass., sez. VI, sentenza del 29 ottobre 1992, in C.E.D. Cass., RV 192092
(30) Cass. Pen. sez. VI, 17 - 6 - 1982, in Giust. pen. 1982, III, 677
(31) Cass. Sez.VI, 11 - 12 - 1952, in Temi romana, 1952, 298
(32) FRASSINI, Osservazioni sulla collusione del finanziere col contribuente: legittimità costituzionale e concorso dell’estraneo, in Dir. prat. trib., 1976, II, 1138; Cass., sez. un. 17 gennaio 1953, in Giust. pen. 1953, III, 474, 406, ; Cass., sez. VI, 17 maggio 1971, in Giust. pen. 1972, II, 552, 908;
(33) Secondo l’autorevole insegnamento di BACHELET, Il Corpo della Guardia di finanza, in Riv. G.d.F., 1974, N. 6, pagg. 14 e seguenti..
(34) CODAGNONE, I delitti di corruzione e di collusione in contrabbando, nota a Cass., sez. III, 15 ottobre 1963, in Giust. pen., 1965, II, 18. Cass., sez. VI, 7 febbraio 1992, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 64, m. 32.
(35) MULLIRI, Ammissibilità del concorso formale tra la corruzione (art. 319 c.p.) e la collusione, in Cass. Pen. mass. ann., 1975, 1309 e ss.. Nel senso della plurioffensività anche RIVELLO, l’incriminazione, cit, in Cass. pen. 1999, p. 3295 e ss., il quale osserva che “la norma, oltre a tutelare il gettito fiscale, mira a garantire la correttezza dei rapporti intercorrenti tra «controllori» e «controllati», onde evitare che i primi vengano meno ai loro doveri, accordandosi illecitamente con i secondi.”. Cass., 5 febbraio 1991, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 63, m. 28.
(36) Sentenza n. 70 del 1976, in Giust. pen. 1976, I, 135.
(37) Cass. Sez. VI, sentenza 05307 del 5 maggio 1992. In senso critico il MELCHIONDA, op. cit. 236, il quale sottolinea come alla tesi in esame si arrivi sulla base di una «interpretazione tesa a privilegiare il risvolto soggettivo della fattispecie» e segnala le necessità di un approccio più sensibile alla Carta costituzionale ed attento a riscontrare la oggettività giuridica del reato in fatti materiali e non in atteggiamenti interiori.
(38) In merito, Cass., 2 dicembre 1982, in Giust. penale, 1983, II, c. 274. Per Cass., sez. VI, 13 dicembre 1989, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 62, m. 21, il delitto di collusione non può essere compreso tra i reati finanziari.
(39) A. MARTINI, voce Collusione, op. cit., 291.
(40) MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1950, vol. V, 581. CIARDI, I reati speciali per i militari della G. di F., cit., 1958, p. 171 ss.; RICCIO, Incanti e licitazioni (frode negli), in Nss. d. I, vol. VIII, Utet, 1962, 492; RUGGIERO,Incanti (turbativa ed astensione), in Enc. del dir., vol. XX, Giuffrè, 1970, 901; VENTURATI, Incanti (frode negli), in Dig. disc. pen., Utet, vol. VI, 1992, 302.
(41) MANZINI, Trattato, cit., 944; PANNAIN, Prevaricazione e infedeltà dei patrocinatori, in Nss. D. I., XIII, 1966, 808 ss.; VENDITTI, Infedeltà del patrocinatore e del consulente tecnico, in Enc. del dir., Giuffrè, vol. XXI, 1971, p. 426; TENTORI MONTALDO, Le infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico, in Rivista penale, 1993, 155; DEL RE, Patrocinio o consulenza infedele e le altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico, in COPPI (a cura di), I delitti contro l’amministrazione della giustizia, 1996, 465
(42) MANZINI, Trattato, cit., 686; SECHI, diritto penale e processuale finanziario, Milano, 1960, 92; CIARDI, I reati speciali, cit. 171;, MULLIRI, Ammissibilità del concorso, cit., 1313;
(43) A. DUS, Guardia di Finanza, in Enc. del dir., vol. XIX, Giuffrè, 1970, 804 ss.
(44) A. MELCHIONDA, , Interesse protetto e «ratio» di tutela nella «collusione» del finanziere, cit., 237.
(45) A. MARTINI, voce Collusione, cit., p. 291.
(46) Sul punto si veda, anche per la copiosa giurisprudenza citata e per le acute riflessioni critiche, MELCHIONDA,Interesse protetto, cit.,, in particolare pag. 246, nota 95. Per una recente riaffermazione della tesi dell’irrilevanza della eventuale commissione della frode, si veda anche Cass. Sez. 6, 29 ottobre 1992, sentenza n. 10350, C.E.D.
(47) Cass., sez. III, 7 maggio 1971; Cass. 9 ottobre 1990, in Foro it. 1992, II, 296; Cass. 29 ottobre 1992, in Giust. pen. 1993, II, 408
(48) Cass. Sez. 1, sentenza n. 07614 del 7 luglio 1995, in C.E.D.
(49) Cass. Sez. 6, sentenza n. 05307 del 5 maggio 1992, in C.E.D.
(50) Cass., sezione I, sentenza del 2 marzo 1999, numero 1763, in Dir. pen. e proc. 1999, 1277. Sentenza di annullamento della decisione del GIP presso il Tribunale militare di Torino del 10 giugno 1998,
(51) CIARDI, I reati speciali, cit. 172-173.
(52) In tal senso, Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, in Giustizia penale, 1991, II, 285.
(53) Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, in Giustizia penale, cit., 1991, II, 285.
(54) Tra le tante, oltre quelle indicate nelle citazioni sub nota 46, Cass., sez. un. 12 aprile 1980, in Giust. pen. 1980, III, 451; Cass., sez. III, 28 marzo 1984 e Cass., 14 marzo 1889, entrambe in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 58 e 60, m. 7 e 16; Cass., 29 ottobre 1992, in Giust. pen. 1993, II, 408; Cass., 13 maggio 1991, in Giust. pen., 1991, II, 724; da ultimo, Cass., 4 febbraio 1998, CED 210443; Cass. sez. VI, 10 giugno 1998, in Giust. pen. 2000, II, 97; Per altri riferimenti si veda A SABINO, in Codici penali militari: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di BRUNELLI e MAZZI, Giuffrè, 2001, p. 839 e ss.
(55) Cass. 2 marzo 1999, Dir. pen. e proc., 1999, 1277, con nota critica di A. DAWAN..
(56) MULLIRI, Ammissibilità del concorso formale.., op. cit, 1313; A. MARTINI, Osservazione sul rapporto strutturale tra collusione e corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1981, 381; BRUNELLI-MAZZI, Diritto penale militare, Giuffrè, 1999, 514; A MELCHIONDA, Interesse protetto, cit., 252; E. FIORINO,Osservazioni sul contenuto offensivo del delitto di collusione del finanziere e sui suoi rapporti con il delitto di corruzione, in Rass. giust. mil. 1993, 300 ss.
(57) Così, P.P. RIVELLO, L’incriminazione, cit., 3298; in senso conforme DONADIO, Il reato di collusione, legittimità costituzionale: principio di specialità nei confronti dei reati di corruzione, malversazione, contrabbando doganale, in R.ass. Avv. Stato, I, 1973, 771; CODAGNONE, I delitti di corruzione(art. 319-321 e di collusione in contrabbando (art. 3, l. 9-12-1941, n. 1383) in Giust. pen., 1965, II, 17; M. DEL GAUDIO, Corruzione, in Dig. disc. pen., Aggiornamento, 2000, Utet, pag. 179- 182.
(58) Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990 e 13 maggio 1991, entrambe in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 62 e 63, m. 22 e 31; Cass. Sez. 6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992, C.E.D; Cass., sez. I, sentenza 07710 del 23 luglio 1991 in C.E.D. per la quale il concorso tra il delitto di collusione e quello di contrabbando militare (tipica violazione di legge finanziaria costituente delitto) è conseguenza del carattere già delittuoso dell’accordo collusivo, eccezione alla regola dell’art. 115 c.p., e della distinta materialità della diversa, non necessaria né inevitabile, violazione finanziaria; Cass. Sez. I, sentenza n. 04820 del 30 aprile 1991, C.E.D., ove si afferma espressamente il concorso tra i reati di collusione, contrabbando, corruzione e falso ideologico; Cass. Sez, III, 7 maggio 1971, in Massimario della Giurisprudenza del Tribunale supremo militare, cit., 155.
(59) ANTONIONI, Collusione, cit. 454; A. MARTINI, Collusione, cit., 294; MELCHIONDA, Interesse protetto, cit., 254; Cass., 7 luglio 1985, in Giust. pen. 1986, II, 89; Cass., 5 febbraio 1991, in Cass. pen. 1991, 1455; Cass., 30 aprile 1991, in Giust. pen. 1991, II, 655; Cass., 13 maggio 1991, in Giust. pen. 1991, II, 724; Cass., 28 luglio 1991, in Giust. pen. 1992, II, 47.
(60) Cass. 14 gennaio 1970, Tubino; Cass., 4 marzo 1986, in Cass. pen. 1987, 1635; Sez. III, 12 giugno 1986, n. 5350, Brunello; Cass., 17 giugno 1985; in Cass. pen. 1988, 1711; ; Cass., 22 aprile 1989, in Cass. pen. 1991, 125; Cass., 6 novembre 1990, in Cass. pen. 1992, 1803; Cass., 10 dicembre 1993, in Giust. pen. 1995, II, 20; Sez. VI, 17 luglio 1990, n. 10414, Battinelli; Sez. VI, 23 febbraio 1991, n. 2488, Perrella; Cass., 18 novembre 1996, in G. SCANDURRA,Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 65, m. 37. Sez. I, 19 marzo 1997, n.2645, Sassi. In merito, P.P. RIVELLO, Giustizia ordinaria e giustizia militare di fronte al delitto di collusione da parte della Guardia di finanza, in Dir. pen. e proc., 1905, p. 639 ss.
(61) Così, Cass., sez. VI, 10 giugno-17 settembre 1998, n. 9892, in Guida al diritto 1998, n. 42, p. 86 e ss.; nello stesso senso Cass., sez. I, 14 marzo 1989, n. 8767. In tali pronunce si osserva, inoltre, che la conferma della tesi che esclude l’automatica punibilità del civile concorrente è offerta anche dalla previsione che stabilisce la competenza del Tribunale militare a conoscere del reato di collusione, posto che dall’avversata tesi discenderebbe, per via dell’art. 264 c.p.m.p., la sua implicita abrogazione. Sulla più generale problematica si veda l’interessante lavoro di M. ZANOTTI,Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985. L’autore si sofferma anche sul reato di collusione (pagg. 96 - 107), ed in esito ad articolate riflessioni che sottolineano come l’unico accordo che rileva sia quello con estranei e come la condotta di collusione si condensi in una manifestazione di disponibilità a venir meno ai propri doveri funzionali, conclude, capovolgendo l’impostazione tradizionale, per il carattere monosoggettivo del predetto reato e per la conseguente impossibilità di estenderne la efficacia sanzionatoria nei confronti dell’estraneo
(62) Per la Suprema Corte, si tratta di un reato formale a consumazione anticipata ovvero di pericolo astratto, che si perfeziona per il solo fatto del raggiunto accordo per frodare la finanza. In tal senso, tra le tante, Cass., sez.6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992, C.E.D.; Cass., 22 aprile 1989, in Cass. pen. 1991, I, 125; di recente, Cass., 2 marzo 1999, Dir. pen. proc. 1999, 1277;
(63) Così, Cass. sez. VI, 10 giugno-17 settembre 1998, n. 9892, in Guida al diritto, 1998, n. 42, p. 88.
(64) In tal senso, Cass. Sez. 6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992, C.E.D; Cass. Sez. I, sentenza n. 04820 del 30 aprile 1991, C.E.D., ove si afferma espressamente il concorso tra i reati di collusione, contrabbando, corruzione e falso ideologico; Cass., sez. I, sentenza 07710 del 23 luglio 1991 in C.E.D., nonché in Giust. pen. 1992, II, 81, m. 73, per la quale il concorso tra il delitto di collusione e quello di contrabbando militare (tipica violazione di legge finanziaria costituente delitto) è conseguenza del carattere già delittuoso dell’accordo collusivo, eccezione alla regola dell’art.115 c.p., e della distinta materialità della diversa, non necessaria né inevitabile, violazione finanziaria; Cass., sez 6, 1 marzo 1983, in Giust. Pen., 1983, III, 200; Cass. Sez, III, 7 maggio 1971, in Massimario della Giurisprudenza del Tribunale supremo militare, cit., 155; Cass. Sez. 6, 24 marzo 1970, in Rivista penale, 1970, par. 32.
(65) Cass., sez. I, 30 aprile 1991, Cass. C.E.D., N. 04820; Cass. 5 febbraio 1991 e 13 maggio 1991, in G. SCANDURRA,Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 62 e 63, m. 25 e 30. Cass. Sez. I, 10 dicembre 1993, Gissi, in Giust. pen. 1995, II, 20-30.
(66) Non ci sembra, infatti, che sia mai stata sostenuta l’ipotesi che il reato di violazione di legge finanziaria costituente delitto si applichi solo quando il finanziare commetta la violazione finanziaria senza alcun concorso di estranei, oppure nei soli casi in cui egli miri a realizzare un suo personale interesse fiscale. Ipotesi che, in astratto, avrebbe avuto il pregio di rendere più coerente l’intera impalcatura, posto che per tutte le altre sarebbe scattata la preliminare collusione e con essa, in ragione del coinvolgimento dell’estraneo, l‘arretramento della soglia di punibilità al solo accordo.
(67) In tal senso , Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, in Giustizia penale, 1991, II, 285.
(68) A titolo puramente indicativo, Cass. Sez. 6, 24 marzo 1970, in Rivista penale, 1970, par. 32; Cass., sez 6, 1 marzo 1983, in Giust. Pen., 1983, III, 200; Cass. Sez. 6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992, C.E.D. Si veda, inoltre, citazioni sub note 54, 56, 58, e 64.
(69) Cass., sez. I, sentenza 07710 del 23 luglio 1991 in C.E.D. per la quale il concorso tra il delitto di collusione e quello di contrabbando militare (tipica violazione di legge finanziaria costituente delitto) è conseguenza del carattere già delittuoso dell’accordo collusivo, eccezione alla regola dell’art.115 c.p., e della distinta materialità della diversa, non necessaria né inevitabile, violazione finanziaria. Si veda, inoltre, le citazioni sub nota 64.
(70) Cass., sez. I, sentenza n. 04820 del 30 aprile 1991, C.E.D.
(71) Per tale opinione, e con spunti di notevole interesse, G. CIARDI, I reati speciali, cit, pag.172-173, per il quale «la collusione per frodare la finanza non costituisce reato se il fine quello di commettere una contravvenzione finanziaria, e non è già un delitto.Nella stessa locuzione frodare, e nelle richiamate pene degli articoli 215 e 219 del codice penale militare di pace, già si contiene l’idea delittuosa. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, poiché la frode per cui interviene l’accordo concreta un patto criminoso inteso alla perpetrazione di una violazione finanziaria costituente delitto e, pertanto, non può avere natura contravvenzionale, per la contraddizione in termini che si verificherebbe con punire il semplice accordo contravvenzionale come reato militare, lasciando, per converso, impunita, nel quadro della legge militare, la contravvenzione finanziaria tentata o consumata. Se, dopo l’accordo criminoso, si passa alla fase esecutiva del delitto, allora non più di collusione è dato parlare, ma di violazione di leggi finanziarie, tentato o consumata».
(72) Nessuna utilità sembra presentare ai nostri fini l’omonimo delitto di frode fiscale. Sul punto, LEMMO, La frode fiscale, Jovene, 1984; DELL’ANNO, La elusione fiscale, Buffetti, 1990; NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Ipsoa, 2000. Per le modifiche che quest’illecito ha subito in virtù dell’articolo 10 del D.L.vo 74/2000, Cass., sez. III, 12 giugno 2001, sentenza n. 32416,in Rivista della Guardia di finanza, 2001, fasc. n. 6, pag. 2749.
(73) Non appartiene, infatti, al sistema – ed ancora meno al disegno costituzionale - l’ipotesi che un grave reato possa essere integrato e completamente esaurirsi nel solo fatto di accordarsi per commettere fatti non costituenti reato, senza che rilevi l’eventuale commissione di questi ultimi. O si rinviene una condotta che è qualcosa di più di un accordo, oppure l’ipotesi è condannata a non avere alcun plausibile sviluppo.
(74) In un precedente lavoro, SANTORO, Il reato di collusione, cit., pag. 971, avevamo espresso la diversa opinione che la locuzione “al fine di frodare il fisco” andasse interpretata nel senso di accordare rilevanza allo scopo di realizzare una pluralità indeterminata di illeciti, tutti preordinati all’obiettivo di pregiudicare la realizzazione degli interessi finanziari dello Stato e nel cui ambito rilevavano sia gli illeciti finanziari che i fatti omissivi e di abuso ad essi successivi. L’ipotesi, nella parte in cui richiede il requisito della pluralità di reati-scopo, ci è sembrata in seguito poco plausibile e non adeguatamente sorretta dal dato testuale, non essendo a tal fine sufficiente il sostantivo «estranei» menzionato dalla norma e non potendosi ricavare univoci elementi esegetici dalla pur ampia locuzione «frodare la finanza»..
(75) In questo senso, sebbene nella tradizionale prospettiva, si esprime Cass., sez. VI, 24 maggio 1988, in Giust. pen., 1989, II, 602, che ha cura di precisare, in coerente svolgimento delle ritenute premesse, che il finanziere risponderà di collusione e degli ulteriori reati riscontrabili nella sua condotta di omesso accertamento, ma non di concorso nell’illecito finanziario.
(76) Impedire l’accertamento dell’evasione fiscale già consumata, occultare la compromettente documentazione già sequestrata, segnalare l’imminente verifica fiscale, eseguirla con la riserva mentale di garantirne in ogni caso un positivo epilogo: possono essere questi alcuni dei più tipici fatti che traggono origine dal patto inteso alla frode e che procedono in vista della sua compiuta realizzazione. In tal senso, Cass., sez. VI, 24 maggio 1988, per la quale ricorre la collusione anche quando l’accordo fraudolento è diretto all’occultamento di violazioni alle leggi finanziarie precedentemente commesse, in G. SCANDURRA, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 60, m. 12.
(77) Senza che abbia rilievo l’eventuale millantato credito di cui si sia reso responsabile, o il fatto che abbia barato e promesso impunità fiscali del tutto scontate, a causa della particolare programmazione dei controlli, che non coinvolgevano in alcun modo l’estraneo in questione.
(78) Né i conti tornano con la variante lessicale di «accordo segreto fraudolento», come se fosse concepibile la sola idea di un accordo siglato da atto notarile e per contro appagante quella di conciliaboli tenuti nottetempo ed in gran segreto.
(79) Nella prospettiva che si traccia, infatti, soltanto le violazioni maturate nel quadro dell’accordo con l’estraneo costituiscono collusione; quelle che il militare decida e realizzi unilateralmente, senza alcun patto di infedeltà, manterranno la usuale e comune rilevanza di fatti di abuso di ufficio o violazione di doveri di ufficio.
(80) Diventa a questo punto più agevole definire i puntuali rapporti tra la fattispecie della collusione e quella della violazione finanziaria costituente delitto. Quest’ultima configura e reprime un fatto di diretta ed immediata lesione all’interesse finanziario finale, dedotto e valutato nel quadro di una più grave norma incriminatrice in ragione dell’intrinseca gravità dell’offesa (delitto finanziario) ed in ragione della qualifica soggettiva del suo autore o di uno dei suoi coautori (militare della guardia di finanza).
La collusione, per contro ed in linea di massima, configura un attentato alla variegata realtà degli interessi strumentali, di quegli interessi, cioè, assunti a contenuto di obblighi destinati a presidiare l’interesse finale ed il più delle volte sanzionati da altre norme incriminatrici (omissione di atti di ufficio, abuso di ufficio, rivelazione di segreti di ufficio etc.).
Il che comporta, in primo luogo, che in nessun caso potrà darsi contegno di collusione o violazione di legge finanziarie costituenti delitto nel caso in cui l’accordo tra finanziere ed estraneo sia rimasto lettera morta e non sia stato accompagnato da alcuna violazione di doveri istituzionali. In siffatte evenienze non vi è alcuna ragione per non applicare il fondamentale principio dell’articolo 115 del codice penale, posto che si è in presenza di un semplice accordo non seguito dalla commissione di alcun reato.
In secondo luogo, dalla costruzione sopra delineata discende che parimenti non vi sarà collusione nell’ipotesi in cui il finanziere abbia commesso, nel suo personale interesse, in concorso con un estraneo e senza alcuna violazione di obblighi strumentali, un illecito finanziario non costituente delitto; nel caso in cui, cioè, abbia leso l’interesse fiscale finale in un contesto del tutto staccato dall’adempimento dei doveri istituzionali e per il tramite di un comportamento tenuto quasi uti privatus (mancato pagamento di una qualsiasi imposta, cui personalmente era tenuto). Ritenere che in quest’ultima evenienza debba trovare applicazione la norma sulla collusione significa, a nostro avviso, ricadere nel solito equivoco; dimenticare che la collusione è cosa diversa dal semplice accordo, trascurare di dare il giusto rilievo alla componente fraudolenta insita nel dolo specifico e, infine, sottovalutare il peso esegetico della autonoma previsione della violazione finanziaria costituente delitto. Quest’ultima, infatti, nel configurare come reato proprio la violazione finanziaria costituente delitto, non ha discriminato in alcun modo tra l’ipotesi in cui il finanziere concorra nel delitto finanziario commesso nell’interesse dell’estraneo e quello in cui chieda ed ottenga la collaborazione dell’estraneo per realizzare, illecitamente e mediante delitto fiscale (fraudolente attestazione di redditi, in ipotesi), un suo personale interesse. Tutto questo, però, vale solo per la violazione costituente delitto, non vale per ogni illecito fiscale. Ed è improbabile che nel fatto del finanziare che si accordi con altro soggetto estraneo per pagare meno imposte (magari attraverso la falsa attestazione della superficie dell’immobile in cui risieda) vi sia collusione. Qui il finanziare non sposa l’interesse dei nessuna controparte, non collude con nessun soggetto interessato ai suoi mercanteggiamenti ed ai suoi servigi. Semplicemente evade un imposta, con fatto che esprime il solito ed usuale disvalore - visto che la testimonianza di fedeltà penalmente tutelata è circoscritta solo ai delitti finanziari - e che non muta di contenuto per l’accidentale circostanza che può esservi stato coinvolto, per tutelare l’illecito interesse del finanziere tenuto all’obbligo fiscale, un privato. Va da sé che se il finanziare si accordi con un estraneo per commettere un illecito fiscale nell’interesse di quest’ultimo e l’accordo venga qualificato dalla violazione di un obbligo istituzionale, ricorre un evidente fatto di collusione. Ci sembra, infatti, intuitiva la differenza tra questo caso, in cui il finanziare sposa l’illecito interesse dell’estraneo e lo aiuta a commettere un illecito fiscale, e quello visto prima, dove il finanziare non collude con nessuno, ma lede e viola, con contengo censurabile sotto molti profili ma di certo non costituente collusione, il personale e «privato » obbligo di pagare le tasse.
Indubbiamente siano in presenza di uno dei passi più delicati del nostro ragionamento e siamo consapevoli dell’obiezione che potrebbe esserci mossa e per la quale la violazione costituente delitto sanzionerebbe le gravi (delitto finanziario) infedeltà monosoggettive e la collusione quelle che si risolvono in un accordo con gli estranei, in una trama normativa che equipara l’intrinseca gravità della prima alla riflessa ed indiretta gravità della seconda (indiretta perché discendente non dall’illecito in sé, ma dall’accordo con l’estraneo). Abbiamo, però, già detto che siffatta ricostruzione non ci convince, perché sfornita di basi testuali, perché indifferente rispetto al requisito della «frode» ed infine perché dà per scontata una significativa dose di insipienza legislativa, posto che se le cose stessero in quei termini l’intero congegno descritto dall’articolo 3 della legge in esame avrebbe potuto, e dovuto, ridursi alle secche battute secondo cui «l'accordo con estranei per commettere od occultare un qualsiasi illecito fiscale è collusione».
(81) Anche ZANOTTI, Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, cit., contesta l’opinione che la collusione sia sinonimo di accordo e ravvisa nella sola condotta del finanziere il momento di infedeltà che la connoterebbe, aggiungendo che ciò che si sarebbe potuto esprimere facendo leva sulla violazione dei doveri inerenti all’ufficio o al servizio è stato in questo caso, forse per la fretta che ha accompagnato l’elaborazione del testo normativo, descritto con una diversa locuzione. Da tale premessa, l’autore ricava che la collusione costituisca una manifestazione di disponibilità del finanziere a venir meno ai propri doveri funzionali nonché la ulteriore conclusione della non punibilità dell’estraneo. La tesi è certo suggestiva. Riteniamo, però, che essa non sviluppi al massimo grado le intuizioni di cui è pervasa e lasci in ombra il fondamentale punto di cosa si intenda per manifestazione di disponibilità a violare i propri obblighi di servizio. Ognuno intende che simile disponibilità ben può ravvisarsi nella costruzione tradizionale della collusione come sinonimo di accordo e quindi può consistere proprio in quella realtà che, negli intenti, si vuole confutare. Se non si va oltre l’accordo e non si pone la premessa che la collusione richiede la violazione di un obbligo istituzionale, si rischia di lasciare inalterata la struttura tradizionale della fattispecie e di limitare il proprio contributo alla diversa denominazione di una entità che rimane immutata nelle sue componenti fondamentali.
(82) Ed a questo riguardo è da fare una precisazione, la quale, estranea alla prospettiva da noi seguita, evidenzia un’ulteriore incongruenza dell’impostazione tradizionale.
Quest’ultima, muovendo dal presupposto che la collusione costituisca un accordo per commettere determinati reati e sussista a prescindere dalla realizzazione degli illeciti-scopo, sostiene il concorso dei predetti reati con quello di collusione e non aggiunge alcuna considerazione in merito alle modalità e misura del concorso. Ma in tal caso è palese che si va oltre il dettato normativo, che nel sanzionare la collusione con le pesanti pene del peculato militare aggiunge che restano ferme le sanzioni pecuniarie previste dalle leggi speciali.
Orbene, se non si vuol sostenere l’assurdo di una pena che viene applicata senza che sia stata commessa la violazione cui essa consegue ed a meno che non si voglia ritenere - cosa mai accaduta - che tale disposizione interferisca sulla struttura della collusione e ne condizioni la configurabilità all’avvenuta commissione degli illeciti finanziari cui le sanzioni da applicare si riferiscono, è giocoforza concludere che la fattispecie astratta ha già tenuto presente – e quindi dedotto nella globale sanzione - l’eventualità che siano stati realizzati gli illeciti finanziari. Soltanto in questo caso acquista un senso l’indicata disposizione e la sua funzione, in parziale analogia a quanto previsto dal reato di cospirazione mediante accordo, sarà quella di inibire l’applicazione di tutte le sanzioni di carattere detentivo previste dal reato finanziario. Queste ultime sono già state tenute presenti nel confezionare la risposta sanzionatoria al reato di collusione ed esse quindi hanno perso la loro autonomia. Le uniche che residuano sono quelle a carattere pecuniario e la ragione è troppo chiara per meritare ulteriore indugio. Rimane pertanto inspiegabile la ragione per la quale la opinione corrente non abbia sviluppato con la necessaria coerenza questa precisa indicazione normativa e si sia orientata verso una soluzione che, a tacere delle perplessità di fondo, ha ulteriormente inasprito le conseguenze sanzionatorie di una severa fattispecie ed ha erroneamente aggiunto rigore a rigore.
Dalla impostazione che si propone deriva, per contro, che la clausola sulla applicazione delle concorrenti sanzioni pecuniari opererà soltanto con stretto riguardo ai reati finanziari dedotti come componente ineludibile ed essenziale delle fattispecie incriminatrici contemplate nella legge del 41: cioè a dire, solo con riguardo ai delitti finanziari. Mentre non svolge alcun ruolo rispetto alla collusione, concepita non come accordo strumentale alla commissione di un illecito fiscale, bensì come atto di violazione di doveri istituzionali, rispetto alla quale l’illecito fiscale e le sue peculiari sanzioni rimangono completamente sullo sfondo, pur rilevando nell’ambito delle ordinarie norme sul concorso di reati e di illeciti.
(83) In merito si vedano gli esatti rilievi di PEZZINGA, Il reato militare di collusione ed il nuovo testo unico delle imposte sui consumi, in Rivista dalla Guardia di Finanza, settembre - ottobre 1996, n. 6, pagg. 1597 - 1608.
(84) Sul punto, anche per la bibliografia ivi citata, si veda, E. FIORINO, Osservazioni sul contenuto offensivo del delitto di collusione del finanziere e sui suoi rapporti con il delitto di corruzione, cit., p.. 291 - 304.
(85) Si veda, sul punto specifico, V. SANTORO, Il reato di collusione. Rapporti con le altre violazioni finanziarie, cit., p. 984, di cui il presente lavoro e la relazione da cui ha tratto spunto costituiscono un sostanziale ampliamento ed aggiornamento, riprendendo e puntualizzando buona parte delle tesi ivi sostenute ed integrandole con i riferimenti alle innovazioni normative nel frattempo intervenute.
(86) Sul punto, U. SIRICO, La collusione in contrabbando e le accise, in Rivista della Guardia di finanza, 1999, fasc. 2, p. 535 e ss., per il quale è possibile interpretare il secondo e il terzo comma dell’art. 45 in modo che l’inapplicabilità risulti circoscritta alle sole aggravanti ivi previste e non all’intero disposto della legge del 41. Cioè a dire, con tale disposizione il legislatore ha inteso «. Tesi che, sebbene interessante, presenta il punto debole di rimediare ad una “svista” del legislatore con un’esegesi che elimina parte della norma. Il terzo comma dell’indicato art. 45 è infatti secco e perentorio, sia nell’escludere le anomale aggravanti per i fatti meno gravi, sia nell’escludere – proprio perché lascia tutto come prima - l’applicabilità della legge 1383 del 41. Su tali premesse diventa difficile scovare la base di diritto positivo che renda inefficace le fattispecie criminose della collusione e della violazione finanziaria costituente delitto nell’ipotesi in cui venga realizzato, more solito, uno dei delitti sottratti all’aggravante del primo comma dell’articolo 45 (e cioè quelli dell’art. 40, comma 5, e dell’art. 43, comma 4). E ciò per la decisiva ragione che il principale elemento innovativo dell’art. 45 in questione consiste proprio nell’aver escluso «l'applicazione dell'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383» espressamente con riguardo alle fattispecie di reato di cui agli articoli 40, 41 e 43 del D. L.lgt. 504/95, qualificate dalla specifica aggravante di cui al primo comma dello stesso art. 45: cioè a dire, commissione dei reati con il mezzo della corruzione della Guardia di finanza. Ciò che compensa l’azzeramento del noto dispositivo del 41, infatti, è proprio la previsione di una peculiare responsabilità concorsuale nel reato finanziario, punita con sanzioni autonome (reclusione da quattro a sei anni) e più severe di quelle previste, nell’ambito della stessa fattispecie criminosa, a carico degli estranei (reclusione da tre a cinque anni). Il che vale quanto affermare che per il resto, ovunque si trovi, continuano a valere le usuali regole.
(87) Anche se va considerata interessante l’idea che sta alla base della decreto legislativo 504 del 1995, che considera in modo unitario i compiti ed i doveri del personale dell’amministrazione finanziaria e della Guardia di finanza e trasforma le monolitiche sanzioni della legge del 41 (previste per i soli militari della finanza) nella efficace e più ampia circostanza aggravante dell’«aver commesso il fatto con il mezzo della corruzione del personale dell'amministrazione finanziaria o della Guardia di finanza». Con la conseguenza di una più grave corresponsabilità per il reato finanziario posto in essere e con l’ulteriore e specifica conseguenza di un’autonoma responsabilità per il reato di corruzione commesso. Qualche dubbio sussiste in ordine alla punibilità del privato sotto quest’ultimo titolo, potendosi sostenere che, per quanto lo riguarda, l’intero disvalore della corruzione-mezzo rimanga assorbito dalla specifica previsione della circostanza aggravante. Sarebbe in ogni modo opportuno fare maggiore chiarezza su quest’ultimo punto, dopodiché potrebbe ben concepirsi l’idea di sostituire buona parte della legge 1383 del 1941 con la previsione di una circostanza aggravante che funzioni tutte le volte in cui un reato finanziario sia stato commesso «con il mezzo della corruzione del personale dell'amministrazione finanziaria o della Guardia di finanza».
(88) Analoghe perplessità solleva anche la recente legge (19 marzo 2001, n. 92) sul contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Quest’ultima ha abrogato l’articolo 6 della legge 50/1994, che prevedeva una sanzione pecuniaria per i soggetti sorpresi ad acquistare tabacchi lavorati esteri di contrabbando, ed ha avuto come effetto immediato quello di far ricadere tale ipotesi nella previsione del reato di contrabbando semplice (fino a dieci Kg. convenzionali di t. l. e.) di cui al nuovo articolo 291-bis del D.P. R. 43/1973 (PINNA e TURRIZIANI, La nuova normativa in materia di repressione del contrabbando di t.l.e., in Rivista della Guardia di finanza, 2001, cit., 2590). Il che significa che il semplice acquisto di sigarette di contrabbando da parte di un finanziere viene a configurare la gravissima fattispecie della violazione finanziaria costituente delitto, punita con la reclusione da due a dieci anni e rispetto alla quale, per le ragioni già viste, non potrà applicarsi la procedura di definizione amministrativa prevista dall’articolo 2 della legge 92/2001, che consente l’estinzione del reato mediante il pagamento di una somma pari a lire 10.000 per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque non inferiore a lire un milione. Se si considera che una sigaretta di contrabbando equivale ad un grammo convenzionale di tabacco lavorato estero (PINNA e TURRIZIANI, op. cit., 2561) e che non è prevista alcuna soglia minima per la rilevanza penale del fatto di acquisto o detenzione, si ha subito una chiara idea della abnorme durezza della prospettiva sanzionatoria cui va incontro il militare della Guardia di finanza che acquisti o detenga sigarette di contrabbando.